7.2.12

Catastrofe crociera. Impedire il disastro ambientale (di Arianna Di Genova)

I tg goebbelsiani di stamani, 6 febbraio 2012,  davano una non notizia: un giudice deciderà se il cosiddetto comandante Schettino rimarrà agli arresti domiciliari, andrà in carcere o otterrà la libertà provvisoria. Nessuno spazio invece per la catastrofe annunciata nell’arcipelago toscano che potrebbe essere evitata solo affrontando per tempo i nodi e preparando piani per tutte le evenienze. Il governo intanto studia come permettere ai padroni di licenziare i lavoratori vecchi, antipatici o di salute cagionevole, senza doverli reintegrare dopo che un tribunale ha riconosciuto che non c’è nessuna ragione disciplinare o produttiva per farlo. Mentre all’Aquila abbandonata tornano i lupi, mentre la “Costa” prende tempo per non pagare, Monti pensa che l’arcipelago toscano e i suoi fondali non siano un problema, ritiene che la piaga d’Italia siano i troppi che hanno il “posto fisso” e opera di conseguenza. Infine dichiara “lasceremo un Italia migliore”. Evviva!
Sulla catastrofe e sul destino di quel mare riprendo l’allarme lanciato da Arianna di Genova sul supplemento del “manifesto” di sabato scorso. Da leggere e far girare. (S.L.L.)
Vento e mare mosso sono condizioni meteo normali in pieno inverno. Ma questa volta ogni peggioramento del tempo provoca un tuffo al cuore e induce a trattenere il respiro. Perché all’isola del Giglio, di fronte alla quale si è arenata la nave-pachiderma della Costa Concordia, nessuno può dormire sonni tranquilli finché quel relitto con la pancia gonfia di veleni non verrà rimosso. Fino a marzo non sarà dato sapere cosa avverrà (è per quel periodo che la Costa ha annunciato la presentazione del suo «piano»), ma si parla di dieci mesi almeno (per i rifiuti tossici contenuti all’interno della nave e in buona parte sversati già in mare) e quattro settimane (minimo) per il pompaggio del gasolio fuori dai serbatoi - 2400 le nere tonnellate da aspirare.
Non piace a nessuno avere il ruolo di Cassandra, va rilevato però che la parola «emergenza» in Italia produce sbandamenti semantici: dovrebbe coniugarsi con urgenza e contenere in sé un significato salvifico; invece, si è tramutata in una corsa contro il tempo, a catastrofe avvenuta (pur se annunciata). L’Aquila e la tristissima, disperante paralisi a cui la città è stata condannata, una volta spenti i riflettori sulle sue crepe e ponteggi provvisori, dovrebbero aver insegnato molto.
È passato quasi un mese dal naufragio e ogni giorno le agenzie di stampa battono la medesima, pessima, notizia: «Le operazioni svuotamento carburante slittano causa maltempo». Il commissario straordinario Franco Gabrielli, nominato dal comitato dei gigliesi l’unico vero «comandante», ha agitato anche uno spettro non da poco riguardo lo smaltimento dei rifiuti inquinanti: bisognerà pregare che né la Carnival né la Costa falliscano. E se accadesse, travolte dalle somme ingenti dei risarcimenti? Si lascerà morire piano piano il Parco naturale dell’arcipelago toscano, isola del Giglio in primis, con i suoi fondali, le specie protette di fauna e flora, il suo turismo? Urge quindi un «piano B». Per prospettare vari scenari, dal più ottimista al più cupo. La nave si muove molto in queste ore (si è passati da spostamenti millimetrici a sei o sette centimentri tutti insieme) e quel suo movimento premonitore somiglia troppo allo sciame sismico che investì l’Abruzzo per giorni e che poi, in una notte di aprile divenne terremoto funesto e ingoiò tutto. Vorremmo quindi che la «pratica» dell’impasse, cui contribuisce anche il dibattito su come portare via la nave-mostro (a pezzi? imbracata? rimettendola in asse?) fosse qualcosa da archiviare nel passato e non più una modalità per affrontare il futuro.

"alias", 4 febbraio 2012

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