12.5.11

Quel che resta dell'eros (di Mario Vargas Llosa)

Il premio Nobel Mario Vargas Llosa, autore dell’indimenticato La città e i cani, in margine a una mostra madrilena nei primi giorni del novembre 2009 pubblicò su “El pais” la riflessione che qui ripropongo e che riprendo da “La Stampa”, che ne pubblicò la traduzione italiana il 9 di quel mese. (S.L.L.)
Antonio Canova, Endimione addormentato, Possagno
Esistono molti modi per definire l’erotismo, ma, forse, il più appropriato è «disanimalizzazione» dell’amore fisico: la sua trasformazione da mera soddisfazione d’una pulsione istintiva a un qualcosa di creativo e condiviso che prolunga e sublima il piacere fisico contornandolo di rituali e raffinatezze che arrivano a farlo diventare un’opera d’arte. Probabilmente in nessun’altra attività si è, via via, tracciata una frontiera così evidente tra il bestiale e l’umano come nel campo del sesso: una differenza che, all’inizio, nella notte dei tempi, non esisteva e confondeva i due ambiti in un accoppiamento carnale senza mistero, senza garbo, senza eleganza e senza amore.
L’umanizzazione della vita degli uomini e delle donne è un lungo processo nel quale intervengono l’evoluzione delle conoscenze scientifiche, le idee filosofiche e religiose, lo sviluppo delle arti e delle lettere e, in questo percorso, nulla s’arricchisce di più e cambia tanto quanto la vita sessuale. Essa è sempre stata l’ardente lievito della creazione artistica e letteraria e, di rimando, pittura, letteratura, musica, scultura, danza, tutte le manifestazioni dell’inventiva umana hanno contribuito all’arricchimento del piacere nel comportamento sessuale. Per questo non è peregrino sostenere che l’erotismo rappresenta un momento alto della civiltà e una delle sue componenti fondamentali. Ed è anche un qualcosa che fa tornare a galla quei fantasmi devastanti ed esiziali nascosti nella sfera irrazionale. Freud ha parlato, a questo proposito, di «vocazione tanatica»: lasciati a se stessi e non frenati, tali mostri dell’inconscio, che s’affacciano e pretendono diritto di cittadinanza nella vita sessuale, potrebbero in qualche modo condurre alla scomparsa della specie. Perciò l’erotismo trova, nel divieto, non solo uno stimolo eccitante, ma anche un limite che, se violato, procura sofferenza e morte.
Nessuno più di Georges Bataille ha studiato con lucidità questo doppio aspetto dell’erotismo - vita e morte, dolore e piacere, creazione e distruzione - e, quindi, bene ha fatto Guillermo Solana a dare alla mostra da lui allestita al Museo Thyssen Bornemisza di Madrid lo stesso titolo dato dal saggista francese al suo ultimo libro scritto prima di morire: Lacrime di Eros. Si tratta di un’eccellente rassegna che, attraverso 120 tra quadri, sculture, fotografie e video, illustra la varietà di temi e l’eccellenza formale toccate dall’esperienza sessuale nelle sue più significative espressioni artistiche.
Uno degli insegnamenti più sorprendenti di questa mostra è che l’erotismo non è tanto un fatto a sé, un’entità isolata rispetto ad altre, ma, piuttosto, uno sguardo, una scelta soggettiva, una passione o una mania che si proiettano su tutto erotizzando, a volte, anche realtà che sembravano essere totalmente estranee, o addirittura opposte, come la religione.
È naturale e quasi obbligato che l’antichità pagana, con il suo amoralismo, sia stata ispiratrice feconda di dipinti e sculture erotiche - lo è stata anche la letteratura - e che temi come la Nascita di Venere, le Sfingi, Apollo e Giacinto, Andromeda incatenata e Endimione addormentato abbiano sollecitato grandi artisti a creare opere magistrali. Ma non meno stimolante per la fantasia erotica è stato il cristianesimo, da Eva e il Serpente - tema ricorrente in centinaia di pittori - sino alla Maddalena, la peccatrice pentita e penitente, le cui forme nude, enfatiche o gotiche, sono una delle icone dell’immaginario erotico in tutte le epoche e per tutte le scuole.
La religione ha fatto da spillone per bloccare il volo della creatività e anche da alibi per aggirare la censura ecclesiastica. Se l’esibizione dei corpi nudi di uomini e donne comuni in nome della bellezza per se stessa era censurabile, non lo era, invece, se a esibire i seni, le cosce, le natiche e persino il pelo pubico e gli organi sessuali erano addirittura il Redentore o una santa o un santo. Ad avvalersi di questa strategia per riempire i loro affreschi e le loro tele di nudi dalla discreta o sfacciata concupiscenza sono stati pittori rispettati dall'establishment e dalla gerarchia come Rubens, Ingres, Rodin o Gustave Doré.
C’è un’altra, curiosa conclusione - persino un po’ deprimente - che esce da Lacrime di Eros ed era già stata profetizzata anche da Bataille. La scomparsa di freni e di censure, il totale permissivismo in campo amoroso, invece di arricchire l’amore fisico e di condurlo a superiori livelli di eleganza, raffinatezza e creatività, lo banalizza, lo rende volgare e, in qualche modo, lo riporta indietro, a quei lontani tempi ancestrali quando era solo lo sfogo di un istinto animale. Testimonianza di ciò è la straordinaria povertà dell’arte erotica contemporanea che Guillermo Solana, nonostante i suoi sforzi nel selezionare opere per la mostra, non ha potuto nascondere. È vero che un Picasso o un Delvaux alzano notevolmente la media, ma la maggior parte dei dipinti, dei video e delle sculture di artisti moderni qui esposti sono d’una penosa povertà immaginativa, quando non d’una triste idiozia. Passare dall’Endimione addormentato di Antonio Canova al video David, di Sam Taylor-Wood, nel quale vediamo il calciatore David Robert Joseph Beckham dormire beato appoggiato sul fianco destro, non è solo un «anticlimax», ma un salto dialettico dall’arte vera all’arte frivola (o alla pura e semplice stupidità).
Questo avvilimento e questo degrado dell’erotismo dei giorni nostri è, paradossalmente, conseguenza delle grandi conquiste di libertà sperimentate dal mondo occidentale: il permissivismo sessuale, la tolleranza per pratiche e fantasie che, una volta, erano bollate dal rifiuto della morale imperante, condannate dalla società e sanzionate dalla legge. Scomparso il divieto è scomparsa anche la trasgressione, quell’aura temeraria, la sensazione di violare un tabù, di peccare che, nel passato, dava sapore alla pratica dell’erotismo e che ha così stimolato la creazione letteraria e artistica. Nell’esperienza comune della gente il fatto che la vita sessuale sia passata dalla clandestinità d’un tempo alla pubblica piazza (o poco meno) e che, oggi, l’«erotismo» sia uno degli ingredienti principali della pubblicità commerciale (la Eva con serpente fotografata da Richard Avedon con Nastassja Kinski e il boa constrictor che l’abbraccia è un esempio di quanto voglio dire) e degli annunci economici dei giornali pubblicati da prostitute per attirare clienti, significa semplicemente che l’erotismo ormai non esiste, che è diventato caricatura e fantasma di ciò che era.
È un bene o un male? In termini sociali, indubbiamente un bene. Il perdurare di pregiudizi, divieti e censure ha portato con sé aggressioni, abusi, discriminazioni e sofferenze per molte persone (in questo caso, soprattutto, per le donne e le minoranze sessuali). Ma dal punto di vista delle arti e della letteratura ha voluto dire che il piacere fisico è diventato un tema anodino e convenzionale, come il paesaggio, il ritratto, le marine e gli inni patriottici. Ormai fare l’amore non è più un’arte. È uno sport senza rischi, come correre sul tapis roulant in palestra o pedalare sulla cyclette.

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