13.4.11

Aprile 1961. Yuri Gagarin nello spazio.

Il 12 aprile del 1961, 50 anni fa, un uomo s’inoltrava nello spazio. Era il primo. Fece ritorno sulla terra dopo un’orbita completa sulla navicella Vostok e già il 14 era oggetto di eccezionali festeggiamenti da parte della sua gente. Era un ufficiale sovietico, dell’Armata Rossa, e si chiamava Yuri Gagarin.
Sul “manifesto” di oggi (13 aprile 2011), nella sua bella rubrica Vuoti di memoria, Alberto Piccinini recupera il finale del discorso che Gagarin fece il 14 sulla Piazza Rossa di Mosca, gremitissima e osannante. E’ tutto un omaggio a Nikita Krusciov, un trionfo dello stile burocratico-nazionalista.
Eccolo: “Cari compagni, vorrei riservare una menzione speciale all'immensa e paterna attenzione verso di noi, Popolo Sovietico, mostrata da Nikita Sergeyevich Krusciov. Fosti tu, Nikita Sergeyevich, il primo a congratularti calorosamente con me per il successo della missione pochi minuti dopo il mio atterraggio, dopo il mio ritorno dallo spazio alla nostra terra natia. (Applausi) Grazie, caro Nikita Sergeyevich, da parte mia e da parte degli altri astronauti! (Applausi scroscianti) Noi abbiamo dedicato il primo volo nello spazio al XXII Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. (Applauso prolungato). Grazie di tutto cuore, caro popolo di Mosca, per questa calorosa accoglienza. (Applausi scroscianti). Sono sicuro che sotto la guida del Partito Leninista ognuno di voi è pronto a fare ogni cosa per la grandezza e la prosperità della nostra amata madrepatria, la gloria del nostro paese, del nostro popolo. (Applausi scroscianti) Lunga vita alla nostra terra socialista! (Applausi) Lunga vita al nostro grande e forte popolo sovietico! (Applausi) Gloria al partito Comunista dell'Unione Sovietica e al suo Comitato Centrale Leninista guidato da Nikita Sergeyevich Krusciov. (Applausi scroscianti, grida)”.
Io però rammento un’altra festa, al mio paesello. La rammento perché si collega a vicende familiari che qui non rievoco, perché solo per me interessanti.
Tredicenne di terza media, mi appassionavo ai comizi. Tifavo ancora per la destra, che nell’Agrigentino disponeva di oratori tromboneggianti; ma mi piacevano anche i comunisti, Scaturro, Renda, Di Benedetto. Domenica 16 era una bella giornata e i comunisti fin dalle 4 del pomeriggio avevano messo su l’altoparlante con le loro canzoni, Bandiera rossa, l’Internazionale, l’Inno dei lavoratori e, più spesso di tutte le altre, Fischia il vento. Di quando in quando una voce annunziava il comizio delle 6, accompagnando l’annunzio con parole di giubilo per la grande impresa sovietica. Parlavano dalla sede accanto al cinema Italia, ove i comunisti tenevano il bigliardino, il palchetto per i comizi, l’amplificatore e l’altoparlante: due voci si alternavano, una era quella inconfondibile di Caizza, “Nnirìa” (Andrea), l’altra era più giovane. Forse era Lillo Gueli, ma non ci giurerei.
La piazza intorno alle cinque pullulava di braccianti e contadini comunisti, vestiti a festa. Passeggiavano sul grande marciapiede centrale (“lu scanaturi”), facendo su e giù. Davano su quella piazza anche il “circolo dei civili” e il balcone dei democristiani. I rossi, che pure stavano in basso, guardavano gli avversari politici e sociali dall’alto del trionfo scientifico della patria sovietica. Ed erano   allegri come una Pasqua. Anche se la Pasqua era passata da 15 giorni.
Rammento (o forse mi figuro) gretti proprietari terrieri, dottori, avvocaticchi, impiegati di concetto, lividi, e così i galoppini dell’onorevole Giglia, quelli per fede e quelli per grazia ricevuta, che più contrastavano i compagni in piazza.
Io mi dicevo e mi credevo di destra, ma non più fascista come mio padre, giacché da studentino avevo scoperto la Costituzione e la sua bellezza: mi proclamavo liberale perché mi piaceva la libertà. Ma i rossi non mi erano affatto antipatici: del resto erano comunisti anche i migliori amici di papà, quelli con cui andava a caccia, e quel pomeriggio erano lì a far festa.
Non so dire – lo ripeto - quanto di questo ricordo sia registrazione  e quanto immaginazione, ma rammento perfettamente la battuta di un “burgisi” tra i più gretti. A un gruppo di comunisti gridò: “Chi vi sintiti ora ca c’è lu sputtinicchi (Sputnik era il nome del primo satellite russo)! Mancu si fussi vuosciu!”. L’avvocaticchio al suo fianco fece ricorso al latinorum: “Rustica progenies semper villana fuit”.
Ma i rossi neanche li calcolavano: sembravano davvero convinti che quell’astronave e quella gloria fossero un po’ roba loro.

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