9.5.11

Elezioni per modo di dire.

Mio padre
Mio padre era stato fascista in gioventù e tale si ritenne, credo a torto, finché il cervello gli funzionò.
Ma era soprattutto una persona onesta.
Aveva dieci anni e abitava già in piazza, accanto al Municipio, quando si svolsero le elezioni del 1924, quelle di cui poi, in Parlamento, Giacomo Matteotti denunciò la sostanziale illegalità e l’infinita catena di brogli che aveva propiziato la vittoria del “listone” mussoliniano. E qualche volta ci raccontò dei suoi ricordi. “Libere elezioni? – diceva – Non scherziamo. Ai socialisti e ai comunisti strapparono tutti i manifesti e non fu permesso di tenere un comizio!”. E ci parlò poi delle vere e proprie intimidazioni con cui carabinieri e fascisti sconsigliarono ai braccianti dei quartieri popolari del paese di recarsi alle urne, riuscendo allo scopo con un grande numero di essi.
A mio padre ho pensato stamani ascoltando distrattamente alla radio un’intervista con Emma Bonino che parlava delle elezioni amministrative di Milano. Le ho sentito dire: “Elezioni? Elezioni per modo di dire”. Tra le tante violazioni ricordava quella dei manifesti elettorali: il Comune guidato da donna Letizia non ha riservato gli spazi che dovrebbero garantire ad ogni candidato sindaco ed ogni lista qualche possibilità di comunicazione.
I denari di Berlusconi e della Moratti questa volta prendono il posto degli squadristi di un tempo e tappano la bocca agli oppositori. Spero che a Milano e altrove perdano lo stesso, ma sarà dura. Anche alla tv, per le amministrative e i referendum, i berlusconidi stanno facendo carta straccia di ogni regola.       

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