14.6.11

La Marilyn di Ceronetti. Piccola martire bionda.


Per Einaudi Guido Ceronetti ha pubblicato poche settimane fa un racconto-saggio sul Novecento, Ti saluto mio secolo crudele. “Libro di frammenti e dettagli, collage di parole e idee, libro spezzato e insieme metodicamente costruito” – così lo definisce Marco Belpoliti nella sua recensione su “La Stampa” di domenica 5 giugno 2011. Ma anche “diario in pubblico”, come quello che Vittorini costruì a bilancio della sua lunga giovinezza intellettuale. Sulla stessa pagina il quotidiano torinese pubblica uno dei “pezzi” forti del libro, dedicato a Marilyn Monroe, che qui riprendo. La ricostruzione ha più di una ingenerosità, più di una caduta maschilista e anche una dose spropositata di anticomunismo viscerale (l’epiteto di “ignobile dittatore” per il Fidel Castro del 1962 è una stupidaggine e una carognata). E tuttavia mi intriga la forza di alcune ceronettiane intuizioni sui rapporti tra Bellezza e Potere. (S.L.L.)  

Marilyn morì il 4 agosto 1962, un sabato sera, alle 22,30, quando si dice che a Los Angeles accadano morti strane, per restare mito erotico del secolo e vittima emblematica di un destino di sciagura. Era nata il 1° giugno 1926; aveva 36 anni. Cominciò a interessarmi quando divenne «un caso». I suoi film mi apparivano mediocri e noiosi, fatti soltanto per sfruttare la sua bellezza, eccetto il primo, Giungla d'Asfalto, del 1950, di John Huston, ricordo bellissimo di grande cinema, e La magnifica preda, di Otto Preminger, del 1954. Il titolo italiano voleva allettarci, noi popolo di predatori maschi, riempì le sale. L'originale era modesto: The River of No Return, la voce di lei lo percorreva, piena di seduzione staccata dal corpo, triste come un uccellino in gabbia solitario. Il ritornello cadeva come lacrime sul mondo incantato: No Return... No Return...
Il suo fiume-del-non-ritorno fu la corrente che la trascinò insieme ai fratelli Kennedy; la loro Ragione di Stato l'uccise.
Volle ricattare il potere, povera piccola scema, che per un certo tempo ebbe una linea speciale diretta con la Casa Bianca - finchè non fu avvertita di non tentare più di comunicare col Presidente. Aveva lividi per parossismo erotico sulle chiappe, le braccia, l'interno delle gambe. Incontrava a turno i due Potenti nella casa di Peter Lawford, cognato di John, dove non mancavano le microspie, collocate per incarico del padrino mafioso Jimmy Hoffa.
Ce n'erano anche nella sua casa di Brentwood, 12305, 5th Helena Drive, dove nel pomeriggio di quel sabato piombò Bob Kennedy con due gorilla, per offrirle un milione di dollari in cambio di un quaderno rosso, dove Marilyn, credendosi furbissima, annotava tutto quel che succedeva, e ascoltava, durante i suoi convegni con quelle due altre leggende della giungla americana. Pretendeva, la tapina, che Bob divorziasse e la sposasse! Stufa di far da troia clandestina, lei già più volte divorziata, sognava ricevimenti di capi di Stato, con verginità di fenice, da First Lady. La sua arma ricattatoria erano quelle note arroventanti che aveva scritto sul quadernino rosso. Bob urlando e insultando frugò per ore, senza trovarlo.
Ma fu poi ritrovato, quel quaderno? Probabilmente Marilyn, donna senza lettere, l'aveva inventato e reso introvabile per inesistenza. Minacciò il Potere (legale e mafioso) con un'arma scarica. L'amante presidente temeva spiattellasse verità ultrasegrete su Cuba in specie, dove si stava profilando un crisone mondiale per la stupida sfida sovietica di puntare di là, complice il suo ignobile dittatore, batterie missilistiche sulla Florida. Metti che John le avesse detto, mentre le mordeva le irresistibili chiappe: - Oh, non mi preoccupa Fidel, ci penserà la Cia a farlo fuori, quel fottuto!-. Ce n'era abbastanza per togliere di mezzo una imprevedibile ragazza in grado di spargere una battuta simile, scoronando ferocemente il Mito opposto. Nessun uomo, sul punto di eiaculare, può restare abbottonato!
Il Quaderno Rosso vivente era una bocca bellissima, che cantava il fiume-senza-ritorno mentre lo discendeva, e su parecchie altre cose avrebbe potuto cantare convocando una conferenza stampa! Suicidio, si disse, quando il titolo MARILYN DEAD traboccò nei giornali e il corpo della piccola martire bionda era in attesa dell'ordine del Coroner per essere portato alla Morgue, dopo la rituale imbalsamazione. Non ingerì Nembutal: non se ne trovarono tracce nello stomaco e nell'intestino. Accanto a lei non c'era bicchiere né bottiglia d'acqua per ingoiare pastiglie nere. C'erano invece dosi del barbiturico e di cloralio idrato nel sangue e nel fegato, da provocare più d'una morte. Nessuno udì grida. Nuda fu trovata, come appariva nei calendari, distesa sulla pancia, infilata di supposte letali. Un anno e quattro mesi dopo qualcuno vendicò a Dallas quella triste carne che si aggrappava a un'anima disperata. E il 6 giugno 1968, sempre nella stravagante Los Angeles, anche Bob Kennedy incontrò il suo Fato, mentre, forse, stava per raggiungere anche lui il trono della Casa Bianca. D'indecifrato, resta parecchio. La certezza è questa: il mio secolo crudele prescrisse a Norma Jeane, figlia di una madre pazza e di un padre fotografo di nome Stanley Gifford, un destino dei peggiori. Punita per aver segnato l'epoca con la sua nociva bellezza, o cara agli Dei per non aver conosciuto vecchiaia? Un segno che fu dato, dentro un soffrire.
«C'è una speciale Provvidenza nella caduta di un passero».
Il Fiume Senza Ritorno risalirà alla sorgente.   
 

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