La mia combattiva e libertaria mamma, Liliana Genovese, ricoverata dopo un ictus in una residenza assistita onde favorire la riabilitazione motoria, ha sofferto molto le regole della casa, assai coerenti con le logiche delle "istituzioni totali". A differenza di alcuni suoi compagni di sventura, che mentre recuperavano la deambulazione perdevano la ragione, non si è lasciata andare. Ha scelto di salvarsi attraverso la scrittura, addirittura componendo sotto quei tetti non amati un breve e avventuroso romanzo. Tornata a casa non ha smesso la buona abitudine. Ha scelto di scrivere per i nipoti (12 in tutto, dai 16 ai 40 anni) le fiabe che da nipote aveva ascoltato dal nonno e che aveva tante volte raccontato, con tante varianti. Questa di "masciu Nischisi" è la prima. E mi ha autorizzato a diffonderla. La correda un'immagine realizzata da mio figlio Galileo Lo Leggio, artista digitale di qualche notorietà nel Regno Unito: una scala in una semioscurità che immagino ispirata alle affascinanti narrazioni della nonna. (S.L.L.)
Digital Art di Gal (Galileo) Lo Leggio |
Era l’anno del Signore 1937. Le serate erano lunghe a Petralia Sottana, il paese dove mi trovavo a quel tempo, già a ottobre il freddo arrivava.
A mio nonno col cambiamento di stagione arrivavano i dolori del piede, causa la gotta. Sarà che beveva qualche bicchiere di vino in più o che mangiava pietanze più grasse. Il risultato erano i dolori delle articolazioni e stava a letto a lamentarsi.
Per noi nipoti – 5 eravamo – cominciava un periodo interessantissimo. Il nonno cominciava i racconti…
C’erano una volta, lontano lontano, un uomo e una donna che avevano sette figli. Ma in quella casa non c’era nemmeno una briciolina di pane o un po’ di formaggio; niente, né biscotti né frutta né marmellata, nulla che si potesse mangiare.
Per di più, siccome con la fame si diventa nervosi, se qualcuno dei piccolini si lamentava, un ceffone arrivava di sicuro, o dal padre o dalla madre. “Zitti - dicevano – lasciateci pensare”.
Pensa oggi pensa domani, decisero che sarebbero andati in campagna a cercare un po’ di cibo. E una mattina, svegliatisi molto presto, tutti in fila, si misero a camminare. Cammina cammina arrivarono in una grande pianura, dove non c’era un filo d’erba, ma da lontano si vedeva un broccolo grandissimo. “Fermi” – disse Masciu Nischisi (così si chiamava l’uomo) – questa verdura sarà la nostra cena. Pigliamolo e portiamolo a casa”. “Come facciamo, papà?”.
Cominciarono a tirare. Tira, tira, tira, finalmente si sentì un gran botto. Che era successo? I bimbi erano caduti a terra, quasi svenuti. “Cretini!” – gridò il padre – invece di lavorare vogliono riposare!”. Ma subito tutti si accorsero che dove era cresciuto il broccolo, c’era ora un buco enorme e si intravedeva una scaletta. Dove portava?
I bambini erano presi da paura, ma il padre era molto coraggioso. “Scendo io” – disse; e prese a scendere. A uno a uno anche i piccini cominciarono a seguire il loro padre e arrivarono in una grande stanza dove c’era una tavola grandissima imbandita con ogni ben di Dio. Pasta, carne, frutta, dolci, vino e tante cose ancora. “Che facciamo, papà?”. “C’è da fare una sola cosa: mangiamo”.
Si lanciarono sulle pietanze, aprirono la bocca e cominciarono a buttare dentro quanto più roba potevano. Ma una voce si fece sentire. Era la moglie: “Masciu Nischisi, che vai dicendo? Non si può mangiare senza permesso. Vediamo se dentro c’è qualcuno”.
Si guardarono intorno e si misero a cercare. Cerca cerca videro una porta chiusa. Guardarono dal buco della serratura e apparve una donna bellissima. Chi era? “Papà che facciamo?” – dissero i bimbi. La signora intanto si mise a camminare verso di loro, aprì la porta e disse: “Bravi piccolini! Vi vedo e vi voglio già bene! Mangiate cari! Vedo che avete già incominciato. Io mi assento un momento, poi ritornerò”. Richiuse la porta.
La moglie di Masciu Nischisi cominciò a dire: “Andiamo via subito! Questo posto non mi piace. Bambini, lasciate tutto e andiamo fuori! Vieni pure tu, marito mio”. Masciu Nischisi rispose: “Non mi passa neppure per la testa questo pensiero. Io resto qui, voi andate pure”. Rimasto solo volle dare una sbirciatina dal buco della porta da cui era entrata la signora e rimase paralizzato. La donna si tirava i capelli e sotto aveva serpenti che si muovevano. Anche la pelle della faccia si levava e gli occhi erano infuocati, la bocca sembrava un forno e le mani erano verdi con le unghie blu. “Scappo”- pensò; ma non fece in tempo.
La porta si aprì e una voce gridò: “Masciu Nischisi da quale orecchio vuoi essere mangiato?”. “Da quello che non ha voluto ascoltare mia moglie”.
Conosco la fatica di non permettere alla mente di "andarsene", di cercare una sorta di oblio che sappia dare tregua e conforto (al corpo e all'anima). Anche per questo il racconto, così bello, mi colpisce e mi emoziona...
RispondiEliminaGrazie, Laura