27.7.11

Il volontariato nel nazionalsocialismo tedesco (di Claudio Vercelli)

Questo post è costituito da un brano della recensione di Claudio Vercelli su “il manifesto” del 7 luglio 2010 di un libro di Peter Fritzsche (Vita e morte nel Terzo Reich, Laterza, 2010). La riflessione che propongo prescinde, almeno in parte, dal libro recensito e parlando del passato ci aiuta a comprendere le armi delle destre di oggi (dei berlusconidi e dei leghisti, in primo luogo) e a guardare in faccia i rischi che corriamo. (S.L.L.)
Sigfried Kracauer ebbe modo di notare che il Terzo Reich veniva rappresentandosi in modo tale da sembrare un film, consentendo così al gruppo di potere nazista di sfumare il «confine tra realtà e immaginazione». Si trattava di infondere nella popolazione l'idea di fare parte di una grande raffigurazione, partecipando alla storia in una prospettiva «eroicizzante». La chiave di volta del nazismo consisteva nel comunicare l'unione, il superamento delle divisioni. Uno strumento di consolidamento del consenso era il ricorso al volontariato come forma permanente di sollecitazione sociale. Ciò serviva a dare l'idea di una comunità mobilitata, presa dalla cura di sé, dopo gli anni del «disprezzo», quelli repubblicani, dove la separazione del corpo nazionale (che è invece un tutt'uno) aveva predominato. Il volontariato inquadrava, organizzava, comunicava, univa, celebrava, sanciva. Soprattutto permetteva quel capillare (auto)controllo della società tedesca che nessuna polizia politica, per quanto potente, e nessun potere, per quanto onnisciente, avrebbero mai potuto ottenere. Alimentava infine una atmosfera febbrile, energica, di costante movimentazione: era il «socialismo dei fatti», attuato attraverso un fascio di forze omogenee.

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