4.11.11

Cantautori (di Franco Fabbri)

Ho trovato il brano che segue in un commento firmato ng ad un “post” dedicato a Fabrizio De Andrè che ho trovato nel sito “Le parole e le cose”.
Fabbri, nel raccontare l'origine del lemma cantautore, efficacemente mostra come, a volte, ci sia nelle parole una sorta di peccato originale che ne connota la storia e ne orienta gli sviluppi semantici. 
Trascrivo pertanto assai volentieri la citazione come una annotazione che è insieme di storia linguistica, musicale e sociale.  (S.L.L.)
Luigi Tenco
“È strano, è una specie di vendetta della storia, ma quando nel 1960 alcuni addetti dell’industria discografica (Ennio Melis, Vincenzo Micocci) alla Rca Italiana inventarono il termine “cantautore”, probabilmente quello che volevano era il contrario di ciò che avvenne: cercavano di sottrarre quella figura relativamente nuova per la nostra discografia alle connotazioni intellettuali (“di sinistra”) implicite nei personaggi che allora si affacciavano sulla scena internazionale: poeti anarcoidi come Brassens, cultori di eleganza anticonformista come Jobim e De Moraes … 
Giorgio Gaber
Ma le parole e i significati sfuggono al controllo, e nel giro di pochi mesi quell’invenzione divenne il nome con cui identificare altri anarcoidi, esteti, intellettuali, che forse come chansonniers sarebbero rimasti nell’ombra: cantautori – appunto – come Paoli, Tenco, Endrigo, Gaber, e più tardi De André, Guccini e così via. Quindi l’idea di Melis e Micocci funzionò, sebbene forse in modo imprevisto. Non del tutto: sotto altri aspetti, dobbiamo a quel termine, e all’uso che se ne fece soprattutto nei primi anni, la relativa emarginazione degli autori e cantanti di canzoni soprattutto politiche come Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea, Gualtiero Bertelli, Fausto Amodei, che non avevano rapporti con l’industria discografica (neppure nel modo dialettico di Tenco o di De André) e per i quali sembrava inappropriato e che sempre rifiutarono. Ma chi sa spiegare in cosa è diverso il lavoro di Bertelli o della Marini quando scrivono e cantano una propria canzone?
Ecco, quindi, a cosa è servito – beninteso, senza che ce ne fosse l’intenzione esplicita – dare quel nome ai cantautori: a creare un mondo diverso, contrapponibile al commercialismo della “musica leggera” ma al tempo stesso radicato nell’industria, differente (e qualche volta anche contrapponibile) rispetto alla canzone impegnata, di protesta, legata per vocazione alle tradizioni popolari. “Cantautore”, insomma, è un termine ideologico: sotto l’apparenza tecnica nasconde – nel suo piccolo – una visione del mondo”.

Franco Fabbri, L’ascolto tabù, Il Saggiatore

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