18.12.12

Ada. La moglie di Gobetti nel ricordo di Vittorio Foa

Torino 1945. Ada tra i partigiani
nei giorni della Liberazione
Pensando a Ada penso alla Resistenza. Ada era la moglie di Piero Gobetti e lei non ha mai dimenticato di essere la moglie di Piero. Ma nello stesso tempo era lei. Era una persona che viveva in un mondo che lei creava attorno sé. Tutto un mondo che non era solo di memorie. Era del presente, dell'immediato. Era un punto di riferimento. Se c'era bisogno di qualcosa ci si rivolgeva a lei. Se c'era bisogno di una parola di fiducia, di serenità, ci si rivolgeva a lei. Noi sapevamo che lei passava momenti molto difficili. Suo figlio Paolo era partito, lei era angosciata, non aveva notizie. Ma riusciva a dare a tutti un senso di fiducia, un senso di calma. Questa era lei nella Resistenza.
Io l'ho conosciuta per pochi minuti durante gli Anni Trenta a una riunione culturale. Ma non l'ho frequentata. Invece l'ho conosciuta poi bene al principio di settembre del 1943, cioè alla vigilia dell'arrivo dei tedeschi. Ho il ricordo della sua casa, della gente che la frequentava. Ero uscito di prigione da pochi giorni, non conoscevo nessuno. Non sapevo chi era fascista e chi non lo era. Adesso tutti parlavano liberamente ed erano pieni d'angoscia perché i tedeschi arrivavano, perché il generale di Torino, Adami Rossi, era d'accordo coi tedeschi, perché si raccoglievano le armi, perché era un momento di grande tensione.
Ricordo gli occhi di quei ragazzi di vent'anni. Io avevo già 33 anni. Vedevo gli occhi di quei ragazzi e di quelle ragazze che dicevano: è giunta la nostra ora, è il momento di fare qualcosa. Ecco, Ada era al centro di questo processo. Lei aveva una grande fiducia nella Resistenza e nella politica, ma aveva anche una passione per le donne, per il lavoro delle donne, per gli operai. Nella Resistenza vedeva non soltanto i partigiani in generale, ma vedeva anche le donne. Pensava che anche per loro sarebbe venuto qualcosa di nuovo e di forte. E attorno a questo pensiero ha lavorato per molti anni, con risultati contraddittori.
Lo sappiamo, molte cose sono andate bene, molte cose sono andate male. Ma c'è una cosa che in lei era molto caratteristica. Voglio ricordarlo. Lei era nel Partito d'Azione. In quel partito, come in tutti i partiti, ci possono essere molte idee diverse. C'era gente che discuteva seriamente della libertà e della giustizia, c'era gente che nella Resistenza vedeva anche momenti di esaltazione magari un po' retorica. Ma in Ada c'era un carattere specifico, un'idea pratica, aveva un concetto della politica che era di azione, non era soltanto pensare. Si poteva essere qualcosa solo se si faceva qualcosa.
Pochi mesi prima della Liberazione, nei Comitati di liberazione delle regioni si discusse su chi doveva assumere i poteri amministrativi lasciati liberi dai fascisti che erano scappati. A Torino si decise che il sindaco sarebbe stato un vecchio dirigente sindacale molto prestigioso dei comunisti e il vicesindaco una donna. Era la prima donna che diventava l'amministratrice di una città. E questa donna era Ada. Noi eravamo molto fieri che il vicesindaco di Torino sarebbe stata una donna e sarebbe stata lei. Ada ci disse che un giorno il futuro sindaco, Roveda, aveva convocato i futuri membri della giunta, che erano socialisti, democristiani eccetera. Si doveva discutere cosa si doveva fare subito, appena fosse caduto il fascismo, appena la Resistenza avesse preso il potere a Torino. Lei rimase molto scandalizzata perchè i suoi colleghi della giunta dicevano tutti che bisognava rifare le panchine. Perchè a Torino, durante la seconda guerra mondiale, durante l'ultimo anno, il freddo era tale che giustamente tutti quanti avevano staccato le panchine e si erano dati un po' di fuoco. Ada era scandalizzata che tutti parlassero delle panchine. E diceva: ma come, ci sono altri problemi prima, pensate alle migliaia di persone che arriveranno dai campi di concentramento dei vari Paesi e anche dal movimento interno fra una città e l'altra; noi dobbiamo pensare a questa gente, chi sono, quanti saranno, come possiamo dargli da mangiare; il nostro vero problema è di servire il Paese.
Lei raccontò che un vecchio dirigente socialista, una persona umana, bonaria, paterna che era nella giunta, Chiaramello, le disse accarezzandole la testa: «Che testolina bizzarra che hai, cara Ada, tu ci insegni a fare il nostro dovere». Mi ricordo che mesi dopo, incontrandolo - era diventato vicepresidente della Camera -, gli ricordai questo episodio. Lui ricordava bene questa donna che aveva insegnato a tutti che il problema era far vivere la gente, aiutarla. Ecco, Ada era questo: aiutava a vivere. Aiutava a vivere serenamente, aiutava tutti. Ci aiutava a vivere sorridendo.

“La Stampa”, 25 aprile 2007

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