10.8.11

Dialetti italiani. Un'opera monumentale. Una ricerca infinita.

Ugo Pellis
“La Stampa” del 26 gennaio lanciava, attraverso un articolo di Raphael Zanotti un allarme paradossale. Mentre alcuni governi regionali del Nord tentano di prescrivere come condizione per l’insegnamento nelle scuole la conoscenza del dialetto locale, per escludere gli “intrusi” su pressione dei leghisti, mentre gli assessori del movimento di Bossi a spada tratta difendono i dialetti anche nelle province e nei comuni, uno dei più grandi patrimoni linguistici d'Italia, appunto quello dialettale, rischia di finire in un armadio dell'Università di Torino ad ammuffire nel disinteresse generale delle istituzioni. 
Si tratta dell’Atlante Linguistico Italiano, la più vasta e approfondita ricerca sui dialetti mai compiuta in Italia, un'opera titanica la cui pubblicazione è prevista in venti volumi editi dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Ma dopo la pubblicazione del settimo, appunto in gennaio, tutti gli altri potrebbero non vedere la luce per mancanza di finanziamenti e sostegni. L'Atlante non e' inserito nel catalogo del ministero dei Beni culturali. La ricerca che sta alla base dell’Atlante iniziò nel lontano 1925 con la guida del filologo friulano Ugo Pellis che, sacco in spalla, percorse centinaia di chilometri a piedi per raggiungere 727 dei 1009 punti di rilevamento. Il suo appassionato lavoro, interrotto durante la seconda guerra mondiale, venne ripreso nel dopoguerra e concluso nel 1965. Il risultato e' un'imponente mole di materiale costituito da oltre 6 milioni di schede, 10.000 foto e 36 milioni di parole. Il progetto che si sta portando avanti è quello di creare un database computerizzato che consenta la pubblicazione di 2000 carte geografiche riportanti i diversi modi di dire ancora oggi utilizzati, o ormai estinti, degli italiani. «Un patrimonio culturale gigantesco - spiega Massobrio, preside della Facoltà di Lettere all’Università di Torino - In Italia si può dire che esiste un dialetto praticamente per ogni comune, circa 8000, e può cambiare anche a distanza di poche centinaia di metri. L'Atlante riporta parole del mondo marinaresco, di quello rurale, di mestieri perduti come i mestolai, di professioni artigiane come i venditori di cavalli. La ricchezza lessicale corrisponde a quella della cultura materiale. Si pensi che alcuni tipi di aratro catalogati in Sardegna da Pellis all'inizio del 900 risalivano addirittura ai punici». Il quotidiano torinese, nello stesso giorno, pubblica una bella conversazione di Mario Baudino con il professor Gian Luigi Beccaria e con il suo aiuto riflette sul significato dell’impresa di ricerca compiuta, i cui risultati sono oggi a rischio. La riprendo anche perché contiene spunti che oltrepassano il tema specifico. (S.L.L.)
Una foto di Ugo Pellis nella Sardegna degli anni Trenta
''Un lavoro infinito. Ma e' questo il bello''
Cent'anni fa il glottologo Matteo Bartoli, che stava raccogliendo sull'isola di Veglia i resti dell'antico dialetto dalmatico, si trovò a dover malauguratamente interrompere le ricerche perché una mina uccise il suo unico informatore, Udina Burbur, scalpellino.
Lo racconta Gian Luigi Beccaria in Tra le pieghe delle parole, uscito per Einaudi nel 2007. Nell'introduzione fa un parallelo tra le specie vegetali e le lingue: innumerevoli, forse incalcolabili, con un metabolismo di vita e di morte che ci beffa sempre. Per molte lingue e per molti dialetti (la differenza e' nell'importanza sociale e culturale, e nel livello di codificazione raggiunto dalle une e dagli altri) conosciamo la data di estinzione. In qualche caso sappiamo a malapena che sono esistite. Il cornico (lingua - o dialetto - della Cornovaglia), è morto ufficialmente il 27 dicembre 1777 con la scomparsa dell'ultima popolana, un'anziana domestica, che lo parlava ormai in perfetta solitudine, a proprio esclusivo e malinconico beneficio. Per la cronaca si chiamava Dolly (o Dorothy) Pentreath, battezzata nel 1692. Quante Dolly Pentreath sono esistite o esistono al mondo? La risposta è che non lo sa nessuno. L'ambizione di catalogare pare utopia, cartografia dell'impossibile: un sogno borgesiano, simile alla bizzarra anagrafe in cui i Mormoni tentano di elencare l'umanità in vista del giudizio universale.
«A differenza delle lingue, che sono costanti e fissate da un lavorio di secoli, i dialetti sono fasci di altri dialetti. Non esiste il piemontese o il lombardo, ma il torinese, l'astigiano e via di seguito» spiega Beccaria. Di più: sono fasci di fasci, quasi una corsa all'infinitamente piccolo. Possono esserci variazioni all'interno dello stesso paese, tra un quartiere e l'altro, e soprattutto in passato, nella civilta' contadina, tra maschi e femmine, tra figli e genitori, tra mestieri diversi.
«Già Leopardi nello Zibaldone sottolineava come in Italia la parlata cambiasse ''da contrada a contrada''», ricorda lo storico della lingua.
Ma a questo punto, qual e' il senso di un atlante? «E' un reticolo che ci da' un quadro dell'Italia del primo Novecento. Certo, i ricercatori non hanno potuto approfondire neanche allora tutti i nomi e le parole che registravano, ma hanno fissato dei punti e disegnato appunto una rete». Ci basta? «Come in tutte le ricerche sono molti i pesci che scappano, e anzi continuano a scappare. Quelli non li riprendi più, forse il bello di un lavoro di questo genere e' proprio che e' infinito. Importa piu' la ricerca che il risultato di un atlante esaustivo. Però una rete sulla realtà è una forma di conoscenza che ti permette di muoverti, di viaggiare, di riconoscere la geografia e la storia del Paese».
Come una carta geografica? «Anche quella non corrisponde esattamente, punto per punto, alla superficie terrestre. E' un'altra cosa ma serve per muoversi».
La carta perfetta sarebbe eguale anche per dimensioni a ciò che si vuole cartografare. Sarebbe un impossibile doppio della realtà, invece che un sistema di segni. Qualcosa di simile vale per la linguistica. «Non puoi catalogare tutti i punti: cammini in una certa area e ogni tanto ti fermi, registri le parole del luogo. Ma non potrai mai arrestarti a ogni passo, non arriveresti mai alla tappa successiva». Bisognerà persino decidere quant'é lungo un passo.   

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