8.7.12

La "pienzizzazione" di San Casciano (L.d. S.)

A San Casciano dei Bagni, in provincia di Siena, ove ero già stato più volte, tornai dopo aver letto l’articolo di cui posto qui un ampio stralcio su un supplemento “turistico” del “manifesto”. Le mie impressioni confermavano la lettura del servizio firmato LdS (Luciano del Sette). Il giornalista concludeva con un pistolotto, da me omesso, in cui mostrava di confidare nel nuovo sindaco, per correggere almeno qualche eccesso. Non ci sono più tornato e non so come sia andata. Immagino che la trasformazione dell’antico borgo sia continuata e che l’economia locale, puntando su un turismo di gran lusso regga, nonostante la crisi. Per gli straricchi, a meno che non possedessero in abbondanza titoli della banca fallita dei gemelli americani, la crisi in verità non c’è mai stata.
Una cosa notevole dell’articolo è il neologismo “pienzizzazione” che fa il paio con la “rapallizzazione”, introdotta negli anni settanta, se non ricordo male, da Antonio Cederna. (S.L.L.)
San Casciano dei Bagni, Piazza Matteotti con la fontana della Bestia
In questo pezzo di Toscana circola un neologismo, «pienzizzazione», riferito alla cittadina di Pienza, che sta a indicare lo snaturamento di un luogo. Pienza è divenuta infatti una sorta di Disneyland disegnata dai negozi di vino e pecorino, dove i prezzi di alberghi e ristoranti sono allegramente lievitati, e il traffico umano e automobilistico ha raggiunto livelli insopportabili. Dove tutto ciò, o quasi, di quello che si fa avviene in funzione del turista e non di chi vive lì senza essere negoziante, albergatore, ristoratore.
Pienza si è trasformata, orrenda ma veritiera definizione, in un «prodotto». E potrebbe rappresentare il simbolo di quella mancanza di equilibrio tra giusti introiti derivanti dalla valorizzazione turistica e rispetto della realtà locale. Potrebbe, se non ci fosse un altro borgo a esprimere in maniera ancor più significativa tale mancanza di equilibri.
Questo luogo, San Casciano dei Bagni, Basso Senese, non ha di Pienza la celebrità enogastronomica, né la quantità dei richiami artistici. Eppure è assurto via via agli onori delle rubriche e degli articoli a proposito di viaggi, ha attirato un numero crescente di cosiddetti vip puntualmente finiti sulle pagine di gossip dei giornali locali e nazionali, ha istituito un premio giornalistico con compenso economico esentasse, ha richiamato personaggi danarosi che hanno acquistato poderi. Così San Casciano, da appartato e un po’ depresso borgo di 500 abitanti...
Il salto fondamentale si compie quando alcuni anni fa Leandro Gualtieri, imprenditore che ha fra le sue tante attività anche quella termale, vende la propria quota delle Terme di Saturnia e decide di entrare in società con il Comune di San Casciano per restaurare radicalmente le terme del paese, in abbandono… Lo stabilimento diventa calamita per un pubblico disposto a spendere nella dorata realtà di due alberghi a cinque stelle e di strutture termali non propriamente a prezzi popolari. La fama del borgo cresce. Ormai, nei fine settimana, non trovi un posto al parcheggio, e allora se ne costruisce un altro... Abbigliamenti country chic di italiani e stranieri sono ormai defilé abituali per le vie del paese. Modeste realtà commerciali si allargano con eccesso di ottimismo.
E la gente del posto, i paesani, i vecchietti, i giovani che non vorrebbero andarsene perché a San Casciano vogliono bene? Assistono impotenti e smarriti a tutto quello che avviene.
Il capitolo finale della «pienzizzazione» viene scritto lo scorso anno, quando l’opposizione scopre che il Comune ha approvato un progetto di rifacimento della piazza senza (lo consente la legge) dover passare attraverso l’approvazione del consiglio comunale, vista l’entità dello stanziamento. A nulla vale un’assemblea con i cittadini. Di fronte alle perplessità di molti sulle scelte estetiche, l’architetto responsabile risponde che anche Eiffel venne criticato per la Tour (!).
Partono i lavori, si tagliano gli alberi che scandivano la linea dello splendido belvedere, si rimuovono le panchine… Infine la piazza, quella nuova.
Un esempio di inutilità fatto di un impiantito di pietra serena e di marciapiedi che mai la memoria antica di questo luogo ha visto, di lampioni modello «Milano da bere» e di fari sotto i cornicioni dei palazzi d’epoca, che quando si accendono regalano un effetto lager/internati in fuga. Ma il massimo della distonia è costituito dalla fontana, realizzata da un artista iraniano, storico frequentatore del paese, intitolata «La bestia»: un parallelepipedo su cui scorre acqua, sormontato da una scultura color verde, la Bestia appunto. Più che una bestia, un pugno in un occhio, guardando alla piazza…

LdS (Luciano del Sette) “il manifesto” – supplemento viaggi, aprile 2004

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