1.1.13

Notte di San Silvestro. La morte di un sarto (di Louis Pauwels)



Mio padre morì nel 1948, senza aver mai smesso di credere nella natura creatrice, senza aver mai smesso di amare e penetrare col suo amore il mondo doloroso in cui viveva, senza aver mai cessato di sperare che avrebbe visto risplendere la luce dietro le pesanti masse di materia. Apparteneva alla generazione dei socialisti romantici che avevano i loro idoli in Victor Hugo, in Romain Rolland, in Jean Jaurés, portavano grandi cappelli, e conservavano un piccolo fiore blu nelle pieghe della bandiera rossa. Al confine tra la mistica pura e l'azione sociale, mio padre, attaccato più di quattordici ore al giorno al suo tavolo di lavoro - vivevamo sull'orlo della miseria - conciliava un ardente sindacalismo con la ricerca della liberazione interiore. Nei gesti rapidi e umili del suo mestiere, aveva introdotto un metodo di concentrazione e di purificazione spirituale su cui ha lasciato centinaia di pagine. Facendo occhielli, stirando stoffe, irradiava la sua personalità. Il giovedì e la domenica i miei compagni si riunivano intorno al suo tavolo, per ascoltarlo e per sentire la sua forte personalità, e la maggior parte di essi ne ebbero la vita cambiata.
Pieno di fiducia nel progresso e nella scienza, credeva nell'avvento del proletariato e si era costruito una potente filosofia. Aveva avuto una specie di illuminazione leggendo l'opera di Flammarion sulla preistoria. Poi, guidato dalla sua passione, aveva letto opere di paleontologia, di astronomia, di fisica. Senza preparazione, aveva tuttavia penetrato profondamente gli argomenti…
Egli pensava che l'evoluzione non si confonde col trasformismo, ma che essa è integrale e ascendente, che accresce la densità psichica del nostro pianeta e lo prepara a prendere contatto con le intelligenze degli altri mondi, ad avvicinarsi all'anima stessa del cosmo. Per lui la specie umana non aveva ancora raggiunto la sua compiutezza. Essa progrediva verso uno stato di supercoscienza, attraverso l'innalzarsi della vita collettiva e la lenta creazione di uno psichismo unanime. Diceva che l'uomo non è ancora compiuto e salvo, ma che le leggi di condensazione dell'energia creatrice ci permettono di alimentare, su scala cosmica, una formidabile speranza. E non perdeva di vista questa speranza. Da quel piano egli giudicava con serenità e dinamismo religioso le cose di questo mondo, andando a cercare molto lontano, molto in alto un ottimismo e un coraggio immediatamente e realmente utilizzabili. Nel 1948 la guerra era appena terminata, e già rinascevano minacce di battaglie, e questa volta atomiche. E tuttavia egli considerava le inquietudini e i dolori presenti come le negative di un'immagine magnifica. Vi era un filo che lo collegava al destino spirituale della Terra, ed egli proiettava, sull'epoca di oppressione in cui compiva la sua vita di lavoratore, nonostante immense pene intime, molta fiducia e molto amore.
Morì nelle mie braccia, la notte del 31 dicembre e, prima di chiudere gli occhi, mi disse: «Non bisogna contare troppo su Dio, ma forse Dio conta su di noi...».

Da Il mattino dei maghi, Oscar Mondadori 1979

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