1.4.12

I banchieri nel Settecento napoletano (di Franco Carmelo Greco)

Il secolo (...) s'era teatralmente aperto nel 1701, allorché Saverio Pansuti (autore dell'O­razia, del Seiano e ancora di Sofonisba, Virgi­nia e Bruto, tragedie che per struttura classicheggiante, impianto e negazione della scena s'affiancavano a quelle del Gravina e del Mar­chese o a quelle peggiori e più tarde del Sarcone) era salito su una botte ad arringare il po­polo in piazza Mercato, palcoscenico sopraele­vato come quei banchi di pescivendoli, nella stessa piazza, sui quali l'immaginazione di Ni­cola Corvo, commediografo e librettista, a metà del Settecento, volle far montare il capopolo Masaniello, in una ricostruzione poeti­ca tuttora rimasta inedita della secentesca ri­voluzione. La scena, così, in senso proprio o metaforico, diveniva termine medio fra le realtà, fra gli avvenimenti, fra le classi citta­dine, e tutto si trasformava in essa, persino le panche di fortuna all'aperto, in strada, sulle quali riposavano centinaia di poveri disgrazia­ti, senza alloggio, detti «banchieri», amaro e stabile palcoscenico della più squallida mise­ria e degradazione. E se il termine «banchieri» col quale si designavano i senzatetto non con­sentisse un immediato rinvio al teatro, è ne­cessario ricordare che con lo stesso termine, in una sede eminentemente spettacolare, ve­nivano indicati i cantastorie che, per lo più sul Molo, allineavano le panche in attesa degli ascoltatori cui raccontare le gesta di Orlando, Rinaldo, Buovo e Palmerindo.

da La metafora del teatro, in Teatro napoletano del '700, Pironti, 1981

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