8.12.11

Agosto 1937. L'ultimo viaggio di Mussolini in Sicilia (di Amelia Crisantino)

In Sicilia il fascismo era arrivato tardi ma s'era radicato in fretta: almeno così sembrava a giudicare dai voti - fino a quando si era votato - e dalle manifestazioni ufficiali. Ma negli anni Trenta ogni residua aspettativa si era ormai esaurita. L'isola restava intimamente estranea allo Stato totalitario, diversa, impermeabile ai proclami e alle pretese di riforma morale avanzate dal regime. La campagna contro la mafia non aveva convertito la Sicilia a quella che Salvatore Lupo definisce «l'utopia totalitaria del fascismo», la disillusione reciproca era palese.
Ma nel 1936, con la conquista dell'Etiopia e la nascita dell'anacronistico impero italiano, gli equilibri cambiano. E anche la geografia. La Sicilia non è più la remota periferia di un centro lontano, viene promossa «isola imperiale» e nodo strategico, ponte fra l'Italia e il nascente impero. Il suo ruolo appare centrale, importante. è necessario rifondarne il rapporto col fascismo, urge una simbolica rinascita. Le grandi manovre delle forze armate sono l'occasione giusta e in Sicilia, nell'agosto del '37, ci sono il Re e il principe Umberto. Ma soprattutto, mai più tornato dal lontano 1924, arriva Benito Mussolini.
La visita del Duce è minuziosamente preparata, l'isola si para a festa. Per quanto possibile, il regime ammette che qualcosa nei suoi rapporti coi siciliani non è andato per il verso giusto: anche a lasciar perdere i resoconti degli informatori su una Sicilia che si sente oppressa, pronta a insorgere, a seguire la bandiera del separatismo. La nascita dell'impero fa passare in secondo piano i malcontenti, tutto cambia di scala e una rivista chiamata "Problemi siciliani" viene ribattezzata "Problemi mediterranei", per meglio riflettere la composita realtà di un grande Paese con un impero in fieri. Ma non sempre i «problemi siciliani» riescono a camuffarsi, magari solo a cambiare nome o diluirsi in un orizzonte più vasto. Una volta che l'isola viene osservata e valutata nella sua nuova funzione strategica, è evidente come il regime abbia risolto ben poco. A fine giugno c'è un convegno sui «problemi agricoli», i bisogni derivanti dall'autarchia premono perché vengano affrontate improduttività secolari e il latifondo sembra avere le ore contate. Si parla di tariffe, di agevolazioni ferroviarie «per eliminare la concorrenza automobilistica», di rendere più veloci i trasporti marittimi utilizzando piroscafi «con stive munite di apparecchi refrigeranti». Insomma, per quanto le relazioni finiscano con l'augurio a valorizzare tutte le risorse nazionali «così come il duce vuole», gli agronomi riuniti a Palermo sono più moderni di quanto non ci si aspetterebbe, persino ecologisti. Ma questi restano discorsi per addetti ai lavori, con nessuna ricaduta. 
Molto più d'impatto sono gli scritti del più popolare fra i giornalisti del regime, Virginio Gayda, che in attesa della visita del duce sottopone l'isola a «un nuovo esame nazionale». I lettori del "Giornale d'Italia" sono i destinatari delle sue illuminanti impressioni, poi raccolte in volume con l'inevitabile titolo Problemi siciliani. Gayda ha le idee chiare su un sacco di cose, a cominciare dalle essenziali: l'isola è un mercato per i prodotti italiani, il guaio è che mancano le strade e l'acqua. Ogni tanto gli scappa l'aggettivo «primitivo», più che altro la Sicilia sembra una terra prodigiosa. Nella prima delle sue corrispondenze tutta l'Italia può leggere come qualche volta sia avvenuto che, a causa delle grandi piogge, «un proprietario di vigneti si sia improvvisamente trovato possessore di oliveti, scivolati dall'alto a prendere il posto delle altre colture precipitate al basso». Così, come se niente fosse. 
E il 10 agosto, finalmente, anche Mussolini è in Sicilia. La sua visita ha sùbito il carattere di un'ispezione, al solito punteggiata da numerose frasi lapidarie. L'11 proclama «sono venuto per constatare quello che si è fatto e quello che resta da fare», il 12 da Catania dice che per la Sicilia non ci sarà nessun regime speciale, «è finito quel tempo»: ma la rassicurazione conserva un tono di sbrigativa minaccia, anche se ormai il Nord e il Sud non esistono e «dopo l'Italia sono stati fatti gli italiani». Nella cronaca del Giornale di Sicilia leggiamo della «impetuosa accoglienza» di Catania e della «fervida atmosfera di attesa» di Palermo; sempre il 12, anche il Re e il principe Umberto sono in Sicilia, appena arrivati alla stazione di Palermo. Ma naturalmente il duce li surclassa, nello spazio che gli dedicano i giornali e nel crescendo degli aggettivi. Il 13 Mussolini è a Siracusa, protagonista non solo di un'esaltazione collettiva ma di un riscatto plurisecolare. Compiaciuto, riflette che «bisogna risalire al primo impero di Roma, all'epoca di Augusto, per ritrovare uno spettacolo come quello che offre l'Italia in questa epoca così ardente di passione». Poi annuncia che i diritti mediterranei dell'Italia saranno riaffermati nel discorso di Palermo, la «capitale» che nel frattempo inganna l'attesa con notturne gare automobilistiche sul monte Pellegrino. 
Il giro siciliano di Mussolini è anche un frenetico valzer di inaugurazioni: un padiglione, una scuola, un reparto, un'officina, la Sicilia sembra essersi risvegliata come un immenso cantiere. Il dittatore appare instancabile, ma cominciano ad arrivare le navi scuola giapponesi per le grandi manovre e l'atmosfera di sagra paesana subito si smorza, freddi e rabbiosi all'improvviso sembrano levarsi venti di guerra. 
La stampa crea l'attesa attorno al discorso di Palermo, «avvenimento mondiale più che italiano che indicherà la nuova atmosfera europea». Nel frattempo, il 15 Mussolini è ad Enna «prolifica e laboriosa», poi trionfa fra i contadini di Vittoria e Gela. Può constatare soddisfatto come i lavori per l'aeroporto di Comiso, «sentinella avanzata del Mediterraneo», stiano alacremente procedendo. Il 17 è a Trapani, subito dopo a Caltanissetta. Il 18 si concludono le grandi manovre e il duce è a Marsala, naturalmente «nello scenario suggestivo dell'epopea garibaldina». Cresce l'attesa per il discorso di Palermo, dove Mussolini arriva il 19.
Si reca al Policlinico, edificato dopo la sua visita del 1924. Accompagnato dal Magnifico Rettore e da tutto il Senato accademico si sofferma nel reparto di patologia, mostra di apprezzare un metodo autarchico per la cura della malaria - punture di adrenalina, che il professore Maurizio Ascoli inietta nella milza dei malati - «che promette di liberare l'Italia dall'oneroso acquisto dei sali di chinino all'estero». A Palazzo dei Normanni, nella Sala Gialla, gli viene consegnato il dono della città: un'aquila imperiale in argento dorato, e il messaggio del Podestà è tutto un rievocare le antiche glorie della Roma imperiale. Del resto quel dimenticato podestà non è certo un originale, le vittorie di Roma sono la retorica ufficiale del regime. E quell'anno, al Festival del cinema di Venezia il premio per il miglior film lo riceve Scipione l'Africano. 
Arriva il momento del tanto atteso discorso. Alle 17,45 di venerdì 20 agosto, radiotrasmesso dal Foro italico in tutta la penisola e anche all'estero, il discorso di Mussolini è breve, centrato su due temi: il ruolo della Sicilia imperiale e la difesa dell'impero. E' impossibile tacere l'esistenza dei soliti «problemi siciliani», ma il duce manda un eloquente messaggio «ai superstiti antifascisti che girano per il mondo: la Sicilia è fascista fino al midollo!». Sarà la perfetta identità fra l'isola e il fascismo a risolvere ogni residuo problema a cominciare dal più grave, quello dell'acqua. Nella Sicilia diventata centro dell'impero il villaggio rurale liquiderà il latifondo, ci saranno strade e i contadini saranno lieti di vivere nella terra che lavorano, come ovunque nel mondo. Nessun nemico oserà sbarcare nell'isola imperiale, tutto andrà per il meglio. 
A essere veramente ostile è la Francia, con l'Inghilterra ci sono state solo delle incomprensioni, su cui bisognerà mettersi d'accordo, «si aveva dell' Italia una concezione superficiale e pittoresca, di quel pittoresco che io detesto». Rassicurazioni e minacce si alternano, nello stile tipico di tutti i dittatori. Mussolini rivendica il legame con Berlino, se il mondo vuole stare in pace con l'Italia deve tener conto dell'impero e dell'asse Roma-Berlino. Altrimenti, «l'Italia fascista ha tali forze di ordine spirituale e materiale che può affrontare qualunque destino!». Con vigore fascista, anche da Palermo il duce stava spingendo l' Italia verso il baratro della guerra.

Nota
Questa ricostruzione giornalistica della visita in Sicilia del "duce", tratta dalle pagine siciliane di "Repubblica" del 30 agosto 2007,   è vivida e puntuale. Forse anche i Littoriali a Palermo dell'anno successivo, di cui si trova traccia in questo blog, rientravano nel tentativo qui descritto di più spinta fascistizzazione dell'isola tiepidina.
Intanto nella visita, pur minuziosamente preparata, c'era stato uno scarto, un errore di previsione che il tempo avrebbe reso evidente: l'idea che ci si potesse alleare coi nazisti senza seguirne le aberrazioni razzistiche. E invece no: il professor Maurizio Ascoli, malariologo e anatomopatologo tra i maggiori, che a Mussolini viene presentato come una gloria della ricerca scientifica in Sicilia, sarà privato del suo incarico poco più di un anno dopo, all'esplodere della campagna antiebraica. Il manifesto che l'avrebbe accompagnata, quello "degli scienziati razzisti", avrebbe ottenuto le firme di illustri colleghi accademici dell'Ascoli, tra cui quella, prestigiosa, di Luigi Pende. (S.L.L.)  

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