5.12.12

Gli inferni e i paradisi di Borges e Bioy Casares (Alessandra Iadicicco)

Recensione di una antologia di Borges e Bioy Casares su inferni e paradisi, l’articolo di Alessandra Iadicicco qui postato è anche una rapida ricognizione sulle credenze nell’aldilà. Di sicuro utile per un approccio al tema. (S.L.L.)

Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares
Compilando a quattro mani l'Antologia della letteratura fantastica - concepita nel 1937, pubblicata nel 1940 e via via arricchita da aggiunte e riedizioni per tutto il corso della loro vita -Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares menzionavano La tortura della speranza del favolista francese Villiers de l'Isle-Adam o l'ipotesi di Vivere per sempre audacemente auspicata dall'etnologo inglese James Gorge Frazer, I cervi celestiali immaginati in sogno da G. Willoughby-Meade e l'infernale Tantalia paventata come un castigo da Macedonio Fernandez. Erano solo allettanti, spaventose fantasie. Sfatate già solo dal gesto d'inventariarle in fantastica rassegna. Alcuni anni dopo, nel 1959, i due amici e complici di erudite scorribande letterarie si impegnavano a redigere ben altro inventario, oggi finalmente tradotto in italiano per la cura di Tommaso Scarano da Adelphi (pp. 240, e15). E' quel Libro del cielo e dell'inferno che, con lo stesso approccio enciclopedico usato nell'antologia fantasy, con identico gusto per la meraviglia e analogo intento di suscitare e rinnovare la sorpresa, raccoglieva le immagini dell'aldilà rappresentate attraverso i millenni nei testi sacri, le meditazioni filosofiche, le contemplazioni poetiche di tutte le civiltà. Chiaro che non poteva trattarsi - come mettevano bene in chiaro i due autori nel prologo alla prima edizione bonaerense del 1960 - di un «archivio impersonale» o di una «rassegnata biblioteca». «Abbiamo cercato l'essenziale», notavano tra l'altro Borges e Bioy. Ma «senza dimenticare il vivace, l'onirico, l'assurdo». Anche in fatto di Paradiso e Inferno, «tutto è relativo», sembra il messaggio principe che siffatta varietà di citazioni vuole comunicare.
Ma non sarà certo l'eterogeneità, né la stranezza dei credo chiamati in causa a minare la credibilità di una vita dopo la morte. «A ciascuno il suo paradiso», sembrano voler significare gli eterni terreni di caccia agognati dalle comunità dei cacciatori o i campi di battaglia cercati dal soldato anche dopo morto; il Valhalla bellicoso dove le valchirie conducono i guerrieri di Odino e la perla voluttuosa dentro cui le Uri coccolano il musulmano. «L'abitante della Lapponia sa che nell'altro mondo troverà la sua renna, e il samoiedo il suo cane». Lo stesso vale per l'inferno, e non solo per via dei limiti esperienziali dell'immaginazione o per la legge elementare del contrappasso. «Per i negri del Benin l'Inferno era nel mare da cui giungevano al Benin le navi dei negrieri». «Il castigo del voluttuoso lo vedrà cadere tra le braccia di una statua di donna arroventata dal fuoco». Il fatto è che, come con ben più raffinata coscienza teologica predicava il mistico Swedenborg, ciascuno si crea con il delitto, il misfatto e l'errore, la cella della propria tortura. Chi si compiacque del sospetto finirà in cunicoli tanto oscuri da non distinguere i volti, chi studiò le scienze per puro orgoglio approderà in luoghi sabbiosi dove non cresce l'erba, chi affaticò l'intelletto con dottrine teologiche estranee alla vita sarà gettato in un deserto di pietre.
Colpevole, per paradosso, può  essere anche aspettarsi un oltremondo, e meritorio demistificare ogni credenza nella vita ultraterrena. La devota matrona secentesca che, incontrata da Jeremy Taylor sul portale della cattedrale di Chartres, attentava all'aldilà sperato e temuto dai più con le armi di una fiaccola e una brocca - «L'acqua è per spegnere l'Inferno, il fuoco per incendiare il Paradiso» - non faceva che esaltare le virtù di un amore disinteressato, votato a Dio a prescindere da premi e pene. E così la preghiera della santa medievale che supplicava: «Se ti adoro per timore dell'Inferno, bruciami all'Inferno; se ti adoro perché spero nel Paradiso, escludimi dal Paradiso».
Ma anche chi rinneghi universi inferi o superni, di fatto ci crede e li invoca. Perfino chi si attacca ai dubbi, faticosi piaceri di questo mondo si augura di prolungarli in una vita eterna. Come Stevenson che, inveendo contro il cielo e la sua favola, sospirava l'infinito dell'amore «che si alimenta dei difetti della persona amata». O come l'obiettore di trascendenze Charles Lamb che, innamorato della verde terra, della sua città, dei suoi amici, della propria età, rifiutava di rinunciarvi in nome di una vita immortale. E, alter ego in questo di Borges, Bioy e di tutti gli incantati frequentatori della Biblioteca di Babele, respingeva l'offerta di un'onnisciente, immediata visione del divino: «Miei volumi in folio - gridava - dovrò smettere di abbracciarvi? Dovrà la conoscenza giungermi attraverso uno scomodo esercizio d'intuizione, e non più attraverso quest'amata abitudine alla lettura?». 

“La Stampa”, 14 giugno 2011

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