“Fortress Europe” è il blog di Gabriele Del Grande, che da quattro anni viaggia nel Mediterraneo, lungo i confini dell'Europa, alla ricerca delle storie che fanno la storia, quella “che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni duemila morirono a migliaia nei mari d'Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città. Mentre tutti fingevano di non vedere”. Sulle sue inchieste ha costruito un libro, Il mare di mezzo (Infinito edizioni, 2010), utilissimo a capire molte cose degli ultimi decenni e forse anche degli ultimi mesi.
Del Grande è un entusiasta, ama di cuore la gioventù nordafricana e nelle sue corrispondenze si legge tra le righe l’ammirazione per una vitalità e una forza che da noi è difficile ritrovare; ma è soprattutto un giornalista onesto che racconta ciò che vede e ascolta, cerca di capirlo e di farlo capire, senza cinismo. Capita così che le sue impressioni e valutazioni sulla crisi libica appaiano ugualmente e abissalmente distanti da quelle di tutti i propugnatori di verità partigiane e indiscutibili: nel caso della Libia da quelle di chi racconta inesistenti massacri di civili a migliaia da parte dei gheddafiani per giustificare bombardamenti e, forse, invasioni o di chi, al contrario, spiega ogni cosa con complotti da mesi studiati a tavolino dall’imperialismo anglo-francese per colpire il colonnello nazionalista a loro ostile.
La mia conoscenza della recente vicenda libica (e quella di tanti, credo) è, tuttora, molto imperfetta, inquinata com’è non solo da deformazioni di comodo ma da una vera e propria “disinformazia”. Vedo con chiarezza che il conflitto di Libia prende le pieghe di un’antica guerra coloniale, in cui i cosiddetti “ribelli”, di buon grado o loro malgrado, lavorano, come gli “ascari” di un tempo per favorire i colonizzatori protesi a stabilire un protettorato imperiale. E ancora più chiaramente osservo che tutto ciò favorisce lo scivolare verso una guerra generale. Non azzardo però pronunciamenti su quanto può essere avvenuto nell’oscurità e sul fatto che chi ha promosso la “campagna d’Africa” l’abbia preparata da tempo o abbia colto soltanto colto un’opportunità dall’insofferenza verso il regime e il suo capo.
Non per questo pretenderò la verità da un testimone diretto come Del Grande. Saggiamente la scienza storiografica ha abbandonato l’approccio degli antichi greci che consideravano preminente l’autopsia (cioè l’aver visto con i propri occhi) rispetto a tutte le altre forme di documentazione. Vale anche per la contemporaneità: un onesto reportage non ci dà la “verità” ma è soggetto alla parzialità dei punti di vista, agli abbagli dell'eccesso di luce e agli “inganni” della prospettiva. Di conseguenza, mentre mi fido dell’onestà dei giudizi di Del Grande, non mi pronuncio sulla sua lettura complessiva, per la quale rimando, nel suo sito, al dialogo con Alma Allende, corrispondente di “Rebellion” (http://fortresseurope.blogspot.com/2011/03/generazione-revolution-da-benghazi.html). Ho comunque l’impressione, desunta da altre, ugualmente attendibili testimonianze, che nell’approccio di Del Grande, tutto proteso ad esaltare il significato rivoluzionario della rivolta di Bengasi, ci sia il rischio di occultare non il “grande complotto” (che probabilmente non c’è) ma i piccoli complotti di piccoli uomini come il Berlusconi francese, quel Sarkosy che spera un rilancio dell’immagine appannata, successi elettorali e affari per i suoi amici.
Mentre rimando al blog di Del Grande quanti volessero conoscerne in dettaglio le opinioni, ne posto qui la pagina Fortezza Europa che egli sistematicamente aggiorna facendo i conti della odiosa politica mediterranea dell’Europa, mettendo in fila solo le vittime rigorosamente accertate. (S.L.L.)
Fortezza Europa
di Gabriele Del Grande
Giorno per giorno, da anni, il mare di mezzo è divenuto una grande fossa comune, nell'indifferenza delle due sponde del mare di mezzo.
Dal 1988 almeno 15.760 giovani sono morti tentando di espugnare la fortezza Europa. Ne abbiamo le prove. Sono migliaia di articoli recensiti negli archivi della stampa internazionale. Potete consultarli per area geografica e per anno di pubblicazione. Vi proponiamo anche i bollettini mensili, la sezione statistica sugli sbarchi e una pagina di approfondimento.
Nel Mar Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico verso le Canarie sono annegate 11.150 persone. Metà delle salme (6.649) non sono mai state recuperate.
Nel Canale di Sicilia tra la Libia, l'Egitto, la Tunisia, Malta e l'Italia le vittime sono 4.249, tra cui 3.110 dispersi.
Altre 186 persone sono morte navigando dall'Algeria verso la Sardegna.
Lungo le rotte che vanno dal Marocco, dall'Algeria, dal Sahara occidentale, dalla Mauritania e dal Senegal alla Spagna, puntando verso le isole Canarie o attraversando lo stretto di Gibilterra, sono morte almeno 4.551 persone di cui 2.332 risultano disperse.
Nell'Egeo invece, tra la Turchia e la Grecia, ma anche dall'Egitto alla Grecia, hanno perso la vita 1.389 migranti, tra i quali si contano 840 dispersi. Infine, nel Mare Adriatico, tra l'Albania, il Montenegro, la Grecia e l'Italia, sono morte almeno 637 persone, delle quali 253 sono disperse. Inoltre, almeno 629 migranti sono annegati sulle rotte per l'isola francese di Mayotte, nell'oceano Indiano.
Il mare non si attraversa soltanto su imbarcazioni di fortuna, ma anche su traghetti e mercantili, dove spesso viaggiano molti migranti, nascosti nella stiva o in qualche container, ad esempio tra la Grecia e l'Italia. Ma anche qui le condizioni di sicurezza restano bassissime: 153 le morti accertate per soffocamento o annegamento.
Per chi viaggia da sud il Sahara è un pericoloso passaggio obbligato per arrivare al mare. Il grande deserto separa l'Africa occidentale e il Corno d'Africa dal Mediterraneo. Si attraversa sui camion e sui fuoristrada che battono le piste tra Sudan, Chad, Niger e Mali da un lato e Libia e Algeria dall'altro. Qui dal 1996 sono morte almeno 1.703 persone. Ma stando alle testimonianze dei sopravvissuti, quasi ogni viaggio conta i suoi morti. Pertanto le vittime censite sulla stampa potrebbero essere solo una sottostima. Tra i morti si contano anche le vittime delle deportazioni collettive praticate dai governi di Tripoli, Algeri e Rabat, abituati da anni ad abbandonare a se stessi gruppi di centinaia di persone in zone frontaliere in pieno deserto
In Libia si registrano gravi episodi di violenze contro i migranti. Non esistono dati sulla cronaca nera. Nel 2006 Human rights watch e Afvic hanno accusato Tripoli di arresti arbitrari e torture nei centri di detenzione per stranieri, tre dei quali sarebbero stati finanziati dall'Italia. Nel settembre 2000 a Zawiyah, nel nord-ovest del Paese, vennero uccisi almeno 560 migranti nel corso di sommosse razziste.
Viaggiando nascosti nei tir hanno perso la vita in seguito ad incidenti stradali, per soffocamento o schiacciati dal peso delle merci 367 persone. E almeno 246 migranti sono annegati attraversando i fiumi frontalieri: la maggior parte nell'Oder-Neisse tra Polonia e Germania, nell'Evros tra Turchia e Grecia, nel Sava tra Bosnia e Croazia e nel Morava, tra Slovacchia e Repubblica Ceka e nel Tisza tra Serbia e Ungheria. Altre 114 persone sono invece morte di freddo percorrendo a piedi i valichi della frontiera, soprattutto in Turchia e Grecia. In Grecia, al confine nord-orientale con la Turchia, nella provincia di Evros, esistono ancora i campi minati. Qui, tentando di attraversare a piedi il confine, sono rimaste uccise 92 persone.
Sotto gli spari della polizia di frontiera, sono morti ammazzati 282 migranti, di cui 37 soltanto a Ceuta e Melilla, le due enclaves spagnole in Marocco, 50 in Gambia, 121 in Egitto - di cui 83 alla frontiera con Israele - e altri 32 lungo il confine turco con l'Iran e l'Iraq. Ma ad uccidere sono anche le procedure di espulsione in Francia, Belgio, Regno Unito, Germania, Spagna, Svizzera e l'esternalizzazione dei controlli delle frontiere in Marocco e Libia. Infine 41 persone sono morte assiderate, viaggiando nascoste nel vano carrello di aerei diretti negli scali europei. E altre 33 hanno perso la vita tentando di raggiungere l'Inghilterra da Calais, nascosti nei camion che da lì si imbarcano per Dover o sotto i treni che attraversano il tunnel della Manica, oltre a 12 morti investiti dai treni in altre frontiere e 3 annegati nel Canale della Manica.
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