24.4.11

Pasqua a New York. Una poesia di Blaise Cendrars (traduzione S.L.L.)


Migranti a New York, 1910
 Ad Agnés

PASQUA A NEW YORK


Signore, è oggi   il giorno del tuo Nome.
Ho letto in un antico libro   la gloria della tua Passione

La tua angoscia, i tuoi sforzi,   le tue parole buone
Che piangono dal libro,    dolcemente monotone.

Da un tempo antico un monaco   mi parla della tua morte
Tracciava la tua storia   con lettere d’oro.

In un messale posato   sopra le sue ginocchia
Lavorava piamente  ispirandosi a Te.

All’ombra dell’altare,   seduto in veste bianca,
Lavorava lentamente   da lunedì a domenica.

Le ore si fermavano   sulla soglia del suo ritiro
E lui di sé si scordava   sul tuo ritratto, chino.

Al vespro, quando le campane   salmodiavano nella torre,
Non sapeva il buon frate   se fosse il proprio amore

Oppure il Tuo, Signore,   oppure il Padre eterno
Che batteva a gran colpi    le porte del convento.

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Sono come quel buon monaco,    stasera, sono inquieto
Nella camera accanto    un essere triste e muto

Dietro la porta attende,    che io lo chiami attende,
Sei Tu, è Dio, son io,    è l’Eterno che attende.

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Non Ti conobbi allora    - neanche adesso-.
Non ho pregato mai    quand’ero un ragazzetto.

E invece questa sera    Ti penso con terrore
La mia anima è vedova in lutto    ai piedi della tua Croce;

La mia anima è vedova in nero    - è tua Madre, è
Senza lacrime e senza speranza,  come l’ha dipinto Carrière.

Conosco tutti i Cristi    appesi nei musei,
Ma Tu stasera cammini,   Signore, accanto a me.

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Scendo a passi grandi    nel basso dell’abitato,
La schiena curva, lo spirito   in delirio, il cuore rattrappito.

Il tuo fianco spalancato    è come un sole enorme
E le tue mani tutt’intorno  palpitano di scintille.

I vetri delle case    tutti pieni di sangue
E le donne, là dietro,    come fiori di sangue.

Strani orribili fiori    appassiti, orchidee,
calici rovesciati,    aperti sulle tue tre piaghe.

Il tuo sangue raccolto    non l’hanno mai bevuto.
Hanno il rosso alle labbra    e merletti sul culo.

I fiori della Passione    sono bianchi, come candele,
Sono i fiori più dolci   nel Giardino della Buona Vergine.

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E’ a quest’ora, Signore,   è verso l’ora nona,
Che il tuo Capo ripiomba,   Signore, sul tuo Cuore.

Io sono seduto    al bordo dell’oceano
E mi rammento    un cantico tedesco,

Vi è detta con parole    tanto dolci, semplici, pure,
La beltà del tuo Viso    in mezzo alle torture.

In una chiesa a Siena,   ho visto in una cripta
Lo stesso Viso, al muro,   nascosto da un velario.

E l’ho visto in un eremo    a Burrié-Wladislasz,
E’ borchiato d’oro    in una cassa.

Delle torbide borchie    sono al posto degli occhi
Ma i contadini baciano     in ginocchio i Tuoi Occhi.

Sul fazzoletto di Veronica   è stampato
Perciò Santa Veronica  è la Tua santa.

E’ la miglior reliquia    portata per i campi
Guarisce tutti,    malati e disgraziati.

Fa ancora mille e mille    altri miracoli
ma non ho mai assistito    a simili spettacoli.

Forse non ho la fede,    Signore, e la bontà
Per veder questo raggio    della tua Beltà.

Pure, Signore, ho fatto    un periglioso viaggio
Per contemplare in un berillo    la tua immagine in un intaglio.

Fa, o Signore, che il mio viso    appoggiato sulle mie mani
Vi lasci cadere la maschera   d’angoscia che mi stringe.

Fa, o Signore, che le mie due mani     appoggiate sulla bocca
Non ci lambiscano la bava    di una disperazione feroce.

Sono triste e malato.   Forse per causa tua.
Forse per causa d’altri.    Forse per causa tua.

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Signore, la folla dei poveri    per cui facesti il Sacrifizio,
E’ qui chiusa e stabulata    come bestiame, negli ospizi.

Immensi battelli neri    vengono dagli orizzonti
E li sbarcano alla rinfusa    sopra i ponti.

Ci sono Greci,   Spagnoli, Italiani,
Sono Russi, Bulgari,   Mongoli, Persiani.

Sono bestie da circo,    saltano i meridiani,
Gli gettano un pezzetto    di carne nera come ai cani.

Non c’è per loro gioia    che in questa sconcia offa.
Abbi pietà, Signore,    dei popoli in disgrazia.

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Signore, dentro i ghetti    brulica la folla degli Ebrei
Vengono di Polonia    sono tutti fuggitivi.

Lo so bene,    ti hanno fatto il Processo;
Ma, io te l’assicuro,    non sono malvagi del tutto.

Stanno nelle botteghe    sotto lampade di rame,
Vendono abiti vecchi,    vendono libri, armi.

Rembrandt amava molto   dipingerli nei loro cenci.
Io, io ho stasera    mercanteggiato un microscopio.

Ahimè! Signore, Tu    non sarai più là dopo la Pasqua
Signore, abbi pietà    degli Ebrei nella loro baracca.

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Signore, le povere donne   che vi accompagnarono al Golgota
Stanno nascoste. Nel fondo    di tuguri, su immondi sofà,

Sono impestate    dalle miserie umane.
Cani hanno roso     le loro ossa,

E annegano nel rum  il male che le divora:
Svengo, Signore,   se una di loro mi rivolge la parola.

Vorrei essere Te    per amare le prostitute:
Signore, abbi pietà,   pietà delle prostitute.

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Signore, ora mi trovo    nel quartiere dei ladri
Dei vagabondi, scalzi,   e dei ricettatori.

Io penso ai due ladroni    che erano con Te al Supplizio,
Io so che ti degnasti    di sorridere alla loro disgrazia.

Uno, Signore, voleva da me in dono    una corda col cappio,
Ma la corda non è gratis     costa ben venti soldi.

Ragionava come un filosofo    quel vecchio bandito.
Gli ho donato dell’oppio   per andare più presto in paradiso.

Ed ancora penso   ai musici di strada,
Al violinista cieco,   al monco che gira l’organo di Barberia,

Alla cantante dal cappello    di paglia con rose di carta;
So che sono loro   a cantare nell’Eternità.

Signore, abbi pietà,    oltre alla luce dei lampioni,
Signore, fagli dono,    quaggiù, di bei soldoni.

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Signore, quando moristi,    si lacerò il sipario.
Quel che si vide dietro,    non l’ha detto nessuno.

La strada nella notte   è come uno strappo
Pieno d’oro e di sangue,  di fuoco e di rifiuti.

Quelli che tu cacciasti    dal tempio con la sferza,
Flagellano i passanti   a forza di misfatti.

La Stella che scomparve    allora dai tabernacoli,
Arde ora sui muri     nella luce cruda degli spettacoli.

Signore, la Banca illuminata   è come una cassaforte
Ove si è coagulato    il Sangue della tua morte.

Le strade si fanno deserte,    diventano più nere.
Come un uomo ubriaco    vacillo sul marciapiede.

Ho paura dei grandi lembi d’ombra,  che ogni casa proietta.
Ho paura. Qualcuno mi segue.    Non oso voltare la testa.

Un passo zoppicante    rimbalza sempre più accosto.
Ho paura. Ho le vertigini.   E mi fermo di colpo.

Un tipo strano, spaventoso,    mi ha lanciato uno sguardo
Pungente, poi è passato,    crudele, come un pugnale.

Nulla è cambiato, Signore,    da quando non sei più Re.
Il Male, della tua Croce,    ne ha fatto un puntello per sé.

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Percorro i malridotti   gradini di un caffè
Ed eccomi, seduto,   davanti a una tazza di té.

Io sono dai Cinesi,    che sorridono come di schiena,
Si inchinano e sono    lisci come statuine.

La bottega è piccola,    tinteggiata di rosso,
E dei cromi curiosi    sono incorniciati dal bambù.

Ho-Kusai ha dipinto   i cento aspetti di un monte.
Che sarebbe il tuo Volto   dipinto da un Cinese?

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Quest’ultima idea, Signore,  prima m’ha fatto sorridere
Io ti vedevo in scorcio    durante il tuo martirio.

Ma tuttavia il pittore    avrebbe dipinto i tuoi tormenti
Con crudeltà maggiore     che i nostri pittori d’Occidente.

Delle lame contorte   ti avrebbero segato le carni
Delle tenaglie e  dei pettini   striato le nervature.

Ti si sarebbe infilato    il collo in una gogna,
Ti  si sarebbero strappati    i denti e le unghia.

Immensi draghi neri   scagliati su di Te,
Ti avrebbero soffiato   le fiamme sopra il collo,

Ti si sarebbero strappati    lingua ed occhi,
Ti si sarebbe impalato    in una trave.

Così, Signore, avresti   sofferto l’infamia, tutta,
Dato che non esiste più crudele postura.

Ti si sarebbe inoltre   dato in pasto ai verri
Che ti avrebbero roso    il ventre e i budelli.

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Ora io sono solo,    gli altri sono usciti
Sono  steso su un banco    contro al muro.

In una chiesa, Signore,    sarei voluto entrare;
Ma in questa città, Signore,   non ci sono campane.

Penso alle campane silenziose:  - dove sono le antiche squille?
Dove sono le antifone,    dove le litanìe?

Dove i lunghi rituali   e i  bei cantici dove?
Dove le liturgie    dove le musiche?

Dove i tuoi fieri prelati, Signore,    dove i camici bianchi?
Dove i tuoi novizi,    dove l’amitto delle Sante e dei Santi?

Le gioie del Paradiso    s’annegano nella polvere
I fuochi mistici non rutilano   più nelle vetrate.

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L’alba tarda a venire    e nello stretto abituro
Ombre crocifisse   agonizzano al muro.

E’ come un Golgota    di notte in un specchio,
Che si vede tremolare    in rosso sopra un nero.

Il fumo, sotto la lampada,   è come un panno sfilacciato
Che ruota, attorcigliandosi,   intorno al tuo costato.

Al di sopra la lampada   pallida resta sospesa,
E’ triste, morta, esangue,  come la tua Testa.

Insoliti riflessi    palpitano sopra i vetri...
Ho paura, - son triste, Signore,    di essere così triste.

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Dic nobis, Maria,   quid vidisti in via?
- Fremere la luce   umile nel mattino.

Dic nobis, Maria,   quid vidisti in via?
- Dei biancori sperduti   palpitare come mani.

Dic nobis, Maria,   quid vidisti in via?
 - L’augurio della primavera    trasalire nel mio seno.

Signore, l’alba è scivolata    fredda come un sudario
E ha messo tutti a nudo    i grattacieli nell’aria.

Di già un rumore immenso  risuona nella città,
I treni già ripartono,    rombano e se ne vanno.

Le metropolitane    rullano e tuonano sotterra.
I ponti sono scossi    dalle ferrovie.

E trema la città.  Grida fuoco fumi
Sirene a vapore    rocheggiano come urli.

Un folla infervorata    dai sudori dell’oro
Si spinge e si inabissa    in lunghi corridoi.

Torbido, nel miscuglio    impennacchiato dei tetti,
Il sole, è la tua Faccia    lordata da catarri.

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Signore io rientro affaticato,    solo, pesante e scuro..
La mia camera è nuda    come una sepoltura...

Signore, sono solo    ed ho la febbre...
Il mio letto è freddo    come una bara...

Signore, chiudo gli occhi    e batto i denti...
Io sono troppo solo.   Sento freddo. Ti chiamo.

Centomila trottole    mi ruotano davanti agli occhi...
No, centomila donne...    No, centomila violoncelli...

Io penso, Signore,   alle mie ore infelici...
Io penso, Signore,   alle mie ore perdute ...

Io non penso più a Te   io non penso più a Te.



New York, aprile 1912

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