25.11.11

1897, Oscar Wilde a Napoli. "Con un sorriso da orco soddisfatto"

Wilde e Douglas
Uscito dal carcere di Reading ove aveva scontato la condanna per omosessualità, dopo qualche mese trascorso in Francia, Oscar Wilde giunse a Napoli alla fine dell’estate del 1897. Era insieme al giovane amico Alfred Douglas, detto Bosie, con cui intratteneva una complicata relazione e di cui, pur nella povertà, manteneva qualche vizio. Il soggiorno durò diversi mesi, fino alla primavera del 98. Al periodo napoletano tuttavia anche i biografi più amanti dei particolari dedicano pochissimo spazio. Nel 1981 Renato Miracco tentò di colmare in un libretto dal titolo Verso il sole (Colonnese) utilizzando cronache giornalistiche, lettere di Wilde fino ad allora inedite e private testimonianze. Ne riprendo qui le curiosità, qualcuna delle quali davvero emblematica.

L’oro in bocca
Pare che la prima cosa a notarsi in Wilde fosse un bagliore nella sua bocca, determinato dai denti d’oro. Il cronista di un giornale inglese, Gideon Spillet, scrive: “Quando ride, e ride spesso con un riso da orco soddisfatto, i suoi denti appaiono formidabili, lunghi, luccicanti d’oro”. In un’altra, anonima, cronaca inglese da Napoli si legge: “Lo strano di quell’uomo è quando egli dirige la parola. Uno dei denti superiori è un sol pezzo d’oro assicurato nella gengiva: quando l’esteta apre la bocca, quel metallo luccica stranamente”.

Il falso nome
Wilde, al suo arrivo a Napoli, si faceva chiamare Sebastian Melmoth: Sebastian come il santo martire trafitto dalle frecce, Melmoth come il diabolico protagonista di uno dei primi romanzi dell’orrore, dell’inglese Maturin.

L’orrenda Matilde
La Serao, che aveva una rubrica mondana sul quotidiano “Il mattino” e usava Gibus come nom de plume, quando comincia a circolare la voce della presenza di Wilde a Napoli, pubblica un pezzo dal titolo C’è o non c’è?. Così scrive: “Qualcuno ha annunziato che in Napoli si trovi Oscar Wilde, il ‘decadente’ inglese che diede così larga copia di argomenti ai cronisti a proposito di un processo ripugnante. Questo annunzio ha messo molte persone, tra le quali l’umile sottoscritto, in una certa trepidazione confinante col panico”. La giornalista-scrittrice greco-partenopea prosegue col “ringraziare i giudici inglesi per la loro severità in fatto d’infliggere pene agli odiosamente pervertiti” e lancia un allarme sul possibile contagio del “flagello wildiano”: “Io protesto, in nome della gente perbene, che vuole rimanere tranquilla”.

Lo sconforto di Wilde
Il diffuso pregiudizio omofobo, aggravato dalla scandalosa convivenza con il giovane Douglas e dalla mancanza di denaro, rende difficile il soggiorno napoletano dello scrittore inglese, che è un concentrato di disavventure. La fuga dal Grand Hotel per la difficoltà di pagare il conto, la casa presa in affitto a Posillipo invasa dai topi che neanche l’intervento di una maga riesce a cacciare, una gita a Capri in cui la protesta degli inglesi fa cacciare la coppia dal celebre Quisisana, dove tuttavia un cameriere riesce a fregare a Wilde abiti e manoscritti. Lo scrittore si lamenta dei giornali: “I giornali sono stati piuttosto offensivi. Voglio, anche qui, essere considerato un artista. Se ciò avvenisse credo che dopo mi lascerebbero in pace”. Il fatto è che la situazione alimenta la crisi di creatività: “Non credo che scriverò mai più, la joie de vivre se n’è andata ed è quella la base dell’arte. La gente di Napoli è molto sleale a maltrattarmi per strada”. Il bisogno di sole lo fa resistere per qualche mese, giunge perfino a separarsi da “Bosie” Douglas per rendersi più accettabile, ma l’angosciosa scoperta, mentre siede al caffè Gambrinus, che le guide portano i turisti inglesi a guardarlo quasi fosse un fenomeno da baraccone, lo induce alla partenza. Per Parigi, ove morrà in solitudine un paio d’anni più tardi.

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