Questo magnifico ritratto di Georges Brassens, comparso su “alias” il 29 ottobre 2011, mi ha dato più di un’ora di gioia e di commozione intense; mi ha condotto infatti ad ascoltare tutto quello che del grande cantautore ho trovato nella rete, cose già sentite e apprezzate, ma con superficialità, e cose per me del tutto nuove. Oggi mi metterò in cerca nella rete e nei negozi di Perugia. Voglio poter ascoltare con attenzione le registrazioni, apprezzare le musiche, meditare sui testi, provare a tradurli. Di Giovanni Vacca, l’autore dell’articolo, non so nulla: lo immagino parente stretto di Beppe, lo studioso di Gramsci, ma non ho alcuna certezza. So che si dovrebbe fare critica, letteraria, musicale, d’arte esattamente come fa lui: senza sovrapporre sé stessi al “testo” e spingendo il proprio lettore a cercarselo, senza dargli l’illusione di sapere già tutto. Grazie, Vacca. (S.L.L.)
Il 29 ottobre di trent'anni fa moriva Georges Brassens, padre della canzone francese e ispiratore di Fabrizio De André. Grazie a De André, Brassens gode in Italia di una certa notorietà ma il suo repertorio originale è in realtà scarsamente conosciuto.
L'opera di Brassens, incisa tra il 1953 e il 1976, può apparire inizialmente monotona a causa della sua uniformità timbrica (voce, chitarre e contrabbasso) ma ripetuti ascolti rivelano la sua varietà musicale tenendo presente un certo tipo di tradizione francese (la canzone del varietà, la canzone urbana da foglio volante, il jazz di Django Reinhardt). Oggi il suo paese le ha «riabilitate» ma un tempo le parole delle canzoni di Brassens, taglienti come lame, colpivano al cuore le ipocrisie della società francese ed erano dette con una noncuranza che sembrava paradossalmente amplificarne la carica sovversiva.
Questo chanteur anarchico, con radici in una cultura popolare paganeggiante e conviviale ma aliena da ogni forma di fanatismo religioso, ha tuttavia raramente espresso in modo diretto idee politiche: Brassens, infatti, preferì incanalare il suo sarcasmo in una grande epopea narrativa atemporale, una sorta di bibbia popolare in cui si ritrovano tutti i vizi e le ingiustizie che gli esseri umani sanno perpetuare ma anche tutti gli atti di generosità e di solidarietà di cui essi sono capaci. Che si racconti del disadattato che copre un ladruncolo in fuga o di una giovane ragazza che suscita la gelosia delle sue compaesane, che si parli di amori mercenari, di morte e cimiteri, che si condanni ogni forma di guerra o che si canti la vita dei sensi senza infingimenti (tutti temi che ricompariranno
in De André), Brassens lo fa con tale eleganza che si resta tuttora stupiti nel constatare come egli riesca a mostrare poeticamente anche gli aspetti meno nobili della vita sedimentandoli in profondità nella coscienza dell'ascoltatore e stimolandone il pensiero critico. Proviamo dunque, per ricordarlo, a ritornare ai contenuti di queste canzoni cercando di comprendere che cosa le rendesse all'epoca così sconcertanti.
In La mauvaise réputation (1952), si racconta di un personaggio ribelle: non celebra la festa nazionale, mette lo sgambetto agli inseguitori dei ladruncoli e sa che quando i suoi concittadini troveranno una corda gliela passeranno al collo. Ogni strofa finisce però con delle enigmatiche figure: muti che si sottraggono al commento, monchi che non lo additano, mutilati che non lo inseguono, ciechi che non andranno a vederlo al patibolo. Tali bizzarri individui sono in realtà proiezioni del giovane Brassens nelle quali egli bersaglia il conformismo della società dell'epoca, alludendo alla presenza delle minoranze che si oppongono alle maggioranze (altro tema ereditato da De André).
Fin da subito il corpo irrompe prepotentemente nelle composizioni di Brassens: è un corpo frammentato, «grottesco», così come lo interpretò Michail Bachtin nella sua celebre lettura di Gargantua e Pantagruel, un corpo che si costituisce nella categoria del «carnevalesco», ossia della inversione comica dei segni. Nell'opera del cantautore francese, le immagini corporee sono sconvolgenti perché spesso evocano il rischio della violazione e lo evocano sul corpo stesso dell'ascoltatore, mettendolo in allarme quasi a fargli avvertire uno scampato pericolo. Tutti ricordano il gorilla violentatore di magistrati ripreso da De André (Le gorille, 1952) ma nel repertorio di Brassens v'è di più: in La complainte des filles de joie (1961), per esempio, egli ammonisce chi deride le prostitute, perché «c'è mancato poco, mio caro, che questa puttana che tu prendi in giro non fosse tua madre». In Don Juan (1976), un Don Giovanni alla rovescia si dedica a sedurre donne brutte e disprezzate e viene glorificato per questa sua «missione» insieme ad altri singolari personaggi caritatevoli. Il «blasone» è un genere aristocratico della letteratura francese, in voga nel XVI secolo, in cui si omaggia una parte del corpo femminile. In Le blason (1972), l'ascoltatore è condotto alla scoperta di quella parte del corpo femminile che, «incomparabile strumento di felicità», ha avuto la sfortuna di essere associata «a una folla di gente» (la parola «con», infatti, in francese indica sia l'organo femminile che una persona stupida...).
Qualcuno ha ritrovato in Brassens una visione stereotipata della donna: in parte è vero ma non bisogna dimenticare che proprio negli anni della sua formazione il femminismo stava cominciando ad affermarsi (Il secondo sesso, di Simone de Beauvoir, è del 1946) e che, comunque, tutto è sempre stemperato da un'attenzione costante ai destini degli umili e da una sincera comprensione per i loro comportamenti, spesso condannati dalla società. E così, se una Penelope di periferia può, lontana dal suo uomo, cullare pensieri proibiti ma sa che il cielo non se ne adombrerà (Pénélope, 1960), è perché per l'autore francese l'universo delle pulsioni ha piena legittimità nelle relazioni interpersonali; e se egli difende le donne adultere è anche disposto, con sublime ironia, a subire lo stesso destino: ma solo alla sua morte, quando lascerà a chi lo sostituirà le sue pantofole e i suoi stivali (Le testament, 1956).
Brassens anticipa dunque la rivoluzione sessuale del '68 ma il suo erotismo sembra provenire da quella letteratura medievale che rappresentava la vita popolare senza falsi moralismi. Sugli umili, i poveri, i vinti è appuntato il suo sguardo perché in essi alberga quell'umanità distrutta nel mondo dei potenti: lo straniero che, unico, non applaude quando i gendarmi lo arrestano (Chanson pour l'auvergnat, 1954); Jeanne (1962), la donna che lo nascose a Parigi nel 1944; il povero Cristo di Celui qui a mal tourné (1957), che aggredisce un passante e gli ruba l'orologio per essere spedito in carcere «a rifarsi un'onestà»; quando ritorna al suo quartiere, «dopo un secolo», pensa che tutti lo avrebbero evitato, mentre invece gli amici lo riaccolgono: «Allora ho visto che c'era ancora della brava gente al mondo e ho pianto, col culo per terra, tutte le lacrime che avevo».
Molti di questi personaggi, poveracci costretti dalla fame a delinquere, sono dei fuggitivi, braccati dai gendarmi: a Brassens, infatti, interessa proprio la psicologia del fuggiasco, quel senso di angoscia che viene dalla consapevolezza della propria fragilità di fronte al potere, contro il quale resta solo la solidarietà di chi proviene dallo stesso contesto sociale. Di tale solidarietà Brassens darà un esempio in Stances à un cambrioleur (1972), dove racconta un episodio accadutogli: un furto nella sua abitazione. L’artista solidarizza con il ladro riflettendo che se non avesse avuto successo forse sarebbe stato un suo complice e, come avviene all'inizio de I miserabili di Victor Hugo (quando il vescovo Myriel scagiona Jean Valjean dicendo alla polizia che i candelieri trafugati da quest'ultimo glieli erano stati in realtà donati), regala al bandito ciò che costui gli ha rubato, anche perché ha avuto il buon gusto di tralasciare un orribile ritratto regalato al poeta per il suo compleanno e di non portarsi via la sua indispensabile chitarra («sacra solidarietà tra artigiani»).
Brassens detesta l'esibizionismo del fatuo mondo dello spettacolo: «Non faccio vedere i miei organi procreatori a nessuno, tranne che alle mie donne e ai miei dottori» (Trompettes de la renommée, 1962). La critica corrosiva ai luoghi comuni e al fideismo dogmatico sono poi altri temi cruciali, come in Mourir pour des idées (1972), in cui Brassens si fa «maestro del sospetto» stigmatizzando qualsiasi fanatismo in nome di coloro per i quali la vita è più o meno «l'unico lusso». La canzone fu magistralmente tradotta da De André.
Ricordiamo Brassens: un musicista di talento, un poeta, un uomo coerente e un vero libertario, lontanissimo dai potenti dei nostri giorni che hanno usurpato questa parola e la utilizzano per coprire i propri soprusi e le proprie indegnità.
ciao,
RispondiEliminabuon a sapere che no sono l'unico tifoso di Brassens,
curiosità, Giovanni Vacca è il fisiologo della facoltà di medicina di novara?