8.11.11

Nilla Pizzi. La regina madre della canzonetta (di Marinella Venegoni)


A marzo è morta Nilla Pizzi. Da “La Stampa” del 13-03-2011 riprendo l’articolo commemorativo di Marinella Venegoni, di cui apprezzo la linea interpretativa. Nella biografia v’è un’omissione a mio avviso importante, cui qui pongo rimedio: nel 2001, a 82 anni, accettò di far da madrina al gay-pride. Non male. (S.L.L.)

Andandosene ieri in un ospedale di Milano, un mese prima di compiere 92 anni, Nilla Pizzi ha lasciato di sé un ricordo lungo quanto la storia del costume italiano del Dopoguerra. Perché, a differenza di tanti colleghi coevi, lei non era mai veramente sparita dal mondo della canzone: della quale rimaneva una sorta di presenza benedicente, un nume tutelare per la qualità riconosciuta di regina madre, mai realmente in riposo.
Come Queen Mary, mamma della Regina Elisabetta, era un'icona in carica, sempre sorridente dietro gli occhialoni scuri da diva che mascheravano le miserie dell'età presbite. Odiava discutere del tempo che passava e dell'età soprattutto, Nilla: se qualcuno avanzava l'improvvida domanda, si faceva seria, e spiegava che non era quello il problema: casomai, si trattava di stare al passo con i tempi, di respirare sempre il presente. Tale attitudine l'aveva resa diversa e carismatica, più duratura di tutte le coeve. Una personalità moderna, che aveva digerito senza battere ciglio, l'anno scorso a Sanremo, l'idea ridondante del suo agente Lele Mora di farla salire sul palco (ed è rimasto l'ultimo ricordo collettivo che si abbia di lei) con un abito di pizzo di fiori e colombe, coperto da un manto lungo cinque metri portato da cinque boys. Nemmeno il vulnus di un ictus di qualche anno prima le aveva impedito, lassù dopo aver ricevuto l'omaggio di Carmen Consoli con Grazie dei fiori, di accennare Vola colomba con una voce ancora decisa, impostata.
Voce bruna e sensuale, quella di Nilla Pizzi. Una voce così poco perbene, in fondo, che l'aveva distinta nei '40-'50, dalle colleghe più conformiste e aderenti ai dettami dell'epoca. Erano anni di occhi bassi: ma lei, i suoi, non li aveva abbassati mai. Una bella ragazzona, procace, alla quale andavano stretti i confini della cittadina di Sant'Agata Bolognese, tanto che già nel '37, a 18 anni, aveva vinto una sorta di concorso di bellezza, «5 mila lire per un sorriso». Poi era arrivata la guerra, ma lei non aveva mollato, e alla partenza per il fronte del marito aveva tentato e vinto un concorso all'Eiar (poi Rai) nel '42. Quella voce turbava un po', ora: e aveva dovuto aspettare fino al '46, per tornare in pista nell'orchestra del Maestro Angelini.
Cadevano in tanti ai suoi piedi, gli uomini della musica. Il bell'Achille Togliani, lo stesso maestro Angelini che dietro quell'aria quieta era un bon vivant. Gino Latilla tentò il suicidio, quando Nilla lo pianto', e solo le braccia di Carla Boni riuscirono più tardi a consolarlo. Ma al centro del suo mondo c'era la canzone, il mezzo che era risultato il più adatto per imporsi: vinse il primo Festival di Sanremo nel '51 con Grazie dei Fiori, l'anno dopo fece l'en plein con Vola Colomba, Papaveri e Papere, Una donna prega. Primo, secondo e terzo posto. Nel '59, vinceva Canzonissima con L'edera: ancora un brano tentatore, ma eravamo già alla parabola, per il vento di novità che stava squassando i gusti e il modo di vivere del pre-boom.
Adonilla Pizzi (questo il vero nome, e Pizzi era il cognome di quel marito con il quale non si rimise mai, dopo il ritorno di lui dal fronte) seppe gestire con saggezza la fine della sua epoca d'oro. Adorava viaggiare, e tenne centinaia di concerti per gli emigranti nelle Americhe e in Australia, da sola o con i colleghi della banda Angelini. Più tardi, dai tardi Ottanta, alternò le performances con numerose apparizioni nelle tante tv private che stavano nascendo, dov'era sempre richiestissima; tornò anche nel '94 a Sanremo in gara con un gruppo di colleghi. Fu fra le prime in Italia ad approfittare della chirurgia plastica, ostentava con naturalezza un'allure regale, distribuiva buon senso come ogni donna emiliana ma aveva sempre quel di più di curiosità, quel senso di sfida, che la portarono a offrirsi per condurre Striscia la Notizia, a dichiarare la sua adesione al Partito Radicale, o a programmare, non più di cinque anni fa, un tour estivo insieme con Platinette. Mentre fervevano le prove, e le date erano vendute, sopraggiunse il lieve ictus a tarparle le ali. Ma non cessarono le apparizioni in pubblico: andava dovunque la invitassero, chiusa nei suoi tailleur blu, i capelli fiammeggianti, gli occhi truccatissimi. Regina sempre, e sempre elemento di interesse. Un marchio, il suo, veramente. Che seppe conservare con discrezione e un pizzico di mistero. Rimanendo una leggenda anche nel suo mondo che dimentica in fretta, e talvolta un metro di paragone; tanto che Mina scrisse, proprio sul nostro giornale: «Ho imparato molto dalla sua voce, ed é giusto ammetterlo, finalmente». 

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