8.12.12

L'Accademia del Parnaso e i cani di Canicattì (di Leonardo Sciascia)

Sull'Accademia del Parnaso, fondata a Canicattì tra il 1921 e il 1922 da uno stravagante chef di idee fasciste, tornerò presto, sulla scorta di un libro di Tano Augello dedicato al barone Agostino La Lumia, che contiene sull'argomento curiosità e documenti. Intanto "posto" questo succoso e documentato raccontino di Leonardo Sciascia, da Nero su nero (1979): un apologo "vero" sulla stupidità del potere. (S.L.L.)
Negli anni in cui nasceva e si affermava il fascismo, a Canicattì, grosso paese in provincia di Agrigento, un uomo di spirito fondava un'accademia letteraria sui generis: l'Accademia del Parnaso, secolare per decisione dell'assemblea, rappresentata in emblema da un cane adagiato sulla dicitura «questo cane è un leone » (in latino, naturalmente). L'emblema e il motto pare fossero dovuti al fatto che la tipografia locale disponeva soltanto di un cane.
A sede dell'Accademia fu scelta una rimessa di carri funebri. I soci furono divisi in due classi: gli arcadi maggiori e gli arcadi minori. Tra gli arcadi minori erano Pirandello e Marinetti; la classe dei maggiori era costituita da poeti locali, numerosissimi, che venivano di volta in volta condecentemente festeggiati e incoronati. Ma per entrare nel novero dei poeti, e cioè degli arcadi maggiori, bisognava avere dei requisiti che un decalogo stabiliva: «poeta è colui che... », e giù dieci articoli. L'ultimo diceva che poeta è colui che vuole raddrizzare le gambe ai cani: e fu quello che diede occasione alle autorità fasciste di occuparsi dell'Accademia. Perché era venuto ad Agrigento come prefetto un ex generale (si era nel 1926-27), fascistissimo, duro: e in un discorso promise che avrebbe raddrizzato le gambe ai cani. L'Accademia non perse tempo ad acclamarlo socio, e gli fece pervenire il diploma di arcade maggiore. Il prefetto forse dapprima ne fu lusingato; ma quando gli soffiarono che arcadi maggiori erano i fessi, fulminò all'Accademia una diffida di polizia che finiva ricordando i tempi ormai mutati e che «con certe cose non si scherza». Al che l'Accademia, con domanda su carta bollata rivolta al questore, umilmente ma fermamente, a sua futura regola e a scanso di altri errori, pregò di aver lumi riguardo alle cose su cui ancora si potesse scherzare: e che il signor questore volesse, quanto più dettagliatamente possibile, elencarle.

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