12.7.12

Aprile 68. Longo incontra gli studenti, il movimento sceglie la "scheda rossa"

  
Luigi Longo
Alla campagna delle elezioni politiche di fine maggio 68 partecipai da militante e dirigente locale della Fgci. Oltre ai volantinaggi feci qualche discorsetto nella provincia di Agrigento (ma non in paese, ché i compagni volevano evitarmi scontri con il mio irascibile padre, gran brava persona ma irrimediabilmente di destra).
A Canicattì, Racalmuto, Naro facemmo un comizio per l’epoca molto originale. Parlavamo in tre: tre giovani, Lillo Gueli, che aveva trent’anni, Federico Martorana, che era segretario provinciale della Fgci e ne aveva 24, ed io, che andavo per i venti. Egualitariamente dividevamo l’ora in 6 turni di 10 minuti e ci alternavamo al microfono.
Nei miei due turni io parlavo  del disagio dei giovani e del Vietnam, ma il 25 aprile a Canicattì, Gueli, più grande d’età, egocentrico e vanesio come in genere sono i poeti, m'obbligò, oltre che a un giusto riferimento alla Resistenza, a leggere (senza fare il suo nome dell’autore) - un brano da una poesia sulla Liberazione da lui composta. Non ne ricordo nulla, ma non mi piaceva. A Naro usai invece – con successo, ma senza indicare la fonte – una frase proverbiale di Stalin: “L’imperialismo porta la guerra come la nube la tempesta”. Federico ed io, in quest’ordine, parlavamo prima, per offrire a Lillo la possibilità di prodursi nella perorazione finale (la “sparata”), nella quale era bravissimo.
Intanto avevo già fatto la mia prima occupazione di facoltà, a fine febbraio. Simpatizzavo per Mao e la Rivoluzione culturale, per il Che e per Cuba, per Ho Chi Min e Giap, consideravo burocrati da cacciare i capi sovietici e il mio cuore - quando scoppiò il maggio in Francia – batteva tutto per i giovani compagni che pretendevano di portare l’immaginazione al potere.
Ero tuttavia, al tempo stesso, orgoglioso di militare nella Fgci diretta da quell'Occhetto che aveva portato ad Ho Chi Minh la lista dei giovani italiani pronti a partire come volontari per il Vietnam. Ed ero orgoglioso di aver preso già nel 1967 anche la tessera del Pci con la firma di Luigi Longo, il glorioso comandante Gallo.
La notizia, giunta a metà aprile, che il Movimento studentesco romano, uno dei più prestigiosi, per le elezioni politiche aveva scelto di indicare ai maggiorenni (al tempo bisognava aver compiuto 21 anni) la “scheda rossa”, cioè il voto all’opposizione di sinistra, Pci e Psiup, mi rese pertanto felice, visto che legittimava la mia “doppia fedeltà”. Ancora più felice fui quando “l’Unità” diede notizia dell’incontro del segretario Luigi Longo con una delegazione di studenti, tra cui Oreste Scalzone. Era già un nome importante quello di Scalzone, per le cose che diceva e scriveva, per il suo stile infuocato e brillante, ma soprattutto perché a metà marzo gli aveva rotto la schiena il grande tavolo che gli squadristi di Almirante e Caradonna avevano lanciato su un corteo del Movimento Studentesco dal quinto piano di una facoltà (mi pare giurisprudenza). Oreste era diventato per noi una specie d'eroe, o di martire: l'equivalente italiano di Rudi Dutsche.
Dell’incontro non fu pubblicato un resoconto, ma qualche giorno dopo, il 3 maggio, uscì l’articolo di Luigi Longo, di grande apertura, che correggeva le diffidenze di Giorgio Amendola, a sua volta bersaglio di tante critiche da parte di noi giovani comunisti, in prevalenza di simpatie ingraiane. Amendola, fino ad allora, si era limitato a qualche frecciata all’interno di articoli e discorsi; solo il 3 giugno, ad elezioni archiviate, Amendola avrebbe condensato le sue posizioni in un articolo “antiestremista” sulla "lotta su due fronti", di taglio stalinista, che di fatto scomunicava il grosso del “movimento” e avrebbe suscitato forti reazioni critiche anche all’interno del Partito (tra gli altri Lucio Lombardo Radice, Davide Lajolo, Rossana Rossanda, Ottavio Cecchi). Le elezioni peraltro si conclusero con un grosso successo delle sinistre di opposizione. Socialisti e socialdemocratici unificati ottennero lo stesso risultato dei soli socialisti 5 anni prima. Il socialisti di sinistra del Psiup ottennero quasi un milione e mezzo di voti e 23 deputati alla Camera. Il Pci ottenne otto milioni e mezzo di voti, circa ottocento mila e 11 deputati in più rispetto al 1963. I successi di Pci-Psiup alleati furono meno vistosi al Senato, dove si cominciava a votare dai 25 anni: segno che il voto delle nuove generazioni e degli studenti aveva avuto il suo peso in quello spostamento a sinistra.
Maggio 1968. Pajetta, Cossutta, Ingrao e Longo
gioiscono per il risultato elettorale del Pci 
Qui sotto “posto” come appendice una testimonianza di Oreste Scalzone sull’incontro con Luigi Longo. La scrisse da “esule” in Francia per un supplemento rievocativo (’68. Vent’anni dopo. Una storia aperta) pubblicato da “L’Espresso” il 24 gennaio 1988.
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Tre ore con Luigi Longo
di Oreste Scalzone
Roma, 24 febbraio 1968. Corteo del Movimento Studentesco.
In prima fila da sinistra: Roberto Perris, Oreste Scalzone, Paolo
Flores D'Arcais, Sergio Petruccioli, Massimiliano Fuksas, Franco Russo
Gli echi della "battaglia" di Valle Giulia si erano appena spenti quando Alberto Jacoviello, giornalista dell' "Unità", ci fece sapere che Luigi Longo era interessato ad incontrare alcuni di noi «per capire meglio in cosa consistesse la novità del movimento studentesco».
Ci venne fissato un appuntamento per il pomeriggio del 19 aprile alle Botteghe Oscure. Andammo in sei-sette, tra cui Alberto Olivetti, Luigi Moretti, Renato D'Agostini ed io.
Evidentemente l'interesse del Pei era anche elettorale ed io avevo sulla questione una posizione già nota: ero contro la scheda bianca. Ritenevo che Pci e Psiup fossero ancora identificati come i partiti della classe operaia e che dunque votarli fosse il solo modo di farsi capire dagli operai.
Con queste idee andai all'incontro. Longo ci accolse con calore. Chiese di spiegargli cosa volevamo, quali fossero i nostri problemi. E noi a turno parlammo. «Non si può circoscrivere il Movimento all'interno dell'Università...» (Moretti). «L'esperienza del Vietnam e della rivoluzione culturale cinese non è stata messa in evidenza dal partito...» (Olivetti). «Dalla critica all'Università si passa ad una critica del Pci e della sua vita interna troppo burocratizzata...» (D'Agostini).
Longo ascoltò attento e senza dar segni di impazienza. Poi ci rispose parlando a lungo. «Un movimento rivoluzionario come il nostro avanza solo se c'è confronto di opinioni, se c'è opposizione. Oggi, invece, alcuni compagni si spaventano se alle riunioni c'è qualcuno che fa il contraddittore. E' uno sbaglio e limita il dibattito. Da parte nostra c'è stata una mancanza di previsione sullo sviluppo del movimento studentesco che non è puramente rivendicativo e settoriale».
Il segretario del Pci parlava in modo bonario, senza formalismi e con grande apertura. «Le riforme non sono riformiste in sé, lo sono solo se non diamo loro una chiara prospettiva rivoluzionaria. Il nostro orientamento è la lotta contro il sistema attraverso una larga mobilitazione in vista di un rovesciamento sociale radicale. Ma oggi possiamo forse pensare in Italia alla possibilità di una guerra di guerriglia? Io certo non lo credo, io credo che siamo già più avanti...».
Ricordo che per convincerci dell'opportunità di rivendicare il disarmo della polizia in servizio d'ordine pubblico spostò piattini e tazze del caffè come per rappresentare il fronteggiarsi di un picchetto operaio con i poliziotti. Dopo tre ore Longo ci strinse la mano, uno per uno, quasi affettuosamente.
Uscendo mi resi conto di aver riportato un'impressione forte: quella di un politico che parlava fuori da schemi preconcetti. Importante fu il suo riconoscimento della democrazia diretta del Movimento. La sua sensibilità gli fece rispettare la decisione di non pubblicare il resoconto integrale del colloquio. Si limitò a riferirne in un articolo su "Rinascita".
Conservai di lui sempre un ricordo positivo anche se negli anni dell'operaismo combattemmo contro il Pci e il sindacato considerati «istituzioni capitalistiche di controllo sulla classe operaia».
Penso comunque che se oggi potessi incontrare un uomo come il "comandante Gallo" gli parlerei del fatto che «nessuna guerra è finita finché non tornano a casa i prigionieri» ... Forse capirebbe il senso di una legge di iniziativa popolare per la liberazione di figli del '68 che negli anni 70 hanno tentato la via della guerriglia e oggi sono destinati a cent'anni di solitudine.

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