2.6.11

L'Italia è in ginocchio. Via Berlusconi! Reddito di cittadinanza!

L’articolo che posto qui sotto, come appendice, è l’editoriale di Loris Campetti sul “manifesto” del 24 maggio, dunque prima dei travolgenti ballottaggi continentali (il voto siciliano, come è già accaduto altre volte, è sfasato, in tutti i sensi): contiene, pertanto, un appello elettorale che è stato ampiamente seguito. Ma non è affatto un articolo invecchiato. Mi pare che il commento dei dati, sempre più allarmanti, sulle povertà vecchie e nuove del nostro paese, sul suo declino, sia puntuale ed incisivo. E mi pare che implicitamente proponga una linea semplice e incisiva alla sinistra, centrata su due punti, intanto: Via Berlusconi! e Reddito di cittadinanza!
Conosco, in anticipo, le obiezioni, soprattutto sulla seconda parola d’ordine.
Di metodo: “la situazione è complessa, la politica è complessa, il mondo è complesso; non ci sono soluzioni semplici.
Di merito: “non ci sono i soldi” oppure “non è il modo giusto”.
Io credo che, invece, la solidarietà con i lavoratori senza lavoro e con i cittadini senza reddito sia il cardine di ogni possibile politica economica di sinistra ed, insieme, la via giusta perché l’Italia possa risollevarsi.
Intanto, domenica 12 e lunedì 13, vinciamo i referendum, tutti.
Poi tutti in piedi e tutti in piazza, donne e uomini, ragazze e ragazzi, vecchie e vecchi, bambine e bambini (perché no?), lavoratrici e lavoratori  occupati e disoccupati, pubblici e privati, attivi e pensionati, studentesse e studenti, studiose e studiosi. Con la Cgil, i Cobas, le associazioni, i partiti, i partitini, “il manifesto” e “micropolis”.
Via Berlusconi!
Reddito di cittadinanza!
  
appendice
“il manifesto” 2011.05.24
*       EDITORIALE di Loris Campetti
*       ITALIA IN GINOCCHIO
Un paese invecchiato, sfibrato e sfiduciato. Un paese in ginocchio. È questa la radiografia dell'Italia berlusconizzata in cui crollano le aspettative di lavoro, i giovani cervelli fuggono all'estero, quelli che restano conducono una vita precaria sostenuta dai genitori che però stanno impoverendo. Diminuisce il risparmio, persino la scolarizzazione è in caduta libera. Si lavora e si studia sempre di meno, non si fanno investimenti, si ammazza la ricerca. Ieri ce l'ha raccontato l'Istat, domenica l'abbiamo visto in una delle più efficaci puntate di Report, sabato è stata la volta del Censis.
Altro che luci e ombre, come goffamente sostiene, arrampicandosi su specchi insaponati, qualche pierino in forza al governo: l'Italia è al collasso, sempre più diseguale tra nord e sud e tra ricchi e poveri, tra uomini e donne e tra lavoratori (o aspiranti tali) indigeni e migranti. Certo, lo sapevamo, ce l'ha raccontato qualche mese fa Marco Revelli nel suo ultimo libro Poveri noi. Il fatto grave è che non si vede inversione di tendenza; anzi la crisi, che ormai è anche sociale e culturale, si sta aggravando e il tunnel sembra sempre più lungo e scuro.
Questa debacle che ci getta nel sottoscala dell'Europa non è tutto «merito» di Berlusconi, ma nessun altro sarebbe riuscito meglio del telepredicatore delle paure in questo miracolo al rovescio. Con una politica economica dissennata che ha distrutto risorse intellettuali e materiali. E viene ancora a raccontarci che dovremmo avere paura dei comunisti, dei rom, dei minareti, dei centri sociali, quando è proprio da Berlusconi, dal suo governo e dalle sue politiche che dobbiamo guardarci. Già parlare di politica economica - per non dire industriale - è un eufemismo: Berlusconi lo sfrontato e Tremonti il contabile non hanno progetti per il paese, sanno solo tagliare, tutto tranne i sottosegretari, i capital games e i loro interessi. Siamo rimasti uno dei pochi paesi in cui parlare di reddito di cittadinanza è una bestemmia, ci riempiono la testa con l'amore e la famiglia mentre sterilizzano l'amore (fare figli è un lusso per pochi) e immiseriscono l'ultimo ammortizzatore sociale per un paio di generazioni di giovani precarizzati o espulsi. Poi ci dicono che dobbiamo riprendere a consumare. Finalmente dal paese qualche segnale di vita è arrivato: dai giovani, dagli operai e dagli studenti che portano in piazza la loro dignità, e dalle urne, domenica prossima, potrebbe arrivare un secondo segnale generale: l'Italia ha paura, sì, ma di Berlusconi ed è pronta a liberarsene.

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