16.10.12

La fine di Mussolini. Misteri inventati (Saverio Ferrari)

E’ uscito lo scorso anno, opera di un professore francese dal cognome anatomico, un altro libro sulla morte di Mussolini, come tanti viziato dalla ricerca del sensazionale. Saverio Ferrari ne approfitta per un giudizio di insieme che, mentre pone alcuni punti fermi e propone alcuni documenti relativamente nuovi, liquida gran parte della paccottiglia (revisionista o pararevisionista) prodotta a getto continuo. (S.L.L.)
25 Aprile 45. Mussolini in Prefettura a Milano
Forse l'ultima  foto del "Duce" in vita
Sulle ultime ore di Benito Mussolini esiste ormai una sterminata letteratura. Sulla sua esecuzione, in particolare, al centro da decenni di velenose campagne propagandistiche all'insegna della speculazione politica, sono state fornite più di trenta versioni. Si è andati dalla doppia esecuzione, avvenuta in altro luogo prima di quella ufficiale, alla fucilazione da parte di agenti inglesi che avrebbero scambiato quella morte con lo scottante (per i britannici) carteggio Churchill-Mussolini, al fatto che fosse stato Luigi Longo, il comandante delle Brigate d'assalto Garibaldi, a giustiziare il duce e non Walter Audisio, fino all'estrema tesi del suicidio con una capsula di cianuro occultata in un dente finto, seguita da una sommaria scarica di mitra da parte dei partigiani.
Ora è la volta di Pierre Milza (Gli ultimi giorni di Mussolini, Longanesi, pp. 364, euro 24), professore emerito all'Istituto di studi politici di Parigi, già autore di una biografia su Benito Mussolini, uscita in Italia nel 2000.
L'autore, tra piccole imprecisioni (in piazzale Loreto non fu messo in mano a Mussolini alcun gagliardetto ma uno scettro imperiale) e sviste clamorose (i quindici martiri non furono fucilati il 9 ma il 10 agosto 1944, sempre a piazzale Loreto, e Leandro Arpinati, l'ex ras, non cadde per mano dei partigiani a Milano ma a Bologna), ripercorre l'ultima fuga disperata di Mussolini verso il lago di Como. Più di un giudizio espresso dallo storico francese risulta decisamente fuori luogo: le attenuanti concesse al duce sul suo operato (minacciato da Hitler di rappresaglie contro la popolazione italiana fu costretto riprendere la lotta a fianco del Reich), la Resistenza definita «una minoranza» ferocemente determinata, ma anche le ragioni delle diserzioni tra le fila dell'esercito fascista, secondo Milza motivate dalla delusione di non venire impegnati nei combattimenti a fianco dei tedeschi. Una personale e singolarissima analisi, racchiusa in poche battute, contraddetta da tutte le ricostruzioni sulla fuga di massa dai ranghi di un regime ormai moribondo.
L'ostilità preconcetta nei confronti di Walter Audisio, il colonnello Valerio, ovvero il comandante partigiano che fucilò il duce, secondo Milza un ottuso killer comunista, calpestatore di ogni legalità e perennemente in preda all'ira, pervade l'intero racconto toccando livelli parossistici. Quasi un romanzo più che un libro di storia, con una ricostruzione dei dialoghi e dei comportamenti spesso arbitraria e priva di supporti.

L'agente dell'Oss
Pierre Milza, in questa esposizione, inevitabilmente è costretto a citare il recentissimo libro di Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e Mario J. Cereghino La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-1946), edito da Garzanti, in cui, sulla base di due memorandum del maggio 1945 dell'agente Lada-Mocarski dell'Oss, il servizio segreto militare Usa, si è obiettivamente potuto fare piazza pulita delle molte illazioni e delle fantasiose ricostruzioni che sono state avanzate.
L'agente Lada-Mocarski, incaricato di redigere un dossier (cento cartelle circa reperite dopo la declassificazione avvenuta nel 2000 con l'amministrazione Clinton, presso il «National Archives and Records Administration» di College Park nel Maryland) per chiarire i motivi per i quali gli americani, nonostante gli sforzi, non fossero riusciti a intercettare il capo del fascismo prima dei partigiani, dettagliò anche in una specifica relazione l'esecuzione di Mussolini, avvenuta il 28 aprile 1945 davanti al cancello della Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra, raccogliendo dirette conferme da chi partecipò o vi assistette. Un'inchiesta scrupolosa e puntuale avvenuta nell'immediatezza dei fatti, basata sull'utilizzo di fonti privilegiate: alcuni membri della 52a brigata d'assalto Garibaldi che avevano catturato Mussolini e gestito i suoi successivi spostamenti (l'Oss manteneva del canali di collaborazione con la Resistenza) e la relazione scritta ricevuta da un partigiano che aveva sparato «i due colpi di grazia» a Mussolini.
Eppure Pierre Milza, forse per mantenere ancora forzatamente aperti alcuni dubbi, sui limita unicamente a prendetene atto, rimanendo restio a trarre serie conclusioni.

Conferme autorevoli
Neanche una parola viene, invece, spesa da Milza riguardo il recente e fondamentale lavoro di Pierluigi Baima Bollone (Le ultime ore di Mussolini, Mondadori), il più famoso patologo italiano, docente di medicina legale all'Università di Torino, di orientamento monarchico, già noto per le sue ricerche sulla Sindone. Il professore, nel 2005, studiando l'autopsia svolta su Mussolini e le fotografie scattate all'obitorio e a piazzale Loreto, ottimizzate con l'ausilio di programmi elettronici, smentì sia la tesi della doppia fucilazione sia la cosiddetta «pista inglese», sostenendo che: «Tutti gli elementi a disposizione conducono a ritenere che la fucilazione di Mussolini si sia effettivamente verificata accanto al cancello di Villa Belmonte poco dopo le ore 16 del 28 aprile 1945». Praticamente la versione ufficiale. Precisò solo che alcune delle modalità dovevano essere riviste: due, secondo il suo autorevole parere, furono i colpi subito sparati dal colonnello Valerio a Mussolini che rimase in piedi, seguiti da una breve raffica di mitra esplosa dal partigiano Michele Moretti e da altri due colpi di grazia.

Il filmato misterioso
Diversi furono i processi che in piena guerra fredda ruotarono attorno a questi fatti. Il più famoso fu intentato nel 1957 a Padova contro i militanti comunisti presunti responsabili sia della parziale sottrazione degli ingenti fondi che viaggiavano con i gerarchi e Mussolini stesso, il cosiddetto «Oro di Dongo», sia di alcuni delitti successivi. Si concluse con una nulla di fatto. Il più recente ha visto come protagonista Guido Mussolini, nipote del duce, che aveva chiesto a Como la riapertura delle indagini non ritenendo prescritta «l'uccisione di un Capo di Stato in violazione della legge sui prigionieri di guerra». La Cassazione aveva rigettato l'istanza nell'aprile 2008. Nell'occasione l'avvocato di Guido Mussolini aveva dichiarato alla stampa che negli archivi americani esisterebbe un filmato di tre minuti sui fatti di Giulino di Mezzegra, classificato top secret, girato da un giovane cineoperatore assoldato dai partigiani, la cui pellicola fu immediatamente requisita. Una copia di tale filmato si troverebbe tutt'ora negli archivi della Presidenza del Consiglio. Un'evidente fandonia. Nessuno che ha assistito a quelle vicende ha mai parlato di un individuo con la cinepresa. Di recente, dietro il pagamento di una consistente somma di denaro, qualcuno si è anche offerto di recuperarlo, per poi immediatamente sparire nel nulla.
La fine di Mussolini continua dunque a essere un campo privilegiato per il revisionismo, a volte davvero infimo, ma anche l'occasione per piazzare falsi a scopo di lucro. Il tutto a discapito della vera ricerca storica.

il manifesto 5 agosto 2011

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