22.10.11

Profilo di Tagore (di R.S.)

“Alias” del 22 ottobre 2011 dedica la sua parte monografica a River to river, un festival dedicato al cinema indiano che si svolgerà a Firenze nei primi giorni di dicembre e che prevede al suo interno uno spazio di riflessione dedicato a Tagore, poeta tra i più grandi. Ne riprendo il profilo che è siglato R.S.; credo che si tratti di Roberto Silvestri (S.L.L.)
A Rabindranath Tagore (nome anglicizzato di Rabíndranáth Thákhur  - Calcutta, 6 maggio 1861 – Santiniketan, 7 agosto 1941), premio Nobel per la letteratura nel 1913, tra i massimi poeti e filosofi della decolonizzazione (come Shengor, Césaire, Yeats) «River to River» dedica quest'anno un importante focus, sia per la sua attualità «politico-culturale» (fu un nazionalista anti nazionalista) che per i suoi stretti legami culturali con il più celebre cineasta indiano, Satyajit Ray che diresse dalle sue opere Teen Kanya (Tre sorelle, ’61); Charulata (La moglie solitaria, ’64) e Ghare Baire (La casa e il mondo, ’84) e che spesso lo ha ritratto in quadri e disegni.
Quest’ultimo testo, sul terrorismo e l’assassinio politico, durante le lotte indipendentiste del primo novecento, è evidentemente critico rispetto alle posizioni politiche del movimento Swadeshi, e soprattutto contro le sue scelte più estremiste. Dice Ray a Jayanti Sen in una intervista del 1984: «Tagore era sicuro che quel movimento non poteva resistere a lungo, perché non aveva rapporti con la realtà e con le classi più povere della società. Era un movimento essenzialmente borghese. Oggi quelle valutazioni sembrano abbastanza giuste. Ma Tagore non ha mai condannato tutti i rivoluzionari, non figure come Khudiram, per esempio».
Tagore, la «grande sentinella» con la lunga barba bianca del movimento di liberazione anti-inglese (definizione del «leader massimo», Gandhi), resta una leggenda imperitura della creatività bengalese. Poeta, novelliere, pittore (dall’età di 73 anni), compositore di canzoni (dalla sua Amar Shonar Bangla è stato tratto l'inno nazionale del Bangladesh), drammaturgo e saggista, uomo politico (fece costruire strade ed edifici pubblici), stretto amico del padre e del nonno di Ray, Tagore fondò a Shantiniketan una scuola pittorica, oggi università, che il futuro regista della «Trilogia di Apu» frequentò dal 1940 al 1942, anche se non completò (preferendo dieci anni di lavoro come grafico a Calcutta), ma che «aprì per la prima volta i miei occhi occidentalizzati ai tesori dell’arte indiana e dell’estremo oriente».
Poeta «ascetico-epicureo», figlio di un santo e ricco bramino, studi nel Regno Unito, nelle sue liriche (Offerta di canto, 1913), nei suoi drammi (La vendetta della natura, 1884), in romanzi (Il naufragio, 1906), in novelle, memorie, saggi e conferenze Tagore affermò il proprio amore per la natura e per il sincretismo religioso, le proprie aspirazioni di giustizia sociale e fratellanza umana, la propria passione, anche erotica. Tagore è stato tradotto praticamente in tutte le lingue europee. Nel suo fondamentale ciclo di conferenze, pubblicato nel 1917 sotto il titolo Nationalism attacca il concetto di «nazione», sia inglese che indiana, perché non è altro che un angusto e spietato ricettacolo di potere tendente a generare conformismo.
La risposta dell’India, egli sostiene (e lo cita Edward Said in Cultura e Imperialismo) deve essere quella di offrire non un nazionalismo che entri in competizione con gli altri, ma una soluzione creativa alle divisioni prodotte dalla coscienza razziale. Non è la cultura dell’Occidente da biasimare, dice Tagore, «ma la giudiziosa grettezza della Nazione che ha assunto su di sé il fardello dell’uomo bianco, quello di criticare l’Oriente».

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