9.2.12

Borges e Sciascia all'Excelsior. Dante e Ariosto

Nell’estate 1980 Leonardo Sciascia telefona a “l’Espresso” di cui è collaboratore: “Borges è a Roma di passaggio. Potrei andare a colazione con lui?”.  Gli dicono che è una buona idea e che potrebbe fargli un intervista. Ma Sciascia si nega (“Non so fare domande”), accetta tuttavia l’idea di portare seco un registratore. S’incontrano all’Excelsior in una saletta riservata e tranquilla. Con loro c’è Maria Kodama, allora segretaria di Jorge Luis Borges poi moglie,  c’è un interprete. Ma non ne avranno bisogno: i due parlano ciascuno nella propria lingua, ma s’intendono benissimo.
La registrazione rimane per qualche anno inutilizzata. Viene recuperata nel luglio del 1986, un mese dopo la morte di Borges, e la sua trascrizione viene pubblicata a cura di Rita Cirio. I due parlano di tantissime cose.
In questo blog “posterò” passaggi della conversazione, selezionando alcuni temi. Qui colloco la parte iniziale del “pezzo” de “l’Espresso”, su Dante e Ariosto. (S.L.L.) 
 
SCIASCIA. «Lei sta raccogliendo i suoi saggi su Dante, vero?».
BORGES. «Li devo rivedere, perché li ho scritti tanto tempo fa. E un libro di centocinquanta pagine, ogni saggio è di sette o otto pagine circa».
SCIASCIA. «Quando ha incominciato a interessarsi di Dante, nel '14, quand'è venuto in Italia?».
BORGES. «No, nel '14, no. Beh, io conoscevo l'opera di Dante attraverso le traduzioni. Poi l'ho letta in italiano... verso gli anni Quaranta. Leggevo la "Divina Commedia" viaggiando sul tram. Andavo da casa a una biblioteca dove avevo un piccolo incarico e siccome il tragitto durava cinquanta minuti, leggevo la "Divina Commedia". Ho incominciato con un'edizione bilingue. Prima leggevo la versione inglese e poi leggevo lentamente l'italiano; poi consultavo l'inglese. Quando sono arrivato al "Purgatorio", potevo già fare a meno della traduzione inglese. Quando Virgilio mi ha lasciato, ho continuato a leggere da solo».
SCIASCIA. «È possibile una traduzione in castigliano di Dante, della "Commedia"?».
BORGES. «Credo che sia inutile, superflua, visto che le due lingue si assomigliano tanto. Qualsiasi persona di lingua castigliana può leggere Dante. Come sarebbe possibile d'altronde tradurre la bocca mi baciò tutto tremante"? Per "tremante" non esiste la parola. "La boca me besò   todo   tremblante"; oppure: "tremblando"... no... Esiste una versione, sì, quella di Mites, ma è pessima. Poi ce n'è una di Batisteza: un mio amico mi ha detto che nel primo canto dell' "Inferno" c'erano almeno cento versi falsi, cioè cento versi mal misurati. No, credo che sia stato un errore tradurla».
SCIASCIA. «Come diceva Cervantes, la traduzione è il rovescio dell'arazzo».
BORGES. «Cervantes diceva che con due soldi di toscano, uno può leggere l'Ariosto. Se la lingua materna di una persona è lo spagnolo, già possiede i due soldi di toscano di cui ha bisogno. Io penso che non si debbano tradurre due lingue così simili».
SCIASCIA. «Effettivamente, l'Ariosto è cristallino. A lei piace l'Ariosto, vero?».
BORGES. «Certamente. È una cosa straordinaria scrivere un poema di certo non inferiore alla "Commedia", come il "Furioso", e insieme così completamente diverso. E scriverlo dopo. È impossibile fare qualcosa di più grande. Incomparabile».
SCIASCIA.  «Incomparabile, sì».

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