25.1.13

Il leggendario Lawrence (di Nicola Tranfaglia)

Thomas Edward Lawrence, detto Lawrence d'Arabia
Tra i miti eroici del XX secolo, quello di Lawrence d'Arabia è senza dubbio tra i più saldi e duraturi, diffuso ancor oggi in tutto il mondo occidentale e nel vicino Oriente. Dal primo dopoguerra in poi, per oltre cinquant'anni, romanzi, biografie, film, saggi psicologici hanno riproposto centinaia di volte, non solo nel mondo anglosassone, la personalità schiva e per molti versi enigmatica di questo strano gallese, laureato in archeologia ad Oxford, che scoprì giovanissimo l'Oriente e vi tornò allo scoppio della prima guerra mondiale a fondarvi la leggenda dell'inglese che organizza e guida la guerriglia araba contro i turchi nei luoghi sacri dell'Islam. Come avrebbe scritto E. M. Forster nella sua prefazione a I sette pilastri della saggezza, la tormentata autobiografia di Thomas E. Lawrence, "in quella guerra era ancora possibile esprimere una nota personale. Tirare, ad esempio, un bel colpo al grasso capostazione che sta seduto in mezzo agli uomini, agli amici bevendo il caffè... La rivolta araba sarà ricordata proprio perché si svolse in condizioni arcaiche. Fu l'ultima prodezza del dio della guerra prima che rinunciasse alla propria divinità e si trasformasse in mago della chimica".
Ma forse, a consolidare e perpetuare il mito, contribuirono anche le vicende successive della breve vita di Lawrence: l'aver sostenuto alla conferenza di Versailles con grande vigore e fantasia le ragioni degli arabi hascemiti contro le grandi potenze, poi, nel 1922, la decisione di cambiar nome e di arruolarsi come soldato semplice nell'aeronautica britannica, la collaborazione con il celebre commediografo George Bernard Shaw, infine gli anni solitari trascorsi fra meditazioni, letture e corse in motocicletta nella campagna inglese, fino all' incidente del 13 maggio 1935 in cui Lawrence perse la vita.
Così, nella stessa persona, durante un'intensa e drammatica esistenza tra due guerre mondiali, coesistono due aspetti fondamentali dell' eroe contemporaneo: l'impresa straordinaria di una guerriglia condotta con pochi mezzi e scarso spargimento di sangue contro le forze preponderanti dei turchi, ma anche il tormento, la solitudine, le incertezze e i pentimenti che costellano e autobiografia di Lawrence e che sono confermati dalle scelte da lui compiute nel dopoguerra e dalla sua stessa morte romantica.
D'altronde il mito di Lawrence trova un altro elemento di forza nella sostanziale ambiguità che ancora oggi caratterizza il suo ruolo nella guerra araba: campione nello stesso tempo dell'impero britannico in declino e della causa che si identifica con l'abbattimento dell' impero ottomano e l'indipendenza degli arabi attraverso la creazione di nuovi Stati. Proprio quell'ambiguità ha favorito il moltiplicarsi di biografie e rievocazioni dell' impresa di Lawrence, fino all'analisi minuziosa della sua personalità che qualche anno fa ha compiuto lo psichiatra americano Y. E. Mack, definendolo addirittura "un principe del nostro disordine".
Tra i tanti libri, quello del noto storico militare inglese sir Basil Liddell Hart viene presentato in queste settimane ai lettori italiani (Lawrence d' Arabia, Bompiani, pagg. 270, lire 30.000) a cinquant'anni dalla prima edizione inglese, con un'introduzione letteraria piuttosto che storica di Franco Cardini, che insiste soprattutto sul Lawrence "figlio dell'Europa romantica e imperialista, l'Europa dei dipinti di Delacroix e delle imprese di Gordon Pascià". Può darsi che in questo giudizio Cardini abbia ragione. Certo è che a Liddell Hart, abituato a trattare d'arte militare e di grandi guerre, la personalità di Lawrence d'Arabia, cui si era accostato con una certa diffidenza, fece grande impressione: al punto di indurlo a scrivere una vera e propria epopea delle capacità di comandante e di stratega dell'archeologo di Oxford. Sicché leggere oggi il racconto, documentato e preciso, ma intriso di ammirazione, dello storico inglese, fa una certa impressione: come se Liddell Hart, partito per analizzare con distacco le novità della guerra araba, si fosse lungo la strada innamorato del suo eroe e avesse scritto una narrazione che assomiglia non poco a un romanzo storico, sia pure elaborato con tutti i crismi dell'arte militare.
Quel che appare di grande interesse nella rievocazione compiuta da Liddell Hart - il quale ebbe modo di raccogliere la testimonianza dello stesso Lawrence e di altri ufficiali inglesi (durante le operazioni belliche Lawrence fu nominato colonnello) - è prima di tutto il conflitto che si sviluppa durante la grande guerra tra la linea del Foreign Office, quella dell'Indian Office e quella dei funzionari locali in Medio Oriente. Mentre il Foreign Office, nella politica mediorientale, teneva soprattutto conto dei rapporti di alleanza con le altre potenze occidentali, a cominciare dalla Francia, l'Indian Office era per una politica imperialistica intransigente. A loro volta, gli ufficiali e i funzionari locali che seguivano da vicino la situazione, si facevano guidare soprattutto dalle varie contingenze e ritenevano di poter consolidare l'influenza inglese anche al di là dell'occupazione territoriale.
Non c'è dubbio che Lawrence si sentisse più vicino a questi ultimi e portasse avanti un progetto di autodeterminazione araba, che gli inglesi avrebbero dovuto favorire con consigli e aiuti di ogni genere, ricavandone in cambio influenza: nel libro di Liddell Hart il conflitto interno all' impero, così come la scelta innovativa ma non solitaria di Lawrence sono descritti e analizzati dall'interno con grande precisione e mettono in luce assai bene la capacità del giovane archeologo di destreggiarsi all'interno delle divisioni e di utilizzarle per realizzare la sua grande avventura.
L'altro aspetto, che affascina ancora il lettore della biografia scritta dallo storico inglese, è l' analisi del rapporto tra Lawrence e gli arabi e delle conseguenti regole che l'eroe fissa per la lotta nello Hegiaz contro i turchi. Liddell Hart ricorda, a un certo punto, un'intuizione fondamentale di Lawrence contenuta nella sua autobiografia, e che è tra i primi tentativi di rovesciamento della strategia classica: "Quasi tutte le guerre erano state fino allora guerre di agganciamento, nelle quali entrambi i contendenti si sforzavano di mantenersi in contatto per evitare sorprese tattiche. Noi avremmo combattuto una guerra di sganciamento".
Su questa base, Lawrence organizza piccoli gruppi di guerriglia che logorano l'esercito turco con azioni di "commando" e sabotaggi tali da bloccare i rifornimenti e costringere il nemico a crescenti disagi e difficoltà. Le scarse perdite umane e i successi sempre già consistenti convincono un numero sempre maggiore di arabi a ribellarsi e a rafforzare l'armata di Feisal, l'emiro che il giovane inglese ammira e segue fino alla fine.
Quanto ai rapporti con gli arabi, Liddell Hart ne parla a lungo in tutto il suo libro, fino a riprodurre integralmente i "ventisette articoli" nei quali Lawrence condensa una sorta di teoria dell'arte di trattare quel popolo. L'ultimo di quegli articoli ne rappresenta in qualche modo la sintesi, assai significativa: "Il principio e la fine del segreto del modo di trattare con gli arabi è il loro continuo studio. Tieniti sempre in guardia; non dire mai cose non necessarie; tieni costantemente d'occhio te stesso e gli altri compagni; ascolta tutto ciò che succede, cerca di scoprire che cosa sta accadendo al di là dell'evidenza, interpreta i loro personaggi, scopri i loto gusti e le loro debolezze e tieni tutto ciò che scopri per te... Il tuo successo sarà proporzionale alla quantità di energia mentale che vi dedichi". Anche qui, insomma, riemerge la fondamentale ambiguità dell' atteggiamento e della personalità di T. E. Lawrence.
In realtà, negli ultimi decenni, tramontato ormai l'impero inglese, è proprio l'ambiguità del personaggio a garantirne la sopravvivenza mitica: ancora una volta - lo ha ricordato Valeria Camporesi nel suo acuto saggio Lawrence d'Arabia: analisi di una leggenda, apparso nel numero 5 di “Passato e presente” - si sono contrapposti, in Inghilterra e fuori, gli ammiratori dell'eroe carismatico e i detrattori del "mitomane omosessuale". Gli uni e gli altri, evidentemente, non hanno accettato la definizione di Mack: T. E. Lawrence è stato un principe del nostro disordine.

“la Repubblica”, 27 dicembre 1984

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