15.9.11

Complotti. Vaticano 1978: chi ha paura del Papa che sorride? (Alfio Caruso)

Nell’estate del 2006 su “La Stampa” il giornalista e storico Alfio Caruso rievocava alcuni tra i più oscuri “complotti” degli ultimi due secoli. Uno degli articoli, del 21 agosto, era dedicato alla misteriosa morte di Albino Luciani, Papa Giovanni Paolo II, a un mese circa dalla sua ascesa al soglio di Pietro. Ci sono molte cose che il Vaticano avrebbe dovuto e ancora dovrebbe chiarire non solo intorno alla sua morte, ma dubito che lo farà mai. (S.L.L.)
Papa Luciani
Il mistero comincia sin dall'ora del decesso: intorno alle 23 del 28 settembre 1978, come dichiarato dal medico che esaminò il cadavere, o intorno alle 4 del 29, come affermato dai fratelli Ernesto e Arnaldo Signoracci, convocati per l'imbalsamazione? Il dettaglio è ininfluente sia per i sostenitori della morte naturale, sia per i sostenitori del delitto camuffato da morte naturale, ma fotografa il groviglio di sospetti, maldicenze, contraddizioni che dal primo giorno accompagna l'improvvisa scomparsa di Albino Luciani eletto Papa, con il nome di Giovanni Paolo I, il 26 agosto 1978. I trentatre giorni più convulsi nella storia del pontificato con l'immancabile comparsa del Terzo Segreto di Fatima, dovuta all'incontro del '77 fra l'allora cardinale Luciani e suor Lucia dos Santos, l'unica sopravvissuta dei tre fanciulli interlocutori della Madonna.
La sua elezione al soglio era stata una sorpresa per il grosso pubblico dei fedeli, ignari delle segrete cose, un po' meno per gli apparati della Chiesa. Nell'ultimo decennio, infatti, Luciani si era guadagnato la fiducia di Paolo VI, che l'aveva nominato cardinale e durante un viaggio in Laguna gli aveva imposto la stola papale sulle spalle. L'ex curato di campagna veneto era attestato sulle posizioni dottrinali di Montini, benchè sull'argomento più scottante, il controllo delle nascite, mostrasse un'apertura irritante per l'ala conservatrice del Vaticano. Cresciuto nella divulgazione quotidiana della fede, Luciani era l'uomo del sorriso, del contatto continuo con i credenti, di uno stile di vita immacolato, lontanissimo dalle tentazioni e dalle permissività della Curia romana. Forse fu proprio tale distanza a guadagnargli il favore del conclave. Bastarono tre votazioni per sbaragliare i favoriti Siri e Pignedoli. Alla sua elezione avevano contribuito il partito italiano di Benelli e quello europeo del polacco Wojtyla, del belga Suenens, dell'olandese Willebrands, accomunati dal desiderio di avvicinare al mondo il trono di Pietro. E gli atti iniziali del nuovo pontefice furono in questa direzione: abolizione del pluralis maiestatis (il «noi»), rifiuto dell'incoronazione quale cerimonia d'apertura, sofferta accettazione dello stemma gentilizio per non inimicarsi da subito la burocrazia papalina. Con la quale, però, lo scontro era inevitabile. E così ci si addentra subito nel dedalo di ostilità e inimicizie, che per i fautori del complotto costituisce il movente stesso dell'omicidio.
Luciani nutriva dal '72 scarsa simpatia per il vescovo Paul Marcinkus, numero uno dello Ior (Istituto opere religiose): aveva dovuto leggere sul “Gazzettino” che la Banca Cattolica del Veneto, di cui lui, in quanto patriarca di Venezia, aveva la guida spirituale, era stata ceduta al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Luciani aveva comunicato a Paolo VI il proprio dispiacere per esser stato tenuto all'oscuro, ma Marcinkus, autore della vendita, si era rifiutato di fornire spiegazioni. Quelle che invece, da papa, Luciani adesso pretendeva su molte operazioni della banca vaticana, senza probabilmente immaginare che il suo legittimo desiderio di trasparenza e di correttezza avrebbe messo a nudo i manovratori occulti dello Ior: Sindona, Calvi, Gelli. La ricognizione sullo Ior comportava un esame accurato anche dei conti dell'Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica), presieduta dal cardinale francese Jean Villot, segretario di Stato e legatissimo a Montini. Villot si batteva per la continuità tra un pontificato e l'altro, di conseguenza si era già trovato in disaccordo con le prime scelte di Giovanni Paolo I. Non a caso crescevano le voci di una sua imminente sostituzione con il cardinale Benelli, ex vice segretario di Stato, che egli stesso aveva contribuito a esiliare qualche anno prima a Firenze. E proprio in quei giorni il nome di Villot apriva la lista dei 121 ecclesiastici iscritti alla massoneria. L'elenco era stato pubblicato dalla rivista Op, diretta da Mino Pecorelli, membro della P2, al centro di trame e ricatti tra servizi segreti, finanza e politica. Una mano anonima aveva inserito l'articolo nella rassegna stampa sfogliata ogni mattina dal Papa. Questi aveva subito chiesto al cardinale Felici se la lista potesse essere veritiera. Verosimile, era stata la risposta. L'elenco faceva impressione: oltre a Villot, comprendeva monsignor Agostino Casaroli, ministro degli Esteri della Santa Sede, il cardinale Ugo Poletti, vicario di Roma, il cardinale Sebastiano Baggio, Marcinkus, monsignor Donato De Bonis, dello Ior, don Virginio Levi, vice direttore dell'Osservatore Romano, padre Roberto Tucci, direttore della Radio Vaticana, monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI. Con il disincanto tipico del vecchio habitué di Curia, Felici osservò che liste simili circolavano da sempre e che la prassi era di non prenderle in considerazione. D'altronde, aggiunse con un pizzico di malizia, Paolo VI aveva varato un comitato per cancellare la scomunica che da secoli veniva comminata ai massoni e il cardinale Villot ne era apparso entusiasta. Sentimento non condiviso da Luciani: per lui la massoneria incarnava il nemico di Roma. Pur intuendo che il suo amato Montini avesse aperto le porte delle mura leonine a una schiera di piduisti - Gelli, Ortolani, Sindona, Calvi - era contrarissimo a quell'insana commistione rivolta soltanto al profitto. Il Papa proveniente da una famiglia di poveri operai socialisti ipotizzava una Chiesa che mettesse le proprie sostanze a disposizione degli ultimi. Esattamente il contrario di quanto avvenuto con il cardinale John Cody, responsabile dell'arcidiocesi di Chicago, il cui budget annuo sfiorava i 300 milioni di dollari dell'epoca. Nei tredici anni d'incarico Cody aveva seminato malcontenti, cattivi affari e perfino uno scandalo sessuale: la sua eccessiva amicizia con una bionda signora, Helen Wilson, impiegata della cancelleria. Le aveva stornato centinaia di migliaia di dollari, compresi quelli necessari all'acquisto di una casa in Florida, ne aveva favorito gli affari del figlio. Il giorno della nomina cardinalizia di Cody, nella foto ufficiale la bionda Helen sorrideva alle spalle di Montini. Nonostante la valanga di accuse e di rimostranze, Cody si era salvato grazie alla protezione di Marcinkus, originario di un sobborgo di Chicago, Cicero, e soprattutto sensibile alle cospicue donazioni elargite dal cardinale allo Ior. Ma la destituzione che Paolo VI aveva continuamente rinviato, Giovanni Paolo I si apprestava a compierla. Ecco, dunque, completato il quadro di coloro che avrebbero beneficiato, e che poi in effetti beneficiarono, della scomparsa di Albino Luciani. Ovviamente manca la prova indiscutibile dell'assassinio. Il rapporto ufficiale parla d'infarto del miocardio, le supposizioni malevole fanno riferimento all'uso della digitalina, un farmaco che ne produce gli effetti, o a una dose eccessiva di Effortil, il medicinale assunto per ovviare alla bassa pressione. Si è molto speculato sulla sparizione degli effetti personali del Papa (occhiali, pantofole, medicine); sull'annuncio che fosse morto tenendo in mano L'imitazione di Cristo - invece leggeva alcune carte, mai rintracciate e subito divenute l'elenco delle imminenti nomine -; sulla presenza di Marcinkus in Vaticano a un'ora per lui desueta; sulla decisione d'imbalsamare il corpo prima che fosse stabilita un'eventuale autopsia, pratica per altro insolita nel rigido protocollo pontificio; sull'inattesa ispezione medica del 3 ottobre, alla vigilia del funerale, con l'annuncio che vi avevano presenziato due medici e i fratelli Signoracci, tutti concordi, invece, nello smentire di avervi preso parte. Inutile aggiungere che agli occhi dei complottardi l'ispezione si trasformò nell'autopsia, la quale avrebbe confermato l'avvelenamento e per questo motivo tassativamente negata. Di avviso opposto la famiglia Luciani. Fratello, sorella, nipoti mai hanno dubitato della morte accidentale del famoso congiunto. La nipote prediletta, Pia, ha ricordato che al ritorno da un viaggio in Brasile allo zio era stato riscontrato un embolo nell'occhio: l'oculista ridendo gli aveva detto che se l'embolo si fosse fermato altrove sarebbe deceduto all'istante.   

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