31.5.11

Sapore di male. Walter Cremonte e la voce di Antigone ("micropolis" maggio 2011)

La battaglia delle idee
Sapore di male
Salvatore Lo Leggio
Qualche anno fa, Walter Cremonte, ragionando di “poesia civile”, al “sentimento del dolore, della pietà, della rivolta, che è prima e insieme dopo ogni prospettiva di civilizzazione” dava un nome: “la voce di Antigone”. Ci abbiamo pensato leggendo il suo ultimo, prezioso, libriccino di poesia, dal titolo emblematico, Respingimenti (Lietocolle 2011), in cui la voce di Antigone risuona in quella di poveri cristi che, cacciati dall’odio e dalla guerra, dal bisogno o dal sogno di una vita migliore, sbattuti dalle onde, decimati dai naufragi, faticosamente attingono le rive del Mediterraneo da cui li si vorrebbe respingere.
Tema della poesia dell’ultimo Cremonte sono dunque la “Fortezza Europa”, le sue frontiere e i suoi guardiani; è probabile, vista la dedica al fratello Danilo e agli Human Beings, che all’origine dell’ispirazione sia anche il racconto dell’orribile naufragio di Porto Palo, a lungo nascosto e negato da autorità respingenti di destra e di centrosinistra, che il laboratorio teatrale perugino fece in Dal Gorgo /Segnali. Il punto di vista è quello dell’esule, simboleggiato dal pastore Melibeo della prima bucolica virgiliana, di cui, all’inizio della raccolta, è citato a mo’ di epigrafe ed efficacemente tradotto il “Carmina nulla canam… che diventa “Non canterò nessuna canzone”.
Questo “straniamento” rimanda a un altro pastore, quello asiatico con cui Leopardi si identifica nel Canto notturno. Ma lì la voce cantante era dell’uomo-natura, ridotto ai bisogni essenziali, mentre l’esule di Cremonte è pienamente dentro la storia del nostro tempo. Oggetto del suo dire è il mondo unificato dallo sfruttamento e dalla violenza capitalistica: tanto le fughe quanto i respingimenti non sono pertanto destino dell’umanità, ma conseguenza dell’ordine costituito mondiale.
Respingimenti, che io non esito a definire un capolavoro, è di sicuro opera di svolta: a un fare poetico tentato dal nichilismo, che sembra preferire il gioco, l’allusione, l’evasione, Cremonte contrappone la volontà di guardare in faccia alle catastrofi senza nulla nascondersi o nascondere. E tuttavia la sua poesia conserva i tratti che la caratterizzavano fin dai primi versi d’amore e di rivoluzione: poesia materialistica, di sensi e sensibilità, di visioni, sapori, odori, suoni; poesia povera ed ecologica, che fa del riuso la propria bandiera e dà nuova vita a parole trite, stilemi del quotidiano, citazioni d’autore banalizzate. In Respingimenti la voce dell’esule, del tutto credibile in quanto tale, coincide con la voce del “poeta di provincia” e del Cremonte che abbiamo imparato a conoscere e amare conserva i deliziosi imbarazzi, le squisite gentilezze, il tono dimesso.
Brecht lamentava l’impossibilità di “essere gentili” nei tempi orrendi in cui viveva e di ciò chiedeva perdono ai lettori. Sono persuaso che Cremonte, in questa sua fatica, sia riuscito nel miracolo della non-violenza: usare la poesia come arma ed insieme conservarle tutta gentilezza di cui è capace, coniugare la pietas verso l’umanità con la sentenza (e la condanna) irrevocabile che chiude la silloge: “l’assassinio è compiuto / e non c’è altro”. Questo libro mette fine a ogni polemica residua sull’impossibilità di una “poesia civile”. Per darne l’idea basterà un esempio, ispirato a una misura di cui discusse “la politica” nel nostro disgraziato paese: “Prenderanno le impronte digitali / anche ai bambini / ma come – tecnicamente – si fa / con quelle manine, con quei ditini / poi magari li mettono in bocca / così piccini dovranno assaggiare / che sapore cattivo ha il male”.

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