Senofonte |
Italo Calvino |
Come scrittore d’azione, Senofonte è esemplare; se lo confrontiamo con l’autore contemporaneo che più gli corrisponde – il colonnello Lawrence – vediamo come la maestria dell’inglese consistere nel sospendere – come sottinteso all’esattezza tutta fatti della prosa – un alone di meraviglia estetica ed etica attorno alle vicende ed alle immagini; nel greco no, l’esattezza e la secchezza non sottintendono nulla: le dure virtù del soldato non vogliono essere altro che le dure virtù del soldato.
C’è sì un pathos nell’Anabasi: è l’ansia del ritorno, lo sgomento del paese straniero, lo sforzo di non disperdersi perché finché sono insieme essi portano in qualche modo con sé la patria. Questa lotta per un esercito condotto alla sconfitta in una guerra non sua e abbandonato a sé stesso, questo combattere solo per aprirsi una via di scampo contro ex-alleati ed ex-nemici, tutto questo avvicina l’Anabasi a un filone di nostre letture recenti: i libri di memorie sulla ritirata dalla Russia degli alpini italiani. Non è una scoperta di oggi: nel 1953 Elio Vittorini, presentando quello che doveva restare nel genere un libro esemplare, Il sergente nella neve, di Mario Rigoni Stern, lo definiva “piccola anabasi dialettale”.
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