24.10.11

Amore. Una storia della canzone italo-americana (di Simona Frasca)



Dean Martin e Frank Sinatra
Su "alias" del 30 aprile 2011 Simona Frasca recensisce un libro do Mark Rotella sulla musica degli italo-americani non ancora tradotto in italiano. Si fanno, leggendolo, scoperte sorprendenti come quella di un Frank Sinatra accusato non solo di essere mafioso, ma anche comunista. (S.L.L.)
Perry Como
Usa 1950, l’alba dell’emigrante pop
A guardarlo in foto con gli occhi malinconici, quasi imploranti Mark Rotella dichiara tutta la sua storia ancestrale di figlio dell’Italia laboriosa ma prostrata dalle incertezze e dalle calamità naturali come il terribile terremoto di Messina del 1908, animata da speranza, tenacia e coraggio che alla povertà in patria preferì la via dell’emigrazione all’inizio del secolo scorso. Amore (ed. Farrar, Strauss & Giroux), per ora edito solo negli Stati Uniti, è il suo secondo libro ed è un saggio romanzato che pur strizzando l’occhio al mercato dell’editoria americana, più intransigente del nostro, mantiene una chiave interpretativa univoca del fenomeno restando vicino all’area dei «cultural studies».
Nel libro si traccia il perimetro delle tappe fondamentali della musica italoamericana attraverso gli interpreti e un cospicuo gruppo di canzoni che fanno la storia non solo del genere ma dell’intera tradizione pop statunitense. L’orecchio di Rotella intercetta alcuni documenti musicali che più di altri insegnerebbero ad ascoltare questa musica come l’effetto dell’antica diaspora italiana negli Stati Uniti in cui la parola amore del titolo racchiude il simbolico della nostra cultura traslata lì e lentamente nazionalizzata fino al punto di diventare parte effettiva della grande miscela multietnica
della cultura «americana». I ricordi personali cadenzati da viaggi in Italia finalizzati al recupero di elementi legati all’affettività della propria vicenda biografica si intrecciano con la storia ufficiale di quel repertorio cosicché il racconto tende verso l’interconnessione tra testimonianze individuali e trasposizione collettiva con un’oscillazione a favore delle prime.
Racconta Rotella: «Ho scoperto i cantanti italoamericani da poco sebbene molti di loro abbiano accompagnato la mia infanzia. Il rock negli anni Novanta, mi riferisco soprattutto al grunge, era cinico, intimo, immerso in se stesso. In quegli anni mentre i miei coetanei ascoltavano quel tipo di rock io mi avvicinai a Dean Martin, Lou Monte, Connie Francis e a Domenico Modugno perché avevo bisogno di ascoltare voci che non parlassero solo di dolore ma potessero tirarmi fuori dall’umore plumbeo nel quale mi trovavo in seguito alla diagnosi di cancro comunicata poco prima a mia moglie. Un cantante in particolare aveva la capacità di farmi sentire pronto a conquistare il mondo e contemporaneamente mi permetteva di indulgere ai miei stati d’animo più terribili, quel cantante era Frank Sinatra. Lui si mostrava duro e vulnerabile nello stesso momento, capace di condividere con te il suo stesso dolore. Le canzoni italiane o di sapore italiano grondano linfa vitale, raccontano storie molto più vere della musica pop. In realtà solo successivamente mi sono reso conto del fatto che si trattava di cantanti italiani. C’erano tra questi Bing Crosby e Nat King Cole ma il cuore di quelle canzoni era italiano ed era nato tutto tra gli anni Quaranta e Cinquanta».

Uno dei momenti più significativi per la formazione del repertorio italoamericano più noto è il periodo compreso tra la fine della seconda guerra mondiale e la fase della cosiddetta British Invasion, ovvero la diffusione inarrestabile del beat rock inglese in seguito al tour Usa dei Beatles del 1964 che di fatto scalzò il primato del rock a stelle e strisce.
La storia del genere si evolve in una manciata di decenni fino a raggiungere l’acme alla metà del Novecento, da Enrico Caruso che rappresenta la vicenda dell’italiano di successo che si trasferisce negli States e lì imprime un’identità musicale specifica al gusto per certi aspetti ancora acerbo degli americani, a Russ Columbo che negli anni Trenta insuffla abbondanti dosi di orgoglio italiano in America. Columbo, in Italia quasi uno sconosciuto, era noto dall’altra parte dell’Oceano come il Romeo della canzone, dotato di una voce baritonale sensuale e languida gareggiava negli anni Trenta con Rudy Valée e Bing Crosby fino al punto che i loro show erano pubblicizzati per radio con l’espressione «la battaglia dei baritoni».
Gli anni subito prima l’arrivo del rock’n’roll inglese segnarono un passaggio sociale importante per gli italoamericani, durante quel periodo essi si liberarono dalla loro condizione subalterna che li identificava tout court con la working-class legata ai quartieri di Brooklyn e del Bronx o delle zone a sud di Philadelphia, al mondo dell’edilizia o al commercio minuto di negozi di alimentari, barbiere o bar. Era il momento per di farsi largo nel mondo del lavoro ben remunerato e socialmente più invidiabile e da qui di partecipare in prima persona alla ridefinizione della «popular culture» americana. Erano stati anni di frustrazione e rabbia e tutto questo era mirabilmente raccontato dalla voce di Frank Sinatra. «Nel 1947 a distanza di 4 mesi - scrive Rotella in uno dei capitoli dedicati a The Voice - Vic Damone e Sinatra incisero I Have but One Heart, ispirato alla canzone napoletana ‘O Marenariello.
Damone raggiunse il settimo posto in classifica e lo mantenne per 7 settimane, aveva 17 anni ed era praticamente uno sconosciuto al di fuori della comunità italoamericana, Sinatra arrivò al tredicesimo e ci restò per due settimane soltanto. Ma la cosa eccezionale era che un giovane italoamericano aveva gettato un’ombra su Sinatra che proprio in quel periodo sperimentava il momento peggiore della sua carriera, la stampa Usa gli era avversa perché lo accusava di essere un comunista, legato alla mafia, di aver aggredito i giornalisti e tradito la moglie. Da un giorno all’altro i 7 milioni di italoamericani che fino a quel momento avevano vissuto negli Stati Uniti quasi in disparte come in un’enclave all’interno dei grandi agglomerati urbani divennero visibili alla nazione intera e questo grazie alla musica».
Tre le parti in cui sono distribuiti i 40 capitoli del libro. «The Old Country» racconta la maniera ancora tutta italiana di proporre la canzone all’inizio del Novecento, qui Rotella include tra le altre le vicende di Louis Prima all’epoca delle registrazioni di Sing, Sing, Sing e Angelina e il Perry Como di Prisoner of Love. «The Italian Decade», ovvero gli anni Cinquanta, aprono il grande libro della canzone italoamericana con i racconti su Damone, Mario Lanza, Frankie Lane, Tony Bennett, Dean Martin, Alan Dale, Connie Francis, Elvis Presley e i gruppi doo-wop italiani. Infine con la terza parte intitolata «Las Vegas» Rotella celebra l’epitaffio di questa stagione culturale concentrandosi sulla vicenda della sezione italiana del Rat Pack (gruppo di ratti) ovvero Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis Jr. che italiano non erama che senza di loro avrebbe vissuto un’altra vicenda artistica. La strategia dei tre sul palco tirava in ballo apertamente tensioni razziali e giochi verbali espliciti che paradossalmente assicuravano un equilibrio stringente alle loro performance, come quando Dean Martin per introdurre sul palco Davis Jr. lo presentò come un regalo della Naacp, la più influente e antica associazione nazionale per la promozione degli afroamericani.
Nel libro non mancano istantanee di fenomeni musicali e sociali legati alla storia popolare italiana, nel capitolo dedicato a Enrico Caruso ad esempio c’è spazio per una breve incursione, forse troppo fuggevole, nel repertorio dei canti del folklore del sud Italia. A Caruso anche da parte degli osservatori americani viene riconosciuto il ruolo di primo divo discografico sebbene per Rotella resti importante soprattutto come interprete d’opera lasciando nell’ombra la sua vicenda, fondamentale per la comunità italiana, di cantante «leggero» legato al repertorio partenopeo.

“alias” 30 aprile 2011


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