14.1.13

Altri mondi. Dalla ricerca del Paradiso alla scoperta dell'America (di Marina Montesanto)

Un articolo dotto, bello e coinvolgente di Marina Montesano (dal “manifesto”). Dando conto di alcuni libri recenti vi si spiega come può accadere che la ricerca del paradiso possa concludersi con la sottomissione schiavistica e razzistica di uomini e genti. (S.L.L.)
Planimetria della Terra disegnata nel 1494 da Enrico
Martello sulla scorta della Cosmographia di Tolomeo
La storia si muove secondo due parametri di fondo: il tempo e lo spazio. A questo riguardo, l'uomo contemporaneo è abituato all'idea dello spazio infinito. Gli uomini e le donne del Medio Evo, invece, avevano un posto determinato in un mondo chiuso. Un dato che li accomunava all'uomo antico o a quello della Bibbia, che avevano una visione simile alla sua. Non a caso questo concetto di spazio era quello determinato da Aristotele e poi da Tolomeo: un mondo chiuso, all'interno del quale ci sono spazi nei quali non si può viaggiare (l'Asia degli esseri mostruosi, per esempio, o l'Africa dell'hic sunt leones). Un mondo sostanzialmente limitato all'area mediterranea, sovrastato da un numero perfetto e conchiuso di cieli nei quali si muovono quasi incastonati i pianeti; mentre la Terra al centro di questo mondo sta ferma, e il tutto è fasciato dal cielo empireo, infinito, dimora esclusiva e privilegiata di Dio.

Margini inesplorati
Al centro di questo sistema di sfere concentriche era situato il globo terrestre, in gran parte occupato dalle terre emerse. Si discuteva molto su come tali terre fossero organizzate. Pareri in merito erano già stati elaborati dai geografi greci e latini dell'antichità ed erano stati poi ripresi dai cosmografi arabi. Alcuni pensavano a una massa di terre emerse poste nell'emisfero boreale, alle quali ne doveva corrispondere un'altra dall'altra parte del globo (gli «antipodi»). Ma questa teoria, sebbene mai del tutto abbandonata, cedette presto all'altra, che immaginava le terre emerse come un disco circondato dall'oceano e diviso in tre grandi masse continentali: una a est, l'Asia, grande quanto le altre due insieme; l'altra a nord, l'Europa; la terza a sud, l'Africa. I tre continenti erano divisi da un grande braccio acqueo orizzontale (costituito dal fiume Tanai che separava l'Europa dall'Asia, e dal Nilo che separava l'Asia dall'Africa) e da uno verticale (il Mediterraneo, che separava l'Africa dall'Europa). I due bracci d'acqua, uniti, venivano a formare una T, lettera sacra della redenzione e figura della croce.
Al centro del mondo era posta la città di Gerusalemme, dove il Signore era stato crocifisso ed era risorto. All'estremo Oriente (o secondo altri in un'isola occidentale dell'Oceano) sorgeva il paradiso terrestre da cui nascevano i quattro grandi fiumi del mondo: Tigri, Eufrate, Nilo, Gange. Ai margini del mondo, inesplorati, secondo la tradizione abitavano curiose e inquietanti creature fra l'umano e il ferino, i «mostri». Solo a partire dai viaggi in Asia di mercanti e di missionari, nel Duecento, quest'immagine del mondo si andò articolando e modificando. Nel mondo dei vivi, o meglio ai suoi margini, c'era spazio anche per le anime dei defunti. Inferno e (a partire dall'XI secolo circa) Purgatorio si localizzarono in vari luoghi: isole oceaniche, montagne, vulcani (per esempio l'Etna), infine - come volle Dante - in un grande abisso posto sottoterra.

Una perenne primavera
Non è casuale che proprio dalla Commedia di Dante prenda avvia l'ultimo lavoro di Alessandro Scafi, Alla scoperta del paradiso: un atlante del cielo sulla terra (Sellerio 2011, pp. 272, euro 12): «In cielo ogni dove è paradiso» (III.88-89), canta il poeta, pensando a un luogo allo stesso tempo interiore e metafisico. Come spiega l'autore, la ricerca del paradiso ha rappresentato un capitolo essenziale nella cultura medievale, allo stesso tempo ponendosi quale elemento fondante per l'età delle navigazioni e delle scoperte geografiche. Paradiso terrestre che nella cultura del tempo poteva esser percepito come ben reale, un giardino perfetto al di fuori delle dure regole alle quali sono sottoposti i mortali. Già gli antichi avevano sognato e teorizzato il giardino in tal modo. L'idea di un luogo nel quale regna una perenne primavera, e fiori e frutti sono insieme e perennemente disponibili per l'uomo, si trova già nell'Odissea, là dov'è descritto il giardino di Alcinoo nell'isola dei Feaci. L'immagine di un luogo perfetto, con una natura mite, amica e generosa, era giunta presumibilmente ai greci da notizie relative ai giardini pensili di Babilonia, ai pairi-daëza (in persiano «parco reale di caccia e di piacere», da cui l'ebraico pardës e il greco parádeisos) dei Gran Re iranici, che l'avventura di Alessandro Magno aveva reso famosi in Occidente.

Le tesi tolemaiche
Non che a Oriente si cercassero solo orizzonti mitici: ma il fatto che da quelle lande remote giungessero in Occidente le merci più preziose, le sete, le stoffe, faceva sì che orizzonti mitici e materiali si compenetrassero sino a confondersi. E come argomenta Scafi, il desiderio di cercare il paradiso terrestre sarebbe rimasto (rimane?) a caratterizzare i desideri più profondi che spingono a sondare gli abissi marini, a esplorare il Polo nord, a inseguire l'Eldorado. È in questo modo che le elaborazioni culturali medievali si saldano all'età della grande espansione e delle esplorazioni degli europei; non solo e non tanto un salto nella modernità, ma pure una rielaborazione di idee profonde e di lunghissima durata.
Certo, il capitolo delle esplorazioni geografiche è anche fatto di innovazioni. L'interesse geografico e cosmografico, nel XV secolo, era parte del rinnovamento culturale di quel tempo. Mentre i cartografi si trovavano a disposizione strumenti di navigazione sempre migliori, la critica cosmografica si esercitava su alcuni problemi fondamentali: quanto poteva essere largo l'Oceano che separava l'Europa dall'Asia? Era possibile, quindi, giungere all'Estremo Oriente navigando con la prua sempre rivolta a occidente? A lungo era prevalsa l'idea che il limite dell'oceano fosse invalicabile; per la difficoltà dell'impresa, e non certo perché si pensava che la terra fosse piatta, un'idea di lontana ascendenza biblica, ampiamente superata da quando gli scritti aristotelici erano ricomparsi nel mondo europeo. Le cose mutarono con il Quattrocento: il ritorno in circolazione della Cosmographia di Tolomeo aveva riproposto la tesi del rapporto paritario fra terre emerse e acque, e pertanto allontanato di parecchio le coste della penisola iberica da quelle della Cina. Non si era adattato tuttavia alla tesi tolemaica il geografo e astrologo fiorentino Paolo del Pozzo Toscanelli, il quale aveva per conto suo elaborato un calcolo, relativo alla distanza tra penisola iberica e Cina, che configurava la faccenda in modo più ottimistico di quanto essa non fosse esposta in Tolomeo. Il Toscanelli espose le sue teorie in una lettera al canonico lisbonese Fernam Martins, nel 1474.
È un'avventura narrata molte volte, ma che ne La scoperta dell'umanità. Incontri atlantici nell'età di Colombo di David Abulafia (Il Mulino, 2010) trova una sintesi ricca e tutt'altro che banale. Sul piano pratico le navigazioni esplorative presero inizialmente la strada dell'Africa, in vista di una sua possibile circumnavigazione. Stava probabilmente in qualche rapporto con programmi di questo tipo la spedizione genovese dei fratelli Vivaldi, salpata da Genova nel 1291 per esplorare l'oceano oltre lo stretto di Gibilterra, e mai più tornata. Alle Canarie giungeva ai primi del XIV secolo il genovese Malocello; fra 1340 e 1350 si scopriva poi l'isola di Madera; e più tardi, fra 1427 e 1432, si toccava l'arcipelago delle Azzorre. Frattanto, cominciavano a circolare notizie relative alle ricchezze in oro del Sudan e del Mali: e iniziavano le spedizioni che tentavano di giungere alla foce del Niger. Nel 1487, il portoghese Bartolomeo Diaz varcava il Capo di Buona Speranza aprendo così la via verso l'Oceano Indiano; e nel 1497 salpava da Lisbona Vasco de Gama, che sarebbe giunto alle coste dell'India.
Tuttavia, l'impresa più rivoluzionaria del secolo partì non dalla circumnavigazione dell'Africa, bensì dal problema che si erano posti il Toscanelli e il Martins. Le notizie sulla biografia di Cristoforo Colombo non sono sempre e del tutto certe. Tra il 1478 e il 1479 si stabilì in Portogallo, dove sposò la figlia di un piacentino, Bartolomeo Pecestrello, che era divenuto governatore di Porto Santo, nell'isola di Madera. L'interesse per la cosmografia e l'idea che le coste asiatiche non distassero troppo da quelle europee risale a questo soggiorno: Colombo studiava gli antichi geografi ma al tempo stesso interrogava i marinai e raccoglieva le leggende circa le isole occidentali. Nel 1488 lo scritto del Toscanelli al Martins lo rafforzò nelle sue idee.
Ben presto, Cristoforo Colombo cominciò a inseguire l'idea di un viaggio che attraversasse l'oceano puntando verso occidente, anziché giungere all'Oriente attraverso la lunga e rischiosa circumnavigazione del continente africano. Mettendo insieme in modo abbastanza confuso notizie desunte da Plinio, dai geografi arabi, dal d'Ailly e dal Piccolomini egli aveva elaborato un sistema cosmografico coerente, ma caratterizzato da colossali errori: ad esempio, riteneva la terra molto più piccola della realtà e calcolava la lunghezza dell'equatore pari a 30.000 chilometri circa; pensava pertanto che per raggiungere le isole di Cipango (il Giappone) sarebbe stato sufficiente dalle coste iberiche un viaggio di appena 5.000 chilometri, mentre l'effettiva distanza i chilometri tra le due coste è di 20.000.
Una commissione di dotti riunita in Salamanca esaminò accuratamente le tesi e le confutò una per una. Oggi, abbiamo modo di controllare come i dotti di Salamanca fossero - rispetto alla verità obiettiva dell'assetto dei continenti sulla superficie terrestre - molto più nel giusto che non Colombo. Il fatto è che sia quelli, sia questo, ignoravano la presenza di un continente intermedio posto tra Europa e Asia, e che si collocava non lontano dal punto nel quale Colombo sosteneva essere le coste dell'Asia stessa. Questo particolare avrebbe a lungo mantenuto l'equivoco: finché visse, Colombo non ammise mai di avere sbagliato i calcoli, e che le terre che aveva scoperto non fossero una parte del continente asiatico.

Un tragico epilogo
Dopo la riunione di Salamanca, le speranze di essere finanziato dai Re Cattolici, per Colombo, erano molto esigue: egli tuttavia mise in moto tutte le sue risorse e le sue conoscenze per indurre i sovrani ad aiutarlo. E alla fine riuscì. Colombo compì tra 1492 e 1504 quattro successivi viaggi tra la Spagna e il «Nuovo Mondo». La sua attività come viceré e come governatore non fu felice: non seppe mantenere la disciplina tra i coloni spagnoli, commise crudeltà contro gli indigeni, fu accusato di atti di ruberia e per tutto questo ricondotto in catene in Spagna e processato.
Un comportamento probabilmente non dissimile da quello di molti suoi contemporanei: la scoperta dell' «Altro» sulla quale si sofferma spesso Abulafia è costellata come sappiamo di innumerevoli abusi. Oltre quelli contro i nativi, non si può dimenticare come lo sfruttamento delle Americhe abbia avuto quale immediato corollario la tragedia della tratta degli schiavi; un tema la cui portata non è spesso messa sufficientemente a fuoco, e sul quale torna la studiosa statunitense Lisa A. Lindsay (Il commercio degli schiavi, Il Mulino, 2011), non limitandosi a una storia fattuale, ma cercando di spiegare il contesto africano da una parte, le conseguenze della schiavitù sulla nascita dei concetti di razza e di discriminazione razziale dall'altra. Un triste epilogo per un discorso cominciato con la ricerca del paradiso.

“il manifesto” 16 giugno 2011

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