11.6.12

Profilo di Aristofane (Franco Montanari)

In occasione dell’uscita per la Utet - a cura di Giuseppe Mastromarco e Piero Tòtaro -  del secondo volume dell'opera completa di Aristofane, “il manifesto” pubblicò una rilettura dell’opera del grande commediografo ateniese, di Franco Montanari, della quale qui riprendo un ampio stralcio. (S.L.L.)
“Può chiunque beccarsi una ragazza,
pure se bianco ha il crine;
ma per la donna
il tempo propizio ha presto fine”

I comici e il potere non sono mai andati tanto d'accordo, la loro disarmonia sembra prestabilita: fatte le debite eccezioni (come il vario manifestarsi antico e moderno dei buffoni di corte), tutt'al più si saranno sopportati, magari con un sorriso forzato da una parte (i potenti) e una battuta corretta controvoglia dall'altra (i comici). C'è poco da fare, prendere a sberleffi il potente, il ricco e il famoso suscita il riso, specie se fatto con intelligenza e cultura: un riso certamente salutare.
Il caso vuole che l'unico commediografo antico di cui si siano conservate opere integre risponda proprio a questa immagine e ne sia il maestro indiscusso: Aristofane di Atene, nato poco dopo la metà del V secolo, esaltò il suo genio comico in una satira teatrale impegnata sul fronte politico e sociale, pronta a farsi beffe dei soliti noti sulla scena pubblica.
Il filone politico del teatro comico attico volgeva il suo sguardo ai temi caldi dell'attualità, che i cittadini spettatori si trovavano giornalmente sotto gli occhi e che muoveva le loro reazioni razionali e viscerali. Alle commedie aristofanee si è sempre accompagnata nei secoli la fama del capolavoro teatrale e il numero delle riprese moderne non teme confronti: l'arte è sovrana e i temi non tramontano sul nostro orizzonte millenario.
Tutte intorno a Lisistrata
A tutt'oggi, sembra che l'unico strumento davvero efficace contro la guerra sia quello indicato da Aristofane nella Lisistrata: trascinate dalla giovane e battagliera donna ateniese, la straordinaria leader che dà il titolo alla commedia e che riesce a coinvolgere anche le spartane, le donne attuano un ferreo sciopero sessuale per costringere gli uomini a lasciar perdere la guerra. Certo sarebbe curioso immaginare un governo e un parlamento costretti a far fronte a un simile problema: forse non è il caso di avanzare suggerimenti, né di aggiungerlo ai dibattiti sulle liberalizzazioni.
Come è di regola, Lisistrata deve intervenire per impedire casi di «crumiraggio»: lo spirito può essere debole, ma la carne è certamente forte e qualcuna delle scioperanti è tentata dal cedimento. Il culmine della comicità è nelle scene in cui alla berlina finiscono un paio di rappresentanti del sesso maschile, affetti da una crisi di astinenza ben evidente sotto i leggeri vestiti. Il marito della giovane Micrine compare in scena «in preda al delirio di Afrodite» e ne segue una scena esilarante, in cui la donna gioca come il gatto con il topo, irridendo l'animalesca eccitazione dell'uomo. È un crescendo: nella scena successiva un ambasciatore spartano non può nascondere il suo stato priapico, mentre annuncia che anche le donne di Sparta sono entrate in sciopero al pari delle Ateniesi. Agli uomini non resta che arrendersi, per vero dire in un senso assai poco marziale: si arrendono a Lisitrata e alla pace, sancita nel festeggiamento finale. La godibile ed efficace traduzione di Giuseppe Mastromarco, nella nuova edizione completa della Utet, ci restituisce un divertimento esilarante, da cui gli spettatori dovettero essere davvero travolti fin dalla prima rappresentazione.
La commedia andò in scena nel 411 e molti erano proprio stufi di guerra e di guai. Atene aveva subito nel 413 la terribile disfatta della spedizione in Sicilia (415-413), con ingenti perdite e la morte dei due strateghi Nicia e Demostene; e sempre nel 413 le ostilità con la rivale Sparta erano riprese apertamente, dando inizio a quella che si svilupperà come ultima parte (413-404) della quasi trentennale Guerra del Peloponneso (431-404) e finirà con il tracollo degli Ateniesi.
Alla pace con Sparta del 421 (la cosiddetta pace di Nicia) e all'illusione di essersi lasciati alle spalle una guerra che durava ormai da dieci anni (dal 431), seguì in realtà un periodo movimentato anche nella situazione interna di Atene: l'inquieto gioco politico caratterizzato dallo scontro fra democratici e oligarchici e le tensioni continue, nelle quali si muoveva l'ambigua personalità di Alcibiade e si dipanavano le trame delle fazioni cittadine, trovavano nutrimento nelle altalenanti vicende della guerra e nei problemi della politica estera ateniese, impegolata in difficili rapporti con gli alleati e nelle irrisolte relazioni con la Persia, per lo più alleata di Sparta.
Lo scontro con la città peloponnesiaca aveva coagulato schieramenti ideologici fortemente connotati, per cui Atene rappresentava i democratici e Sparta gli oligarchici: una contrapposizione che non poteva non creare problemi all'interno delle città greche, dove accadeva che le fazioni democratiche erano filoateniesi, le fazioni oligarchiche erano filospartane. Ad Atene i democratici erano favorevoli alla guerra fin dall'inizio, nel 431 e nel pieno del governo di Pericle, e l'avevano condotta sollevando la bandiera ideologica della forma di governo sotto cui Atene aveva prosperato a lungo e di cui aveva fatto una vera immagine politico-culturale. Sparta, dal canto suo, poteva brandire il vessillo della difesa della libertà delle città greche di fronte alla durezza talvolta assai oppressiva dell'impero navale ateniese nei confronti delle città partecipanti alla Lega Delio-Attica dominata da Atene: i rapporti con gli alleati non mancavano di pesanti conflitti e dure rappresaglie.
Proprio nel 411 un colpo di stato oligarchico in Atene mise in discussione un sistema democratico, la cui stabilità si può dire durasse da quasi cento anni (cioè dalle riforme di Clistene del 508, passando anche attraverso la grande vittoria contro l'invasore persiano): il grande secolo della città che Pericle (morto ormai dal 429) aveva definito «scuola dell'Ellade», cioè colei che impartisce educazione alla Grecia intera. La cosa durò poco e in capo a un anno le forme politiche democratiche erano ripristinate, mentre l'ala democratica radicale continuava a essere favorevole alla guerra. Ma dal 410 la situazione militare cominciò a volgere al brutto per Atene e andò peggiorando, anche malgrado la meteora di un Alcibiade temporaneamente riabilitato in extremis e la vittoria navale del 406 alle isole Arginuse. Lo splendore sembrava oscurarsi, sotto i colpi di una devastante guerra che il partito democratico non cessava di approvare. Dopo la disfatta navale del 405 a Egospotami, sulla costa dell'Ellesponto, nel 404 per Atene fu la sconfitta definitiva e la tragedia della resa.
L'avversione di Aristofane nei confronti della guerra e dei suoi sostenitori era evidente (soprattutto nelle commedie della prima fase più esplicitamente «politica») e il suo teatro era farcito di riferimenti alle vicende del momento (un tratto che andò smorzandosi nei toni già dopo la pace di Nicia e soprattutto nelle ultime commedie, posteriori alla fine della guerra). L'ostilità per il partito democratico e l'opposizione al regime della democrazia radicale post-periclea, caratterizzata dallo strapotere dei demagoghi, emerge di continuo nel suo teatro. Da questo si è ricavata in passato l'idea di un uomo rigidamente conservatore e direttamente impegnato nello scontro dei partiti, ma la critica più recente ha sfumato questo giudizio, tenendo nel giusto conto gli aspetti intrinseci al genere comico stesso e ai suoi cromosomi «sovversivi». Il filone politico della commedia attica antica, con il suo aggancio alla realtà quotidiana e ai temi vivi nell'attualità socio-politica, era naturalmente satirico nei confronti dei poteri dominanti e degli uomini che li incarnavano variamente. La vita della polis veniva rappresentata con ironia, bersagliando i potenti con una satira pungente ed esplicita, che consentiva lo «sbeffeggiare per nome».
Negli Uccelli del 415 troviamo due cittadini che abbandonano esasperati la loro città, mirando a fondarne una nuova e libera da tutti i mali di Atene, impietosamente evidenziati nel corso della commedia. Era l'anno di partenza della controversa spedizione in Sicilia e sembra chiaro che l'invenzione comica gioca anche sul contrasto di finalità fra le due spedizioni, una in cerca della situazione ideale, l'altra in corsa verso il disastro. La nuova città sarà governata dagli uccelli, un tempo dominatori del mondo, e sorgerà in posizione strategica fra cielo e terra, ma né gli uomini né gli dèi vi saranno ammessi. E gli dèi, privati del fumo dei sacrifici terrestri, intercettato dalla città fra le nuvole, sono costretti a trattare la pace con la città degli uccelli per riavere quanto a loro destinato dagli uomini.
Nel 411, stesso anno della Lisistrata, furono rappresentate le Tesmoforiazuse, che mettono in scena ancora le donne ateniesi, questa volta durante la festa delle Tesmoforie, dedicata a Demetra e Persefone. A essere messo alla berlina è il tragediografo Euripide, un altro dei bersagli preferiti di Aristofane, che lo attaccherà ancora nelle Rane (del 405, un anno prima della sconfitta finale di Atene), una delle più importanti commedie conservate per la ricchezza di contenuti e di significati sul piano politico e culturale.
Il teatro di Euripide in quegli anni si mostrava sensibile agli orientamenti della nuova cultura sofistica, razionalistica e «laica», che discuteva e revocava in dubbio le certezze tradizionali in tema di etica collettiva e individuale, di conoscenza e di religione. La satira antieuripidea è sicuramente di stampo tradizionalista e conservatore, ma ancora una volta bisogna sottolineare come i connotati ideologici si frammischino alle esigenze proprie di un teatro che cerca la caricatura e la parodia dell'uomo in vista, del maître à penser di minoranze colte ma influenti, fino a distorcere la realtà e la verità dei fatti (come già era accaduto nelle Nuvole del 423 per Socrate, ridicolizzato impietosamente).

Euripide sotto accusa
Nelle Tesmoforiazuse è la vulgata misoginia di Euripide al centro delle situazioni comiche e delle beffe caricaturali: finisce che il tragediografo è costretto a far pace con le donne, promettendo di non parlarne più male, e deve travestirsi da vecchia mezzana per riuscire a liberare un suo parente prigioniero. Le Rane sono celebri soprattutto per l'agone che si svolge agli Inferi fra Eschilo, il grande tragico del passato che incarna la più autorevole tradizione nobile e austera, ed Euripide, il «moderno» che ha rotto convenzioni consolidate, ha dissacrato le forme e i ruoli, ha scandalizzato i benpensanti e finisce con l'incarnare addirittura la causa «antropologica» del disastro che attende Atene. Anche qui la deformazione caricaturale ha una parte non piccola, facili luoghi comuni si uniscono a temi di grande peso culturale: le simpatie vanno ovviamente a Eschilo, al quale Dioniso, il dio del teatro, attribuisce la vittoria.
Anche le commedie perdute e note solo per frammenti rivelano temi dell'attualità socio-politica. Nei Banchettanti (l'esordio del 427) Aristofane affrontava il tema dell'educazione dei figli: al modello tradizionalista di sobria estrazione contadina venivano contrapposte le concezioni e le pratiche della vita cittadina, l'affermarsi del relativismo etico e intellettuale della Sofistica e le raffinatezze della vita. Vi è chi ha visto in questo dramma una sorta di processo alla nuova cultura periclea, emancipata dai valori tradizionali, attratta dalla bella vita e dalla grandiosità della polis. La seconda commedia, I Babilonesi, andò in scena nella primavera del 426 davanti ai rappresentanti degli alleati ed esprimeva il disagio delle città della Lega Delio-Attica per la pressione esercitata da Atene, divenuta polis tyrannos che schiavizzava gli alleati. Era un atto d'accusa rivolto soprattutto al regime demagogico e in particolare a Cleone, che nel 427 era andato vicino a ottenere dall'assemblea ateniese di punire la ribellione dell'alleata Mitilene con il massacro dei suoi abitanti. Cleone, un avversario politico spesso attaccato dal commediografo, lo accusò di avere offeso la dignità di Atene dinanzi ai delegati degli alleati e agli stranieri presenti in città. Pare che la commedia abbia riportato la vittoria, riscuotendo dunque il gradimento dei giudici e del pubblico, mentre il demagogo reagì alla provocazione con un'azione giudiziaria contro il poeta.
Vicende tanto complesse sembrano imporre un confronto con quanto accade di questi tempi. Anche se oggi, si sa, i demagoghi non ci sono più, nessuno se la prende con i comici e soprattutto tutti ormai sanno che è bene evitare la guerra. Lisistrata può dormire fra due guanciali.

il manifesto 23.08.2006

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