Tiziano, La Venere di Urbino |
Trenta cose, “distinte a tre a tre”, erano ritenute necessarie nel secondo Cinquecento a congegnare una beltà di irresistibile seduzione simile a quella che emanava dal volto e dal corpo di Elena di Grecia:
Tre bianche: carne, denti e faccia.
Tre negre: occhi, ciglia e petignone.
Tre rosse: labbra, guance e unghie.
Tre longhe: persona, capelli e mano.
Tre corte: denti, orecchie e piede.
Tre larghe: petto, fianco e fronte.
Tre strette: bocca, natura e centura.
Tre grosse: coscie, culo e natura.
Tre sottili: capelli, labbra e deta.
Tre picciole: bocca naso e mammelle.
Nota:
Ho ripreso questo catalogo di Thomaso Thomai dalla pagina 33 de Il sugo della vita, un libro di Piero Camporesi sulla simbologia del sangue (Mondadori, 1988). In nota il grande storico dell’immaginario riporta una citazione di Francesco Alunno, che non lascia dubbi su cosa sia il “negro” petignone, irreperibile nei dizionari in mio possesso: è il muliebre triangolo pubico che costui chiama in volgare “peletti de la natura” e latinamente “cunnus”. Le deta, invece, sono semplicemente le dita. (S.L.L.)
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