24.9.12

Nuovi comunisti. Intervista a Camila Vallejo (Marina Di Pierri)

Ho già diffuso, nel mio piccolissimo, un profilo di Camila Vallejo Dowling, una giovane comunista cilena alla testa delle lotte.
All’inizio dell’anno uscì sul “manifesto” una sua breve intervista a Marica Di Pierri dell’Associazione A Sud, che mi pare utile riprendere per arricchire il quadro. (S.L.L.)
Meno di un anno fa, il 13 giugno, mentre in Italia si festeggiava la storica vittoria referendaria per l'acqua pubblica e contro il nucleare, in un paese lontano, il Cile, prendeva le mosse l'altrettanto straordinaria stagione di mobilitazione che ne ha riempito per mesi le piazze. Per l'esattezza, la più grande mobilitazione del Cile democratico tale da aprire una nuova fase sociale nel paese. Lo racconta in questi giorni in Italia la testimonianza di una delle protagoniste delle proteste cilene, Camila Vallejo, dirigente della Federazione degli studenti dell'Università del Cile, divenuta uno dei volti del movimento cileno. Giovanissima studentessa di geografia, Camila è cresciuta in una famiglia di militanti di sinistra in un quartiere popolare di Santiago e vive con distacco la sovraesposizione mediatica cui l'ha esposta il suo ruolo di leader studentesca. In Italia ospite di Tilt, la rete sociale cui partecipano singoli e associazioni «della sinistra diffusa», Camila è giunta in Italia e in Europa assieme a una delegazione di rappresentanti di altre realtà cilene, tra cui la Cut, la Centrale unitaria dei lavoratori cileni.

Riferendosi al fermento sociale cileno del 2011 si è parlato molto di proteste studentesche, mentre hai più volte sottolineato che si è trattato di una mobilitazione molto più ampia...
Il movimento cileno che ha riempito le strade a partire dal giugno scorso ha coinvolto diversi blocchi sociali. Gli studenti hanno aperto un varco nel sentimento di rassegnazione che si era impadronito dei cileni, ma da subito sindacati, lavoratori, ambientalisti, e migliaia di cittadini si sono uniti alle proteste dando vita a un enorme movimento non solo rivendicativo ma che ha saputo elaborare proposte concrete. Come studenti abbiamo da subito posto richieste precise: un sistema di educazione pubblico, gratuito e di qualità e il riconoscimento dell'istruzione come diritto e non come "bene di consumo". A ciò si sono unite rivendicazione di altri settori: quello che è avvenuto è parte di un lento processo di ricomposizione dei movimenti cileni messi a ferro e a fuoco durante la dittatura.

Si parla spesso del "miracolo cileno", un paese che sarebbe il giaguaro del continente. Come si coniuga questo con la situazione di enorme disuguaglianza sociale e cos'è cambiato dopo le mobilitazioni?
In Cile come altrove il modello di sviluppo non ha prodotto che disuguaglianze. Se il pil cresce, continuamente e costantemente, cresce anche il divario tra i pochi ricchi e i moltissimi poveri. La classe media che prima era la fascia maggioritaria della popolazione si va assottigliando sempre di più. Le ultime statistiche dell'Ocse indicano che il Cile è uno dei paesi con il maggior indice di disuguaglianza sociale mentre i meccanismi di democrazia diretta praticamente non esistono. Nonostante le mobilitazioni e le richieste avanzate, non vi è stato alcun cambiamento materiale nelle politiche del governo Piñera. Il grande risultato che abbiamo raggiunto è stato quello di produrre un vero cambiamento culturale, profondo, nelle coscienze individuali come nella coscienza collettiva del paese. Attualmente stiamo lavorando alla costruzione di un Tavolo di coordinamento sociale che articoli in un processo unitario tutte le realtà che si sono mobilitate durante l'anno passato. Le priorità sono chiare: una riforma tributaria che faccia pagare chi detiene la ricchezza; una riforma educativa che fondi la nostra democrazia sull'accesso libero e garantito all'istruzione considerata un diritto; una riforma che metta fine al saccheggio di risorse di cui siamo vittima; una riforma del sistema elettorale che smonti il duopolio politico esistente e infine un processo costituente che riscriva la carta costituzionale. Dal ritorno della democrazia il Cile non ha mai avuto una costituzione democratica, ha ereditato quella scritta durante la dittatura e da lì bisogna ripartire per costruire un nuovo patto sociale inclusivo.

Quali punti in comune possono rilevarsi con le mobilitazioni che hanno scosso l'Europa e gli Stati uniti negli ultimi mesi?
Quanto accade in Cile è strettamente connesso con le mobilitazioni cui assistiamo in altre regioni del mondo: la crisi del capitalismo è una crisi mondiale e ovunque restringe diritti e causa sempre più povertà e distruzione. Le battaglie vanno combattute in ciascun paese perché ogni situazione ha le sue peculiarità, ma il quadro di riferimento è globale ed è per tutti noi lo stesso: la necessità di cambiare modello di sviluppo.

A giugno a Rio de Janeiro si terrà la conferenza Onu sulla sostenibilità, nota come Rio+20. Un appuntamento a cui tutti i movimenti sociali stanno guardando partendo dal presupposto che le reti che rivendicano giustizia ambientale e difendono i beni comuni sono ormai parte integrante del discorso verso un altro modello economico. Anche il Cile sta vivendo una convergenza tra le lotte per i diritti sociali e quelle per la giustizia ambientale?
Assolutamente sì. Le rivendicazioni per il diritto al lavoro, il diritto all'educazione, il diritto alla salute sono rivendicazioni che ovunque marciano assieme perché la crisi sistemica che viviamo li erode indistintamente. Il Cile è ricchissimo di risorse, ma vengono rapinate da grandi gruppi economici che lasciano solo contaminazione e non creano nessuna redistribuzione. La scintilla che ha fatto scoppiare il malcontento l'anno scorso nasceva in verità attorno a questioni ambientali. Se le prime mobilitazioni visibili sono state quelle studentesche, ancor prima lo sciopero contro l'aumento del gas a Punta Arenas e la battaglia contro le mega-dighe in Patagonia hanno contribuito in maniera sostanziale a riattivare un fermento sociale che non c'era da anni. Questo dimostra che i due campi sono strettamente connessi e discendono dal grande tema generale che è il modello di sviluppo, le sue implicazioni tanto ambientali quanto sociali e l'assoluta urgenza di guardare assieme ad un orizzonte diverso.

“il manifesto” 15.02.2012

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