29.4.12

Torna il sorriso di Consolo. Una mia antica lettura e una recente recensione

L’anglista Viola Papetti ha recensito su “alias domenica” del 22 gennaio 2012 un saggio critico di Salvatore Grassia sul Sorriso dell’Ignoto marinaio di Vincenzo Consolo. Mi pare un buon segno. Il libro di Consolo, salutato come un caso letterario, era poi caduto nell’oblio, credo immeritatamente, per la voracità con cui – come Crono - il sistema mediatico moderno inghiotte i “casi” che crea. Alla recensione di Papetti, di cui riprendo un ampio stralcio, premetto un mio appunto, rintracciato in un vecchio quaderno e scritto nell’immediatezza della lettura, datato 8 marzo 1977. Lo ricopio così com’era: nella sostanza non ho cambiato idea, ma oggi non mi esprimerei più con quel linguaggio, neppure in un appunto personale  (S.L.L.)
Due parole sul “marinaio” di Consolo
di Salvatore Lo Leggio
Ho letto tutto d’un fiato il libro di Consolo. Alle prime c’è qualcosa che disturba: quello stile e quella lingua volutamente ridondanti, quell’impasto non privo di compiacimento tra il lessico della lirica aulica ed un lessico popolaresco, anch’esso ricercato. Tuttavia, superato il primo impatto e la sensazione di fastidio che procura, il libro è fruibilissimo ed è importante, come sottolinea la presentazione editoriale: anche lo stile e la lingua, infatti, sono funzionali ad un discorso politico condotto all’insegna della problematicità e della contraddizione.
Il tema centrale del libro è – mio avviso – il rapporto intellettuali-masse, che agli occhi di Consolo si presenta necessariamente ambiguo e contraddittorio. Non si tratta soltanto della “parzialità” degli strumenti intellettuali, delle difficoltà di esprimere con le parole consegnate ai colti da una lunga tradizione classista le cose nuove che vengono dal turbinoso emergere di ceti e di uomini diversi né della spontanea tendenza degli intellettuali ad “omologare” nella loro cultura e nella loro lingua bisogni materiali e spirituali “altri” (paradossale l’uso abbondante o, addirittura, sovrabbondante di locuzioni dialettali, di materiali folclorici, di leggende e proverbi: i segni del diverso, se integrati nel “sistema” sociale e linguistico dominante, perdono il loro significato originario); c’è di più. Nel sorriso dell’ignoto marinaio, nelle labbra tumide ed ironiche c’è l’espressione di una differenziazione antropologica ormai insanabile, di un solco esistente tra queste due umanità, assai più profondo di quello tra le razze.
Questa visione drammatica del rapporto intellettuali-masse si accompagna però, sempre, alla consapevolezza della necessità storica di questo rapporto: ripulsa, distacco, integrazione, ma anche attrazione, amore, sono i segni distintivi di questa ambivalenza, sia a livello razionale sia livello viscerale. Ne viene fuori un libro sull’impossibilità di “andare al popolo”, tutto impregnato della necessità di “andare al popolo” (scrivo andare proprio per sottolineare la distanza abissale tra i due mondi, non per attribuire a Consolo non so qual populismo: i populisti peggiori del resto sono quelli che dicono di “essere popolo”), un libro ambiguo che, mentre con enorme furbizia solletica i gusti e i vizi dei letterati (quanto ci spassiamo a individuare le ascendenze di questa o quella pagina! Foscolo, Verga, Pitrè, i latino-americani, Manzoni… E chi più ne ha più ne metta), lancia un messaggio inequivocabile, indica un compito cui non si può sfuggire: “conoscere com’è la storia che vorticando dal profondo viene, immaginare anche quella che si farà nell’avvenire”.
Due postille
1. Catena non sorride, Catena sfregia il sorriso dell’ignoto marinaio, pur essendo, come Interdonato e Mandralisca, ricca e (abbastanza) colta. C’è un’allusione all’alterità dell’universo femminile?
2. Sicilianità di Consolo. Ipotesi di lavoro: in Sicilia (e a Consolo non sfugge) è difficile sottrarsi all’alternativa tra illuminismo e populismo, non esiste una cultura del movimento contadino compatta e organica che sappia esprimersi in segni decifrabili per l’intellettuale borghese ed egemonizzarlo.

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Gli amici della chiocciola
di Viola Papetti
Innamorati a volte delusi sono gli estimatori della ubiqua, ambigua, bellissima creatura ermafrodita che è la chiocciola, «impastata d’argento e di perle» – secondo padre Bartoli – «fortezza portatile», disabitata prigione, funerea mangiatrice di bulbi oculari morti.
La conchiglia è figura del barocco che ha generato preziose varianti ornamentali e concettuali, e può crescere da metaforetta a metafora addirittura romanzesca, come dimostra Vincenzo Consolo nel Sorriso dell’ignoto marinaio del 1976. Salvatore Grassia fa un’analisi capillare, illuminista, ironica di quel denso luminescente tessuto narrativo in La ricreazione della mente. Una lettura del «Sorriso dell’ignoto marinaio» (Sellerio, pp. 80 € 12). La struttura triangolare del romanzo, che si vuole romanzo ideologico, antirisorgimentale, è affidata al protagonista, il barone siciliano Enrico Pirajino di Mandralisca, patriota e malacologo, veramente vissuto, che trascrive gli «atroci fatti succedutisi in Alcàra Li Fusi» il 17 maggio del 1860, in cui villani e pastori ferocemente massacrarono i padroni delle terre, e a loro volta furono imprigionati e «moschettati».
Vessillo della atavica elusiva identità è il Ritratto d’ignoto di Antonello da Messina, tradizionalmente detto “dell’Ignoto marinaio”, somigliante a Mandralisca, Sciascia, Consolo, – aggiungerei anche Silvano Nigro – troppo acuto per essere uno strumentale servitore della storia… La tesi di Grassia è che Consolo, scrittore civile, «si rivela perennemente taglieggiato dalle parole, edonisticamente sedotto dall’accadimento sonoro e ritmico della pagina, arrendevolmente soggiogato dall’incantesimo della retorica: il libro ‘impegnato’ di un letterato coscientemente compromesso con l’indecorosa e dilettevole pratica irresponsabile della letteratura, e con l’‘impellenza’ agiatamente menzognera della scrittura». Si comprende perciò il dispetto di Mandralisca (alter ego di Consolo) di fronte alla capricciosa ornamentazione della propria scrittura che dovrebbe testimoniare i drammatici fatti di Alcàra. Non gli resta che trascrivere le singole testimonianze dei protagonisti storici, tracciate col carbone sui muri del carcere prima dell’esecuzione, in oscuri e tremendi dialetti.
Scrittura nera – ma anche questa derivata dalla tradizione colta e non da quella popolare secondo le prove portate da Grassia – contro scrittura d’argento. Ai dubbiosi non resta che godere della imprevista Wunderkammer (camera delle meraviglie, n.d.r.) linguistica di cui Consolo è capace, e che materializza a tratti in descrizioni incantate e poeticamente ritmate, una lingua che si fa cassa di risonanza dei dialetti dell’isola, un italiano però impregnato di quella pastosità esuberante: parole riempite di cose, profumate, colorate, gustose. Così, come i villani di Retablo, si può essere trasportati «in altri mondi e vani, su alte sfere e acute fantasie, sopra piani di luce e trasparenze, col solo appiglio d’un quadro informe e incomprensibile e la parola più mielosa e scaltra…»

“alias domenica” 22 gennaio 2012

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