Alessandro Galante Garrone |
Galante Garrone e la passione storica per i giacobini
E' opportuno soffermarsi con qualche attenzione su un aspetto particolare del ruolo di Alessandro Galante Garrone nella Resistenza: quello che ebbe nella definizione delle linee di riforma dell'amministrazione giudiziaria e della giustizia penale elaborate dal Comitato di Liberazionale Nazionale Regionale del Piemonte.
I termini della questione si possono così riassumere: nel luglio del 1944 Domenico Riccardo Peretti Griva, magistrato di comprovata fede antifascista e, tra l'altro, padre di Maria Teresa, moglie di Sandro, veniva nominato dal CLNRP - che rappresentava il governo dell'Italia libera - primo presidente e procuratore generale della Corte d'Appello di Torino e investito di poteri amplissimi. La principale preoccupazione era quella di evitare, nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione, scoppi incontrollati di giustizia sommaria ai danni dei fascisti e di incanalare in un alveo di legalità la volontà popolare di colpire i responsabili degli episodi più atroci di violenza fascista: perciò era essenziale poter contare su un uomo di assoluta fiducia come Peretti Griva.
Questi redigeva il 15 agosto 1944 delle Istruzioni riservate ai Presidenti e Procuratori del Re del Piemonte che incitavano i magistrati a far sentire al popolo «fin dalle prime ore che la giustizia è presente, che i membri dell'ordine giudiziario sono rimasti in mezzo a lui, ai loro posti, e che l'opera di rivendicazione delle vittime innocenti e di punizione dei colpevoli è già in corso»; ma, fedele alla sua impostazione di magistrato, liberale di formazione e ligio alla potestà della legge, prevedeva di fare della magistratura ordinaria il punto di forza della repressione della criminalità fascista e di rendere il più indolore possibile il trapasso dal regime di occupazione nazifascista a quello democratico. Sottoponeva così al CLNRP uno schema di decreto sulla giustizia punitiva in cui individuava nella Corte d'Assise «l'organo che meglio risponde a questa esigenza per la presenza in essa, accanto ai magistrati togati, degli assessori, immediati interpreti della volontà popolare».
Il CLNRP respinse però lo schema di Peretti Griva e ne predispose un altro di segno molto diverso, che istituiva, per il periodo di trapasso dei poteri, un organo straordinario di giustizia politica e militare, le Corti d'assise del popolo, presiedute da un magistrato designato dal Cln, chiamate a giudicare con una procedura semplificata ed emettere sentenze senza appello. Si prevedeva inoltre che le istruttorie non fossero svolte da magistrati delle procure, bensì da «commissioni di giustizia» composte da membri designati dai partiti. Sembra dunque essersi profilato quello che lo stesso Peretti Griva definì poi con molto garbo, nel 1950, un «apprezzabile dualismo». Ma sul momento si allarmò: manifestò le sue riserve al CLNRP e scrisse una lettera al ministro di Grazia e Giustizia del governo Bonomi, Umberto Tupini, esprimendo la preoccupazione che le «assise del popolo» si trasformassero in «organi di vendetta, non di giustizia». Per impedire i temuti eccessi, ammoniva, l'opera della Magistratura doveva essere «tale da soddisfare la coscienza umana e civile del popolo che esige la punizione dei delitti», e dunque «immediata, rapidissima, inesorabile».
Certamente ci incuriosisce capire quale sia stata la posizione di Sandro, in un contrasto che non poteva per lui non rivestire una particolare delicatezza, dati il profondissimo affetto e la grande stima che lo legavano al suocero. Sia dalla cronaca di Paolo Greco sia dal verbale della riunione del CLNRP con Peretti Griva si direbbe che Galante Garrone non sia stato presente alla riunione del 6 aprile 1945 in cui fu alla fine fu trovato un punto d'intesa, che prevedeva che i presidenti delle assise del popolo fossero nominati non dal Cln ma dal Presidente della Corte d'appello: il Partito d'Azione in quell'occasione risulta rappresentato dal solo Mario Andreis. Prima però appare pressoché certo che, quando a maggioranza il CLNRP respinse la bozza di Peretti Griva, lo fece con il voto anche di Galante Garrone. Sandro non fa cenno nelle sue rievocazioni di questo episodio: che la sua decisione sia stata sofferta è quasi certo, ma sembra improbabile che l'idea di una giustizia «politica», capace di operare una frattura netta con il passato, abbia determinato in lui gli stessi turbamenti che produsse in Peretti Griva. A immunizzarlo contribuiva da un lato il giudizio assai meno ottimistico di quello del suocero sulle inclinazioni della magistratura, considerata molto conservatrice e abbastanza compromessa con il fascismo, dall'altro la passione storica per i giacobini, che certo non si erano lasciati paralizzare, nel momento della rottura rivoluzionaria, da eccessivi scrupoli legalitari.
“La Stampa” 24-11-2009
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