14.10.11

Islanda. Pagine «italiane» di Laxness e Vilhjámsson (A.S.)

Le avventure di Pittigrilli nella terra del ghiaccio e del fuoco
                                                                                                   
Chissà se quel Salvatore Bambara, che conobbe Halldór Laxness a Taormina, immaginava di diventare di lì a poco un personaggio di un romanzo. Sarebbe infatti comparso nel Vefarinn mikli frá KasmírIl grande tessitore del Kashmir»), pubblicato nel 1927, per la cui stesura lo scrittore islandese si era ritirato proprio in Sicilia, nella Taormina del pittore Otto Geleng, dei fotografi Wilhelm von Plüschow e Wilhelm von Gloeden, del filosofo Friedrich Nietzsche, ma anche di Goethe e di Wilde.
Stregato dal nostro paese, non soltanto per motivi letterari, ma anche per genuino interesse verso il Volksgeist, Halldór Laxness vi tornò più volte, stringendo contatti con la scena culturale italiana. Addirittura, nel 1964, il critico Giancarlo Vigorelli lo invitò a partecipare attivamente al ComES («Comunità Europea degli Scrittori»). Sulla rivista fondata da Vigorelli, «L'Europa letteraria», Laxness pubblicò l'articolo L'umanesimo e lo scrittore di oggi.
Tra l'altro, già nel 1937, sul periodico Rauðir pennarPenne rosse») era comparso un divertentissimo racconto di Laxness, Ósigur ítalska loftflotans í Reykjavík 1933 (uscito in Italia vent'anni dopo, sulla rivista «Il ponte», con il titolo La sconfitta della flotta aerea fascista a Reykjavík), che dipingeva a tinte vivaci il temperamento degli italiani giunti in visita in Islanda insieme al ministro dell'Aeronautica - nel testo chiamato «Pittigrilli», ma non è difficile riconoscervi Italo Balbo - furibondi con il giovane portiere dell'Hótel Borg, Stebbi, convinto che l'uniforme del personale dell'albergo sia uguale a quella fascista. In tutto un agitar di braccia e in un mitragliar di parole, «Pittigrilli» accusa Stebbi di avere infangato - scrive Laxness in un italiano a bella posta spropositato, per prendersi gioco della pompa che contraddistingueva la retorica italiana di quegli anni - «la grandissima eternissima patria della gloria». Se gli islandesi ricordano ancora, non senza qualche sorrisetto, la visita del 1933, è anche grazie allo spirito di quel racconto.
Anche Thor Vilhjálmsson aveva sviluppato una vera e propria fascinazione per l'Italia. Aveva studiato la nostra lingua, e chi lo ha conosciuto sa che era capace di citare ex abrupto terzine dantesche, nel suo vocione baritonale. Acuto osservatore del panorama culturale italiano, nel 1981 scrisse uno splendido articolo in reazione alla pubblicazione del romanzo Un uomo, di Oriana Fallaci. E fu ancora Thor a tradurre nel 1984, per la casa editrice Svart á hvítu, Il nome della rosa di Umberto Eco, e nel 1995, per l'editore Setberg, Va' dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro.
Parrà sorprendente che in una nazione così poco popolata trovi posto anche un angolo di Italia. Eppure è così, esiste un'Associazione Italiana d'Islanda, che raccoglie tutti gli italo-islandesi (poco più di duecento persone), e dal 1995 l'Università d'Islanda ha aperto un lettorato di lingua italiana.

Alessandro Storti su “il manifesto” 12 ottobre 2011

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