13.5.12

"Il popolo è un mostro". Giacomo Casanova e la Rivoluzione francese

Nel 1989, nel quadro del bicentenario della Rivoluzione francese e nel tentativo di “ripensarla” dando voce ai suoi avversari, fu recuperato e diffuso un inedito di Giacomo Casanova.
Costui, il 14 luglio, quando cadde la Bastiglia, ormai lontano da Parigi, faceva il bibliotecario per il conte Waldstein in Boemia. La Rivoluzione gli apparve in ogni caso totalmente negativa, un “disonore per tutto il genere umano”.
Per farne comprendere le cause scrisse il Ragionamento di uno spettatore dello sconvolgimento della monarchia francese a seguito della Rivoluzione del 1789, che proprio nel 1989 venne recuperato da Fulvio Luccichenti e pubblicato da Laterza in una antologia di Testimoni italiani della Rivoluzione. Lo scritto di Casanova risale al 1793. Un’anticipazione fu pubblicata da Tuttolibri de “La Stampa”, da cui ho stralciato il brano che segue. (S.L.L.)
Giacomo Casanova

Io non so se, dopo quattro anni, uno solo di coloro che si diedero anima e corpo a questa rivoluzione possa ancor oggi felicitarsi di trovarsi, grazie ad essa, in uno stato felice. I soli contadini sembrano sentirsi più a loro agio; e il popolo, che viene nutrito tutti i giorni e si vede riconosciuto re e signore, con la conseguenza di vivere nell'anarchia, commettendo ogni sorta di scelleratezza. Mostruoso popolo francese, che la storia non ha aspettato fino ad oggi a riconoscere e individuare come il più brutale, il più crudele e il più indomabile di tutti i popoli del mondo, senza escludere gli antropofagi.
Ciò che poteva impedirmi di tracciare uno schizzo del popolo francese era la riflessione che il suo carattere influisce in modo determinante su quello dell'intera nazione. Qualche lettore francese onesto, anche se appartenente all'ordine del popolo, potrebbe adombrarsi per la descrizione che sto per farne. Simile giudizio, tuttavia, potrebbe venire da un membro del terzo stato.
Anche se nella nazione francese si possono trovare degli eroi, le orribili scelleratezze che si sono commesse in questo infelice reame in nome di tutta la nazione, da quando è scoppiata la rivoluzione, ne ha dato un ritratto così malvagio da costringere qualsiasi francese onesto che si trovi a viaggiare a nascondere il suo nome e la sua patria.
La nobiltà e il clero francesi sono due dei tre ordini dello Stato: tuttavia, messi insieme, non giungono a formare la millesima parte degli abitanti della Francia: da ciò deriva che, quando si vuol parlare del carattere della nazione, bisogna andare a cercarlo nel popolo. Credo tuttavia abbastanza facile che anche tra il popolo si possano trovare degli uomini onesti come credo che tra dieci ecclesiastici si possa trovare almeno un briccone, o uno scellerato del genere «signor Uguaglianza» (il duca d'Orléans, n.d.t.) in un gruppo di venti gentiluomini.
In base a questo calcolo, l'ignorante Necker (il cui mestiere era soltanto quello del contabile) doveva temere l'accusa di perfidia, quando persuase il re ad accordare al terzo stato un doppio voto nell'assemblea degli stati generali: era infatti impossibile che un solo deputato del terzo stato non fosse nemico dichiarato degli altri due ordini, così com'era quasi certo che vi fossero nemici dichiarati del re e del pubblico bene tra i deputati del clero e della nobiltà. Per questo i turbolenti avrebbero avuto necessariamente la preponderanza, come poi effettivamente avvenne più tardi, con la prima riduzione degli stati generali chiamata Assemblea nazionale.
Non è necessario che io nomini qui i vescovi o i membri della nobiltà che fecero sin dall'inizio causa comune con i focosi deputati del terzo stato; la maggior parte dei quali partì dalla città che lo aveva eletto con l'intenzione di non osservare il mandato ricevuto e di cambiare radicalmente la struttura del regno.
Eccolo, dunque, il carattere del popolo francese, dal quale, secondo il signore de Maurepas, Luigi XVI doveva farsi amare. Il popolo francese, come tutti gli altri popoli, e quasi tutti i corpi collettivi, è nulla: non lo si può chiamare plebaglia o marmaglia fino a quando, con uno o più attizzafuoco alla testa, non dia vita a una sommossa. E' un mostro enorme, feroce, atroce, sitibondo di sangue, spaventoso, composto di individui tutti uguali all'insieme, leggeri, incostanti, ubriaconi, crudeli, impetuosi; e tutti dotati di quella specie di coraggio che non si accorge del pericolo se non quando vede colare il proprio sangue.
Allora, d'un tratto, diventa vigliacco e, vittima della paura, volta le spalle e fugge con la stessa rapidità con la quale si era lasciato trascinare all'aggressione; nella quale, come un torrente di cui nessuna diga può arrestare la violenza, egli abbatte, distrugge e travolge tutti gli ostacoli che si oppongono al suo furore.
Niente è più facile, a Parigi, che riunire un gran numero di gentaglia in una piazza o a un crocevia: essa accorre al minimo grido di chicchessia, ascoltando con attenzione ciò che dice un qualsiasi arruffapopoli Non avendo intelletto né raziocinio, né volontà, approva tutto ciò che le viene proposto; altrettanto pronta a disapprovarlo, dal momento che allo stesso istante, se le si presenta una qualsiasi giustificazione con voce più forte, è lesta a cambiare idea.
Il popolo, nella cui natura non predomina alcuna passione quando non sia assembrato, può essere indotto a fare qualsiasi cosa, secondo il volere di chi lo eccita. Un superstizioso fanatismo religioso ha infatti su di lui la stessa forza dell'empietà più sfrenata. Se è tranquillo desidera la confusione; e se è nella confusione non sembra desiderare altro che il ritorno alla tranquillità, per potersi poi gettare di nuovo in mezze alla baraonda. Ma se tutti gli altri popoli detestano il tempo presente, desiderano il futuro e celebrano il passato, il popolo francese, sventato e senza giudizio, conosce soltanto il futuro: il presente per lui non esiste e non sa nulla del passato: o perché non ha memoria, o perché non si cura di conoscere ciò che non è più.
L'estrema curiosità del francese è la causa della sua credulità: quanto più la novità che gli viene annunciata è stravagante e inverosimile, tanto più le presta fede, purché si tratti di una brutta notizia. Non si cura di esaminare i fatti o di ragionarvi sopra. Non ha il senno necessario a chiunque voglia ben giudicare di una cosa qualsiasi. Il popolo francese rispecchia lo stesso popolo di cui parlano Cicerone, Tacito, Seneca, Plinio e Plutarco: «Qui judicio carens, omnia ex opinione, nulla ex veritate judicat» («Chi, mancando di giudizio, tutto giudica per sentito dire, non in base alla verità», n.d.r.). Decide sempre bruscamente, correndo dietro al primo che passa, senza curarsi di sapere dove corra; anzi, spesso, senza nemmeno saperne il perché. Invidioso e nemico di tutte le persone dabbene e tranquille, non crede alla virtù e la disprezza, è amico di tutti i criminali e nemico di coloro che amministrano la giustizia. Infatti, quando se ne presenta l'occasione, incendia le loro case per saccheggiarle.
La fede, l'onore e la religione, sentimenti dei quali questo popolo può anche infiammarsi, non perdurano in lui, perché non li ha nel suo interno. Agiscono su di lui come un fuoco che si spegne appena cessa il soffio che lo tiene acceso. La virtù, di cui talvolta lo si è trovato animato, non si trova al suo interno ma in superficie.
[...] Senza un capo è pigro, precipitoso, senza discernimento. Suoi ovvi complici sono gli impudenti e gli sfacciati, che lo lusingano chiamando suo «valore» quella che è semplice impetuosità: egli disprezza l'uomo che vorrebbe guidarlo con prudenza, preferendo al saggio e freddo ragionatore, che valuta meticolosamente gli affari, un qualsiasi strillone ignorante, solo famoso per le sue ribalderie o perché nei discorsi di cui si serve per sedurlo schernisce e deride le leggi, il trono e l'altare. Questi è il suo apostolo favorito, e specialmente se sia un villano rifatto, venuto su dal niente e d'improvviso dal grado più spregevole del suo ambiente.
Il sentimento naturale più importante che si trova sempre nel popolo, pronto a esplorare al minimo rumore che possa accenderlo, è l'odio contro lo Stato, contro i ministri e contro tutti coloro che comandano, siano essi i magistrati che amministrano la giustizia o i capi della polizia e i loro subalterni. Soltanto il carnefice è il personaggio che tiene in alta considerazione e del quale ammira il coraggio. Maldicente per natura, nulla si salva dalla sua lingua. Parla di tutto senza saper nulla, e guarda tutto senza veder nulla. Qualsiasi cosa lo fa ridere o piangere di volta in volta. E ha sempre una gran considerazione di sé: non tanto perché si creda fatto per difendere lo Stato o per andare a cercare trofei in guerra, ma perché la sua stessa ribellione connaturale lo rende pericoloso. E ben lo sa: né è mai tanto contento come quando un capo sanguinario lo fa agire.
[Il popolo francese] non mira a conquistare la libertà, poiché questa sarebbe una nobile idea, ma a eccitare sempre ciò che è l'anima dell'anarchia, suo unico idolo. La mediocrità non fa parte del suo carattere: o deve servire come uno schiavo vile e strisciante, o deve dominare in maniera insolente e senza moderazione, dispoticamente. Non può infatti soffrire nessuna disciplina, ancorché mite, né i alcuna libertà che sia soggetta all'impero delle leggi. Sempre estremista, si fida o diffida, spera o teme sempre in modo eccessivo. Se non lo si tiene nel timore, fa paura; ma appena si è impaurito, lo si può schernire ed egli si lascia mettere sotto i piedi.
E' quindi naturale che in questo mostro non alberghi il più piccolo sentimento di riconoscenza. Meriterebbe un elogio se, non essendo ingrato, si distinguesse in ciò dai popoli della terra che solo ricompensano i loro benefattori con le calunnie, il bando o la morte. Ma il popolo francese ha questo di particolare, nei confronti degli altri popoli: che ama i suoi veri oppressori, non avendo sufficiente spirito per riconoscerli. Dirò, infine, che egli condanna ciò che è buono e approva ciò che è cattivo. Quanto il popolo francese loda e fa non è che infamia o follia. [...]
Il popolo francese, ancor più malvagio di quanto lo abbia descritto, è il mostro oggi padrone della Francia. I giacobini assassini, più accorti e più furbi di tutti i rinnegati che fecero parte della prima Assemblea costituente, glielo hanno fatto credere con facilità e hanno seguitato a tenerlo nell'errore. Fintanto che i giacobini saranno a Parigi, l'orribile mostro esecutore delle proprie volontà sanguinarie non verrà decapitato.
Giacomo Casanova

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