14.11.12

Colloquio col capitano. Un racconto di Giorgio Caproni.

Nel 1946 “l’Unità” edizione di Genova lanciò un concorso a premi per i migliori racconti. Premi in denaro oltre alla pubblicazione sul giornale; ma pochi denari. Partecipò il poeta Giorgio Caproni, per sopperire all’indigenza - lui racconta; ma pare che avesse il vezzo di esagerare la propria povertà. In ogni caso venne pubblicato e ricevette qualche lira. I tre racconti inviati al quotidiano comunista in quell’anno di dopoguerra sono ora raccolti in una apposita sezione dell’archivio digitale de “l’Unità”. Uno è quello qui postato. (S.L.L.)
Giorgio Caproni
Adelina era giunta quasi di corsa al Deposito. Batteva un sole immenso sull’atrio di cemento, e tante donne erano aggruppate in quel sole per chiedere all’ufficiale di picchetto proprio la stessa cosa che voleva chiedergli lei: di parlare un minuto solo col Comandante.
Adelina squadrò per un attimo quelle donne un poco preoccupata, subito però ridistese il suo animo - comprendendo subito che nessuna di esse, nemmeno le ragazze più giovani, potevano starle a pari. Infatti l’ufficiale di picchetto, che con le altre era pieno di cavilli, con lei diventò subito molto gentile: «Veramente non è possibile vedere il Comandante», disse, «comunque lei può parlare liberamente con me». La fece entrare nella saletta a lui riservata e la fece sedere, anche lui sedendosi di fronte a lei.
Adelina era vestita di bianco e aveva le braccia nude - era un vestitino d’un tulle molto leggero che lasciava traspirare l’odore del corpo giovane e della cipria. S’era data molta cipria e anche un poco di profumo che ora si spargeva nella saletta avvolgendo le dure cose militari, e l’ufficiale di picchetto, coi baffetti neri e la caramella, era molto ben disposto proprio a causa di quel profumo: lei lo capiva bene ch’era ben disposto proprio a causa del profumo, mentre ogni tanto si sentivano nel sole gli squilli della cornetta che chiamava i caporali di giornata.
Aveva raccontato con garbo lo scopo della sua visita - voleva convincere il Comandante a richiedere subito indietro suo marito e a dire che era stato messo in lista per uno sbaglio. Non era un elemento insostituibile suo marito?
L’ufficiale di picchetto non si decideva a farla accompagnare. «Già già già», diceva, «l’Albania è brutta e io lo capisco, signora mia; ma è una cosa molto difficile parlare col signor capitano, molto». E non si decideva a farla accompagnare dal Comandante - perdeva il tempo stando soprappensiero e tamburellando con le dita sul piccolo tavolo presso il quale, lui di fianco con le gambe accavallate, stavan seduti.
«Mi lasci dunque parlare col capitano», disse alfine lei con uno scatto di cui si pentì subito aggiungendo: «Sia tanto buono da farmi parlare col signor capitano, prima che il battaglione si sia mosso».
E poiché l’ufficiale continuava a tamburellare perplesso il tavolo, Adelina con uno sforzo enorme, proprio perché in alcun modo poteva tollerar più quel silenzio e quelle dita in cui era ormai tutto il fragore della guerra, posò la mano sul dorso di quella dell’ufficiale e ancora una volta disse sforzandosi di guardarlo negli occhi: «La prego, sia buono».
L’ufficiale smise subito di tamburellar con le dita, quasi temesse che quel movimento facesse fuggir la mano di lei. Fece impercettibile l’atto d'afferrar quella mano che invece si ritirò adagio strisciando sul dorso della sua, e con aria un poco incantata disse guardandola in viso: «Benedette queste signore innamorate del marito». Senonché lei non cadde nel laccio, comprese l’intenzione di queste frase (lo scopo inquisitivo di essa) e mentendo perché ormai si sentiva sicura di poter portare fino in fondo quel necessario giuoco, diede proprio la risposta che mosse il cuore dell’ufficiale: «A certe cose come vuole che ci si pensi? Io ho bisogno di mio marito perché ho una famiglia».
L’ufficiale ora la guardava con una strana aria di padronanza e, alzandosi con un gran sospiro come se stesse per compiere Dio sa quale sacrificio, «Lei lo sa ch’è irresistibile?», disse a bruciapelo ad Adelina che non poté frenare una vampa di rossore improvviso. «Lei», continuò l’ufficiale di picchetto muovendosi con estrema lentezza, «mi farà prendere il più solenne cicchetto della mia carriera, perché gliel’ho già detto ch’ho la consegna di non far entrare nessuno. E lei poi (fece un altro sospiro nel dire questo) si dimenticherà perfino di passare a ringraziarmi, lo so. Sono tutte così queste benedette signore innamorate del proprio marito». E anche questo disse, mentre con le dita fini s’era messo a frugare nel portafoglio: «Comunque mi permetta di...». Non continuò la frase e le mise in mano il suo biglietto da visita proseguendo: «Si ricordi ch’io sarò sempre felice di esserle utile, per quel che potrò». E soltanto a questo punto, quasi avesse alfine compiuto un doloroso dovere, si decise a chiamare il sergente d’ispezione riacquistando d’un tratto il suo comportamento militare: «Accompagnate la signora dal capitano», ordinò portando la mano alla visiera mentre Adelina, con quel biglietto che le scottava fra le dita come una lamina arroventata, s’avviò senza una parola dietro al sergente.
Era già per le scale quando pensò sentendosi di nuovo avvampare: «Ho recitato bene la mia parte, m’ha preso proprio per una di quelle». Senonché si sentiva anche stranamente fiera d’aver raggiunto, con quel mezzo, i suoi scopi, ora preparandosi per le scale a recitar la sua parte anche col capitano. Perché anche con lui, certo, doveva prostituirsi un poco a quello stesso modo - era proprio nei suoi calcoli, ciò, comprendendo con uno strano rassegnato dolore (ora tutta la sua fierezza di poco fa s’era all’improvviso spenta) che quella era l’unica arma che gli uomini avevano lasciato nelle sue mani.
«Darò qualche irrealizzabile speranza anche al capitano», pensava cercando di convincersi che dopotutto non sarebbe stato per lei un grosso peccato. Ma intanto le trombe perché continuavano a squillare nel sole? Cos’aspettavano ancora, nella caserma e nell’universo, tante donne?

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