22.7.12

Reazione, biografia di una parola. Starobinski a Bologna (di Alberto Burgio)

Ritrovo tra i ritagli del “manifesto” (l’anno è l’89) questo resoconto di una lezione tenuta a Bologna da Jean Starobinski. Rinnova in me il rimpianto di non esserci andato (ebbi la tentazione di andare nella grassa città a vedere e ascoltare un maestro, non disgiunta dal desiderio di mortadella della migliore, ma quella volta non cedetti agli impulsi né dello spirito né della carne). E tuttavia l’articolo è splendido per la chiarezza espositiva, la precisione e la problematizzazione. Utilissimo. (S.L.L.)

Per uno di quei paradossi nei quali si esercita l'ironia delle cose, è la storia dell'idea di reazione a fornire un esempio inoppugnabile della vittoria della rivoluzione francese. E non occorre dire quanto, nel frivolo Bicentennaire, di simili esempi si avverta il bisogno.
Questa storia l'ha raccontata, regalando in una divertita mescolanza di francese e italiano un altro esercizio della sua felice intelligenza critica, Jean Starobinski, invitato a Bologna dal suo editore italiano, il Mulino, a tenere la Lettura che, da cinque anni, rappresenta il fiore all'occhiello dell'attività culturale della casa editrice. Scelta opportuna, oltre che per le coincidenze cui si accennava poc'anzi, per il debito contratto da intere generazioni di studiosi, formatesi sulle pagine già classiche della Transparence e della Rélation critique, e ancora nutrite dalle recenti suggestioni delle Trois fureurs, del montaigne, dell'ultimo Remède dans le mal: riconoscimento dovuto all'impareggiabile lettore di Montesquieu, Rousseau e Balzac, al critico ironico e spregiudicato, al finissimo visitatore della parola, inventore di giochi e nessi e ragioni che testi lontani dallo spirito di questo tempo manterrebbero ad altri indecifrabili.
Proprio del «romanzo di una parola» si è trattato a proposito del concetto di «reazione», di una «biografia semantica». E' una storia tutta moderna, che, muovendo da origini scolastiche - Alberto Magno sembra aver coniato il termine «reactio», sconosciuto ai classici - attraverso l'aristotelismo cinquecentesco (Starobinski cita Pomponazzi, autore di un De reatione), conduce ai secoli aurei della modernità.
E' la storia, soprattutto, dell'espansione di un concetto - o, meglio, di una coppia concettuale, quella di «azione/reazione» - al di là degli ambiti semantici originali: dalla scienza naturale alla psicologia, da questa alla storia e alla politica. Il terzo principio di Newton consacra l'idea di reazione, non solo per aver definito con questo termine «l'effetto che un corpo produce su quello che lo ha colpito», ma per avere in particolare compreso l'identità di tale effetto rispetto alla sua causa: della reazione rispetto all'azione, appunto.
Ma la migrazione dell'idea in campi diversi è precoce e inarrestabile: anche da questo punto di vista i concetti di reazione e rivoluzione paiono legati a un destino analogo.
Un «principio dinamico di intellegibilità» definisce Starobinski quello che, appoggiandosi alla coppia «azione/ reazione», fa di questa una «metafora espansiva» di rara potenza. Dalla meccanica alla fisica e poi alla chimica, il passo è breve. Ma anche il trasferimento del concetto nel campo delle vicende umane - dai rapporti tra le discipline alle dinamiche psicologiche agli avvenimenti politici e storici - avviene rapidamente. Come in molti casi analoghi, è Montesquieu il padre di questo slittamento. Le parti di uno stato sono paragonate nelle Considérations a quelle dell'universo, e i loro rapporti letti come un gioco di azione e reazione reciproca. Se in una linea pure importante - basti citare Cabanis e Condillac - prevalgono accezioni strettamente naturalistiche, è proprio l'impiego metaforico a segnare da questo momento la fortuna del concetto.
Rousseau; Diderot sopra tutti, che a un gioco di azione e reazione affida spesso la struttura stessa delle proprie argomentazioni; quindi il dibattito ideologico che accompagna le lotte rivoluzionarie; infine, la scrittura del bilancio storico della Rivoluzione: sono questi i momenti successivi della costituzione del significato giunto fino a noi.
L'origine della coppia «azione/reazione» è dapprincipio responsabile di una lettura naturalistica e deterministica delle relazioni morali, storiche e politiche che si raccontano per il suo tramite. Il rapporto tra individui o nazioni non appare essenzialmente diverso da quello che in natura oppone tra loro forze contrarie, e l'equilibrio mutevole del continente sembra somigliare alla vita di un grande corpo naturale. Come nella sua «biologia immaginativa» anche nelle riflessioni politiche di Diderot il movimento di azione e reazione è motore inarrestabile. L'importanza attribuita alla funzione del lievito - cifra essenziale per comprendere l'azione stessa, «separatrice» e «differenziatrice», di individualità eccezionali come il Neveu di Rameau - può intendersi soltanto a partire da queste premesse. La scelta dell'azione e le probabilità del suo successo appaiono esiti di un calcolo che, «conoscendo gli elementi», promette di essere «sempre rigoroso».
Può far sorridere che, su questa base, Diderot legga lo stato delle cose in Europa per derivarne conclusioni ottimistiche. Il grado di civiltà delle nazioni europee - scrive - porta a escludere «rivoluzioni improvvise», perché «se crescerà la loro pressione, esse agiranno e reagiranno le une sulle altre» senza rompere un equilibrio ormai «troppo solido e stabile». Ma è ancora il concetto di azione e reazione a suggerire a Rousseau un quadro ben diverso. I conflitti tra nazioni conducono alla distruzione reciproca «e in questa azione e reazione continua producono maggiore miseria e morte che se tutti avessero conservato la propria libertà originaria».
La neutralità valutativa appare a Starobinski il denominatore comune di questa prima fase dell'espansione del concetto di reazione al campo delle vicende umane. La Rivoluzione scompiglia anche questo stato di cose. Alla fine del Termidoro il significato neutro di «contraccolpo» viene sostituito sempre più decisamente da quello di «movimento retrogrado», regressivo.
E' a uno dei massimi esponenti della controrivoluzione che si deve, paradossalmente, questa trasformazione. De Maistre considera inevitabile (oltre che auspicabile) il prodursi di una reazione alle distruzioni prodotte dal processo rivoluzionario. Ancora l'idea dominante è quella della necessità naturale della risposta reattiva. Ma si afferma, al di là di ogni intenzione, il legame di sinonimia che associa reazione a controrivoluzione. A dispetto di una maggior moderazione delle indicazioni politiche, l'idea che Benjamin Constant sostiene nel '97, in un opuscolo intitolato Des réactions politiques, non è molto lontana da quella di De Maistre. Per deprecabile che possa apparire, la reazione è resa necessaria dagli eventi rivoluzionari, è un male prodotto da altri mali, un eccesso che risponde ad altri eccessi, una nemesi.
Rivoluzione e reazione sono un alternarsi di violenze, di colpi e contraccolpi, secondo il modello classico della meccanica. La spiegazione appare qui spesso sfumare nella giustificazione. Se le reazioni fanno «di rivoluzioni disastrose rivoluzioni inutili», la responsabilità maggiore non ricade forse su chi per primo ha innescato, con la propria azione, la catena delle cause e degli effetti?
E tuttavia proprio le polemiche controrivoluzionarie hanno deciso, ironicamente, di una delle vittorie più significative riportate, sul piano ideologico, dall'89. Il significato «regressivo del termine reazione non pare revocabile, e questo rende ragione del fatto che esso è parte soltanto del lessico politico dei suoi nemici. Soprattutto, la vicenda semantica di questo concetto ha conferito, per opposizione, un valore positivo alle vicende della rivoluzione francese e ai suoi effetti.
Tra questi, è bene ricordarlo, è un impulso decisivo verso il superamento della schiavitù e il riconoscimento dell'unità del genere umano. Così, quando il razzismo torna ad agitare i propri spettri, è un altro capitolo della teoria che Starobinski è venuto a raccontarci ad essere chiamato in causa. Alla domanda se non sia la forma più attuale di reazione il chiudersi del nord del mondo ai bisogni del sud o, nella civile Europa, il riaffiorare dell'antisemitismo, lo sguardo di questo cortese signore sembra perdersi dietro a ricordi intuibili. E' «una risposta mancata» perché è mancato l'ascolto. Un ultimo paradosso conclude questa lezione da rimeditare. La filologia e la lettura dei classici sono pratiche essenziali per apprendere ogni giorno il rispetto del prossimo e delle sue diversità: proprio come Rousseau diceva che per comprendere l'uomo intorno a noi occorre imparare a spingere lontano il nostro sguardo.

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