Da "la Repubblica" del 18 dicembre 2011 riprendo un ampio stralcio di un aricolo di Paolo Rumiz su uno scienziato bolognese settecentesco, Luigi Ferdinando Marsili, il cui cognome appena ricordavo e che è degno di interesse e di attenzione. (S.L.L.)
C'è un fantasma che si aggira per Bologna, sale nottetempo le scale dell' Osservatorio astronomico sul tetto di palazzo Poggi, fa scricchiolare il parquet della Biblioteca universitaria dove Ermanno Olmi girò la scena madre di Centochiodi, apre e sfoglia senza essere visto rari manoscritti ben custoditi, si sofferma su favolose mappe turchesche del Mar Mediterraneo. Nei giorni di temporale si aggira inquieto attorno a una lapide col suo nome nella basilica di San Domenico, un sepolcro che a dir dei frati contiene un cranio con una misteriosa sciabolata sopra la tempia sinistra. Su quella pietra c' è il suo nome: Luigi Ferdinando Marsili, soldato e scienziato, nato a Bologna il 10 luglio 1658 e morto sempre a Bologna l' 1 novembre 1730 dopo una vita da romanzo.
Che lui fosse tornato lo si è capito qualche mese fa, quando un vulcano spento s'è rimesso a borbottare in fondo al Tirreno. Un mostro sommerso, grande il doppio dell' Etna, forse il più esteso del Mediterraneo, che gli studiosi hanno chiamato "Marsili" in memoria dei suoi studi sugli abissi del mare. Un risveglio a orologeria, che pare orchestrato apposta per celebrare, quest'anno, i tre secoli dalla fondazione della sua creatura più bella, più celebre e più invisa: l'Accademia delle Scienze - la prima in Italia - che tentò di rinnovare, sull' esempio dell'Académie Française e della Royal Society, l' asfittico sistema universitario bolognese. Una celebrazione dovuta, dopo secoli di oblio, e destinata a essere sempre inadeguata rispetto all' enormità del personaggio. E c'è da chiedersi come l'Italia abbia fatto a dimenticare un uomo che è allo stesso tempo Indiana Jones e James Bond, Erwin Rommel e Guglielmo Marconi; esploratore e agente segreto, stratega e scienziato. Uno che ha viaggiato in mezza Europa, al servizio di tante bandiere, raccogliendo materiali che oggi riempiono archivi di Londra, Parigi, Roma e Berlino. Un fenomeno, che ha combattuto battaglie storiche, pranzato col Re Sole e Isaac Newton, affrontato mille temi e sempre in modo geniale: piante, animali, funghi, rocce, fiumi, fortificazioni, frontiere, diplomazia, correnti marine, coralli, astronomia. Una quantità tale di cose, che è impossibile collocarlo in una casella del sapere, non solo nella storia d' Italia, ma anche d'Europa. Chiedete a un francese chi è Marsili e risponderà che è suo connazionale. Dirà « Mais parbleu, Louis Ferdinand! Il fondatore dell' oceanografia, il primo a misurare il mare!». Fate la stessa domanda anche a un austriaco, e sentirete che Herr General Marsili, come il Prinz Eugen, fu artefice della riscossa occidentale sugli Ottomani, il soldato che dopo la pace di Carlowitz seppe disegnare i confini più solidi che l' impero asburgico avesse mai avuto. Provate con un ungherese, e vi dirà: «Marsili? Certo, è un eroe nazionale magiaro, colui che salvò da un incendio i libri di Mattia Corvino, il primo esploratore del Danubio e il primo a cartografare gli spazi fra Pannonia e Transilvania». Persino un turco saprà darvi una risposta. «Ah Marsili, lo scopritore delle correnti del Bosforo! Marsili, uno dei primi a descrivere in un trattato le qualità del caffè, la bevanda più turca che ci sia».
Bene. Ora provate a chiedere a un italiano chi era costui. Vi specchierete in un imbarazzato silenzio. Il buio sul Marsili è uno dei santissimi misteri di questo nostro Paese di santi, scienziati e navigatori. Persino a Bologna sono in pochissimi a conoscerlo e in tanti a snobbarlo. Il Nostro rompeva gli equilibri nel Settecento e li rompe anche oggi, post mortem. Dimostra che in tre secoli poco è cambiato in Italia e persino all' ombra degli Asinelli.
«Del governo di Bologna io non intendo nulla e anche per questo è opportuno esserne lontano», scrive deluso dalla freddezza della classe dirigente versoi suoi progetti di apertura al sapere d' Oltralpe. È il suo modo di ammonire: questa Italia che espelle i cervelli mi è incomprensibile, non sta in Europa. Nella sua sfiducia è ricambiato: i cronisti di corte lo definiscono pazzo, nottambulo, visionario. La famiglia lo disconosce per aver dilapidato in libri le sue fortune…
Oggi in Italia la memoria del Grande è un affare controcorrente, gestito da una confraternita interdisciplinare di "sedotti", simile a quella raccoltasi attorno alla figura del geografo Alexander von Humboldt. Geologi come Giambattista Vai, storici della filosofia come Annarita Angelini, geografi come Farinelli, maghi della storia antica come Gianni Brizzi, e ancora medici, studiosi di strategia, oceanografi.
È con loro che puoi navigare a Bologna nell'arcipelago marsiliano disseminato fra la biblioteca e il museo scientifico di palazzo Poggi (ex residenza di lui) e altri luoghi ancora. Nella sala dei suoi manoscritti pregherete di essere dimenticati dal custode per restare soli con favolose raffigurazioni di pesci del Danubio, uccelli migratori d' Anatolia, turbanti turchi di ogni foggia, monete romane, eserciti in movimento, e ancora carte di città sotto assedio, planimetrie del Nilo, disegni di fondali marini e rocce nel profondo delle miniere. E poi, nel museo, i modellini delle fortezze ideali, un concentrato di scienze, ingegneria, balistica, idraulica. Modelli perfetti, da powerpoint, che hanno rivoluzionato la strategia del Settecento. Vi muoverete in un labirinto dove tutto è lasciato in ordine perfetto ai posteri. Stefano Magnani, studioso di storia antica: «A lavorare su quelle carte sembra che abbia voluto facilitare il lavoro non tanto ai contemporanei, ma a quelli che sarebbero venuti». La Angelini azzarda una spiegazione: «Il suo eccesso di lungimiranza lo rendeva ostico, e lui ne era consapevole. Per questo era rassegnato a pensare solo al dopo». Ed è stupefacente pensare che tutto questo sia finito in un grande buco nero per tre secoli, come accaduto in parte a tantissimi grandi dell' epoca. Malpighi, Spallanzani, Volta, Guglielmini, Beccari, Cassini. Geni assoluti, tuttora più noti all'estero che nell'Italietta. C' è da chiedersi come non gli abbiano ancora dedicato un film. Stanley Kubrick non avrebbe esitato un attimo. Sentite che biografia. Adolescente, viene disarcionato in un torneo davanti alla spasimante, in piazza Maggiore. Umiliato, scappa a Roma, dove Cristina di Svezia, regina mangia-uomini, lo indirizza verso la scienza e le corti. Con l'ambasciatore di Venezia va a Istanbul, dove diventa spia d'alto bordo, si infila nelle stanze segrete del Sultano e sonda i fondali del Bosforo, scoprendone le due correnti eguali e contrarie. Fornisce al Papa carte dell'impero ottomano corrette dal Turco, poi entra nell' esercito asburgico ma è fatto prigioniero dai tartari e venduto come schiavo. Passa due anni incatenato a una palla di ferro in un paesino d'Erzegovina, dove si vocifera subisca sodomia, poi riesce a farsi assegnare al servizio del caffè presso gli ufficiali ottomani, impara la loro lingua e strappa informazioni nell' avanzata su Vienna del 1683. Da allora, pare, non ci saranno più donne nella sua vita. Quando, liberato dagli austriaci, torna al servizio del Kaiser, è diventato uomo prezioso. Sa tutto dei turchi, ne conosce la lingua, scrive sullo stato militare del loro impero. Partecipa all'assedio di Buda e strappa al saccheggio collezioni coraniche uniche al mondo. Definisce i confini orientali d'Austria, setaccia il Danubio con un' équipe di esploratori, ne disegna flora e fauna, e scopre i segni del limes romano, così tanti che osserva: «Là dove costruivo un campo, un ponte o una strada, là i Romani l'avevano già fatto, e meglio di me». Torna dai viaggi con cassoni di reperti, e ha in testa un solo pensiero: mettere il sapere al servizio del potere. Ma gli va male: quando lo spostano sul Reno, la sua fortezza cade in mano francese. Per questo lo degradano ingiustamente, gli spezzano la spada in pubblico, lo privano dei possedimenti. Ma per l'impero è un autogol, Marsili è il massimo esperto del tempo in fortificazioni. Ritorna a casa e con caparbietà militare si imbarca in nuove sfide. Vuole svecchiare l' ateneo, parificarlo a quelli "di là dai monti", chiamare gente dall' estero, spezzare il monopolio ereditario delle cattedre. È convinto che solo la ricerca può rilanciare l'industria bolognese. Mobilita gli amici dell' Accademia degli Inquieti, costruisce uno staff, spende tutto ciò che ha per impiantare un laboratorio che per tutto il Settecento sarà la cosa più innovativa di Bologna e ancora oggi è un museo di sconvolgente modernità. Fonda l'Accademia, ha dalla sua persino il Papa Lambertini, ma la città gli è contro, così torna all' estero, sulla Costa Azzurra a studiare il mare. E lì, come Galileo rovescia i cieli, lui ribalta l'abisso: intuisce che l'oceano non è un'immensità senza fondo e le catene montuose di superficie continuano sott' acqua. Ad Amsterdam pubblica Histoire physique de la mer, un capolavoro. Tornerà a Bologna solo per morire, col nome di "Cavalier d' Aquino", all' insegna del motto" Nihil mihi ". Nulla è per me, tutto per la collettività; nel senso che la cultura è cosa pubblica, non un affare di pochi. Mai insegnamento fu più attuale.
Rilancio indispensabile e meritorio. Condivido a mia volta sui social network.
RispondiEliminaPosso sapere il nome del'autore del'imagine di questo articolo?
RispondiEliminaGina
Io non lo conosco, Gina. Ho recuperato l'illustrazione dalla rete, ove puoi tentare di ritrovarla. Immagino che il busto si trovi a Bologna, probabilmente all'Università.
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