10.1.13

Una valanga di rifiuti (di Giorgia Fletcher)

Dalla rubrica "Terra Terra" del "manifesto", la sintesi ragionata di uno studio sui rifiuti solidi urbani in tutto il mondo svolto nel 2012. Le cifre sono impressionanti, i problemi che esse evocano ancora di più. (S.L.L.)
Saremo sommersi da una valanga di rifiuti?
E' una prospettiva fin troppo realistica quella evocata da uno degli ultimi studi condotti dal World Watch Institute di Washington nell'ambito del suo programma Vital signs, «segni vitali». Dove per l'appunto segnala che la crescente prosperità e urbanizzazione di ampie regioni del pianeta potrebbero tradursi nel raddoppio del volume dei rifiuti solidi urbani prodotti annualmente da qui al 2025; ovvero, dagli attuali 1,3 miliardi di tonnellate a 2,6 miliardi - e questo nonostante che una parte dei rifiuti alla fine verrà riciclata.
Il rapporto precisa che per rifiuti solidi urbani intendiamo una massa di materiali che include materiali organici, plastica, carta, vetro, metalli e altro, cioè i rifiuti raccolti dalle municipalità da case, uffici, istituzioni, esercizi commerciali. Quelli raccolti in modo organizzato dai sistemi municipali sono in realtà solo parte dei rifiuti solidi prodotti in ambito urbano (a volte i sistemi di raccolta informale sono più ramificati e pervasivi di quelli ufficiali). Lo studio di Vital Signs inoltre non considera gli scarichi di figne, i reflui industriali, né le macerie derivate da demolizioni - né ovviamente include i rifiuti generati nelle aree rurali.
La produzione di rifiuti solidi urbani tende a essere molto più alta nelle regioni più ricche del mondo, e questo sembra un'ovvietà: così i paesi membri dell'Ocse 834 nazioni industrializzate) guidano la classifica con quasi 1,6 milioni di tonnellate al giorno. Per contrasto, l'Africa subsahariana ne produce meno di un ottavo, circa 200mila tonnellate al giorno. Fin qui, nulla di nuovo. Ma il vero punto dello studio diffuso dal World Watch è la situazione delle economie emergenti. Nella lista dei 10 paesi maggiori produttori di Rifiuti solidi urbani troviamo infatti Brasile, Cina, India e Messico: in parte per la semplice taglia della loro popolazione urbana, in parte perché sono tra quelle economie «emergenti» dove gli abitanti delle città hanno prosperato nell'ultimo decennio, adottando stili di vita e di consumi decisamente alti. Così, se gli Stati uniti sono in testa in questa classifica mondiale della spazzatura urbana, con 621mila tonnellate al giorno, la Cina segue con 521mila (il secondo posto). Anche se va notato che la classifica dei primi 10 mantiene grandi disparità: gli Usa generano pur sempre sette volte più rifiuti solidi urbani della Francia, che è al settimo posto (si noti che stiamo parlando di valori assoluti, non procapite).
Anche il tipo di rifiuti è correlato al livello di urbanizzazione e di reddito. La parte di rifiuti inorganici nella massa totale - cioè di plastica, carta, alluminio - aumenta con crescere del reddito.
La destinazione dei rifiuti invece denota più le scelte politiche e di gestione che il reddito in senso stretto. Circa un quarto dei rifiuti solidi urbani al mondo finisce al riciclaggio, compostaggio o «digestione», opzione di gestione dei rifiuti più indicata, dal punto di vista ambientale, della discarica o l'inceneritore. Negli Usa circa il 34% dei rifiuti solidi urbani va al riciclaggio, e questa parte è cresciuta meno del 10% dagli anni '80; altri paesi industrializzati hanno visto evoluzioni molto simili. Ma l'interesse per il recupero di materiali dai rifiuti cresce - anche sui «materiali post-consumo» stanno crescendo mercati e incentivi. Il mercato globale per i rifiuti di metalli e carta vale almeno 30 miliardi di dollari l'anno, secondo la banca mondiale. Il Programma dell'Onu per l'ambiente (Unep) stima che l'intero mercato della gestione dei rifiuti, dalla raccolta al riciclo, valga qualcosa come 400 miliardi in tutto il mondo. E questo mentre la parte di rifiuti riciclata è tutto sommato ancora così bassa. Mentre un altro aspetto del problema resta del tutto inesplorato: la necessità di ridurre la massa di rifiuti prodotta.

"il manifesto", 8 agosto 2008

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