22.4.11

La metafora dell'attore (dal "Manuale" di Epitteto)

L'Opera da tre soldi di Bertolt Brecht
al Piccolo Teatro di Milano
per la regia  di Giorgio Strehler
Ricordati che sei l’attore di un dramma, il quale sarà o breve o lungo, secondo la volontà del capocomico. E se a costui piace che tu rappresenti la persona di un mendico, studia di rappresentarla acconciamente. Allo stesso modo se ti ha assegnato la parte di uno zoppo, di un magistrato, di un uomo comune. A te spetta solamente di recitare la parte che ti è stata data, qualunque essa sia: sceglierla è compito di un altro.

2 commenti:

  1. Io penso, invece, che l’essere umano autentico non sia chi s’identifica in un ruolo, ma chi, distanziandosi da sé oggetto, si pone come soggetto che riflette e giudica se stesso e il mondo. In questa distanza della coscienza, che è solo soggetto, dall’oggettività delle cose del mondo, l’uomo dà un significato alle cose medesime e toglie loro l’essere in sé. E’ l’uomo responsabile del mondo, di se stesso e delle scelte che assume. Il conflitto tra gli uomini sorge dai differenti significati che ogni uomo dà alle cose del mondo.

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  2. Rileggo ora l'anonimo commento, che sembra opporsi alla metafora di Epitteto, ma in verità - specie nella prima parte - la interpreta e la integra. Ho sempre pensato anch'io che è più grande attore non già chi si immedesima nel ruolo giocato smarrendo in esso la propria identità, ma quello che riesce a guardarsi mentre recita, ponendo una distanza tra sé stesso e la parte che autore e capocomico gli hanno assegnato. Paradossalmente la libertà nasce e si sviluppa all'interno della necessità e contiene la coscienza del limite.

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