4.7.12

Lu Xun, dinamitardo gentile (di Aldo Natoli)

L’articolo che segue, di Aldo Natoli, a mio avviso notevole per acume e rigore, risale al 1981, l’anno del centenario della nascita di Lu Xun. Fu pubblicato su “la Repubblica”, ma nel ritaglio da cui l’ho recuperato non c’è la data esatta. (S.L.L.) 

Lu Xun (pseudonimo di Zhou Shuren) è uno dei grandi protagonisti della rivoluzione politica e culturale di cui la Cina fu teatro nella prima metà di questo secolo e che — attraverso la caduta dell'Impero, la contrastata nascita della Repubblica e tre decenni di guerra civile — giunse nel 1949 ad un esito vittorioso; esito che lo stesso Lu Xun aveva contribuito a preparare, ma che non poté vedere, essendo morto nel 1936.
Era nato nel 1881 (il centenario ricorre in questi giorni e in Cina viene celebrato con una serie di manifestazioni), in una piccola località di campagna nella provincia costiera del Zhe-jiang. Compì studi tecnici intorno al volgere del secolo, quando la Cina era contraddittoriamente affascinata dalla cultura dell'Occidente e oppressa dal suo imperialismo. La richiesta di riforme all'occidentale coesisteva con la più risoluta xenofobia.
Nel 1902 Lu Xun, come tanti giovani cinesi del tempo, si recò in Giappone, a studiare medicina. Fu colà che, durante la guerra russo-giapponese, gli accadde di assistere alla decapitazione di un cinese, accusato di spionaggio a favore dei russi, mentre la folla intorno era costituita da cinesi venuti a godersi lo spettacolo. Fu un'illuminazione decisiva per tutto il resto della sua vita: «Se la gente di una nazione debole e arretrata... poteva solo servire a dare un esempio o ad assistere a simili spettacoli, lasciarla morire di malattia non era poi così grave. La cosa più importante, perciò, era cambiare lo spirito di quel popolo, e poiché a quel tempo pensavo che la letteratura fosse il mezzo migliore per raggiungere questo fine, decisi di fondare un movimento letterario».
Così piantò la medicina per la letteratura. Ma questa per lui non ebbe mai un ruolo demiurgico (lo dirà più tardi in modo inequivocabile: «Ritenere che la letteratura possa mutare l'ambiente è una chiacchiera idealistica»). Al servizio del popolo, era però uno strumento valido; e lui si rivelò particolarmente dotato per adoperarlo.
Nella lotta per il rinnovamento politico e culturale della Cina (che nel 1919 culminò nel  «movimento del 4 maggio») Lu Xun si collegò con la rivista “Gioventù nuova”, allora diretta da Chen Duxiu, futuro primo segretario del partito comunista cinese. Su “Gioventù nuova” pubblicò, fra il 1918 e il 1919, alcuni fra i suoi saggi e racconti più dirompenti (La mia opinione sulla castità, Come essere padri oggi, Diario di un pazzo). Lu Xun respinge le illusioni di quei riformisti che si proponevano di conservare l'essenza della millenaria civiltà cinese, introducendovi, come correttivo, dosi ponderate della cultura occidentale. La civiltà cinese è fondata e nutrita sulla più mostruosa disuguaglianza; l'umanismo di pochissimi prospera sulla disumanità delle moltitudini; la cultura che 1'ha formata è l'espressione e lo strumento di una ferrea gerarchia di oppressori e di oppressi, al punto che essa non può essere utilizzata nemmeno per obiettivi di riforma. Quella lingua, quella scrittura sono inaccessibili agli oppressi e servono appunto per opprimerli. Mentre «la rovina di un antico paese dipende dal fatto che in gran parte il suo organismo è indurito dall'eccesso di educazione alla tradizione antica e non sa più muoversi in corrispondenza delle situazioni nuove»: «in uno Stato decrepito» come la Cina «niente è meglio degli analfabeti», quanto alle possibilità future.
Questo cupo quadro della storia della Cina si condensa nella provocatoria metafora del cannibalismo: «da quando è cominciata la civiltà fino a oggi si imbandiscono senza numero grandi e piccoli banchetti di carne umana, gli uomini in queste riunioni mangiano gli uomini e vengono mangiati», in una piramide di dieci gradini, dai principi ai servi di infimo grado; e questi, ancora più in basso hanno le mogli, ancora più deboli i figli.
           
Rovesciamento gigantesco
La violenza dell'attacco è pari solo alla sua sistematicità: la tradizione culturale e la sua lingua vanno distrutte, la morale confuciana va distrutta, la gerarchia sociale che ne deriva va distrutta, la famiglia, sua cellula generatrice, va distrutta: la liberazione della donna e dei figli è il primo impulso a questo gigantesco rovesciamento. Così, alle soglie degli anni 20 Lu Xun introduce cariche di dinamite nel corpo pietrificato della vecchia Cina. In modo del tutto autonomo dalle «salve della rivoluzione di Ottobre», che presto si faranno sentire nella fondazione del partito comunista cinese, attraverso 1' influenza trascinante da lui esercitata su una generazione di giovani intellettuali, Lu Xun è stato forse il più autentico ispiratore degli albori della rivoluzione cinese.
E tuttavia, la sua radicale negazione della cultura tradizionale non si esauriva in un secco rifiuto. Lu Xun è stato anche un appassionato e penetrante studioso del romanzo cinese e della sua storia ed ha saputo scrivere versi raffinati nello stile e nella lingua dei classici. D'altro canto, la cruda denuncia della miseria del popolo, lo conduce alla scoperta dei tesori di amore e di saggezza che rendono tollerabile e riscattano la vita dei più umili. Apprenderà con commozione che si possono trarre lezioni di umanità da un conducente di risciò (Un incidente); il ritorno nella vecchia casa natale susciterà in lui, con la memoria dell'infanzia, non solo tristezza, ma anche, inaspettatamente, speranza: «La speranza, in se stessa, non si può dire che esista o non esista... E' come per le strade che attraversano la terra. Al principio non c'erano strade: si formano quando gli uomini, molti uomini, percorrono insieme lo stesso cammino» («Villaggio natale»).
Ma la speranza in lui non si trasforma in illusione. Nella Vera storia di Ah Q (dicembre 1921), nel raccontare le vicende della vita di un sottoproletario miserabile, indica i limiti del pur vasto movimento rivoluzionario che aveva cominciato a scuotere la Cina in quegli anni. Le oscure, sterminate masse del popolo infimo non ne erano rimaste nemmeno sfiorate: «Prima della repubblica», dirà, «gli uomini erano schiavi; adesso siamo schiavi di ex-schiavi».
Quel che è certo è che Lu Xun seguì con preoccupazione e sfiducia le vicende della collaborazione fra il partito comunista cinese e il Kuomintang fra il 1923 e il 1927. Con prudenza, ma in modo esplicito, manifestò più di una volta critiche e timori. In un saggio dal titolo Del guardare le cose a occhi aperti, criticava l'assenza di «combattenti che infrangano ogni pensiero e ogni metodo tradizionale», «la letteratura di illusione e di inganno» allora in voga, e concludeva: «Peccato che sotto il grande berretto dell' "amor di patria" si siano di nuovo chiusi gli occhi, o forse sono stati sempre chiusi».
Poco dopo, nel gennaio 1926, in un articolo dal titolo significativo (Di come si debba rimandare il fair play) lanciava un avvertimento alle forze rivoluzionarie che vedeva irretite nelle manovre della borghesia del Kuomintang: «i riformatori sono ancora immersi nel sogno... si scavano da sé la fossa». Infine, proprio alla vigilia del tradimento di Chang Kaishek e del massacro dei comunisti, parlando all'Accademia militare di Wanpoa, non esitò a dire: «In Cina la rivoluzione non ha avuto successo... la società di Canton non è stata influenzata dalla rivoluzione... è una rivoluzione per decreto imperiale». Queste parole profetiche, pronunziate nel momento in cui sembrava che l'alleanza fra Kuomintang e comunisti fosse giunta al culmine dei successi (era appena avvenuta l'insurrezione operaia di Shanghai), furono seguite pochi giorni dopo dalla eliminazione sanguinosa delle avanguardie del movimento rivoluzionario e dall'apertura di una lunga nuova fase di lotta: tutte le illusioni contro cui Lu Xun aveva inutilmente messo in guardia, venivano brutalmente distrutte.
Lu Xun continuò ancora per dieci anni la sua opera di letterato «al servizio del popolo» nella straordinaria atmosfera della Shanghai degli anni 30, così vividamente descritta da Edgar Snow, che lo incontrò nel 1933. Non aveva alcun incarico di insegnamento, essendosi dimesso dall'università di Canton subito dopo il colpo di stato di Chang Kaishek. Viveva, al margine della miseria, del suo lavoro di scrittore, traduttore, organizzatore di cultura, in una condizione di semilegalità, più volte minacciato da arresti e da persecuzioni, certamente in contatto con l'organizzazione clandestina del Pcc, e, in particolare dopo l'inizio dell'aggressione giapponese, alla testa delle organizzazioni democratiche e antifasciste degli scrittori. La sua irriducibile avversione al regime del Kuomintang non lo portò automaticamente nelle file dei comunisti, che ne erano i principali oppositori, né accettò supinamente le loro parole d'ordine. Quando il Pcc promosse a Shanghai un fronte unito degli scrittori in una «letteratura di difesa nazionale», Lu Xun non accettò di confondersi nell'unanimismo patriottico: nella lotta contro i giapponesi voleva certo l'unità, ma esigeva di conservare l'autonomia di classe. Ebbe scontri con dirigenti comunisti, di cui taluno è ritornato recentemente in grande onore a Pechino; né sappiamo fino a che punto si rendesse conto che a quel tempo esisteva nel Pcc una dura lotta sul problema delle alleanze all'interno del fronte unito. Comunque, la sua posizione coincideva di fatto con quella che Mao Zedong sosteneva dalla zona liberata di Yanan.

Una rivoluzione interiore
Credo che abbia scarso fondamento affermare, come si fa oggi, che Lu Xun fosse divenuto marxista o, addirittura, marxista-leninista. E' stato un rivoluzionario cinese di avanzate ispirazioni libertarie e sociali; nella rivoluzione, l'essenziale era per lui che la liberazione dell'uomo dai rapporti sociali oppressivi fosse accompagnata dall'affrancazione del suo spirito da idee vecchie, da costumi disumani, da una morale decrepita.
Se si volesse ricorrere ad una formula, si potrebbe dire che Lu Xun assegnava il primato al rivoluzionamento della «soprastruttura» culturale e morale. Quel rivoluzionamento aveva certamente compiuto entro se stesso; e questo fu il punto in cui la sua vita e la sua opera sono divenute tutt'uno. Fu un grande scrittore rivoluzionario, comunista e umanista; forse lui stesso avrebbe accettato questa identificazione, lui che, nel suo testamento, aveva perentoriamente prescritto che non si facesse alcuna commemorazione.

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