20.1.13

Versailles e Parigi (di Benedetta Craveri)

Castello di Versailles, Galerie des glaces
Per trentacinque anni, in conformità al disegno politico di Luigi XIV (che, il 6 maggio 1682, vi aveva ufficialmente insediato la Corte, i ministri e il governo), Versailles non rappresentò soltanto il simbolo della monarchia e del potere assoluto, ma espresse l' essenza della civiltà, detenne il monopolio della vita artistica, intellettuale e mondana della Francia. Come ricorda la vecchia duchessa di Brancas, sotto Luigi XIV grandezza, civiltà, ingegno non risiedevano che a Corte, ed era lo stesso padrone di casa a dare il tono dei costumi.
Versailles è un grande salotto dove, per almeno dieci ore al giorno, si consuma una ininterrotta rappresentazione mondana; ma è anche l' unico salotto ormai concesso alla Francia. Il privilegio di esservi ammessi impone la rinunzia alla libertà e lo sguardo del padrone di casa, insinua Saint-Simon, ha l'intransigenza del più vigile dei carcerieri: al suo lever, e al suo coucher, ai suoi pranzi, nel suo giardino di Versailles, si guardava sempre intorno e osservava tutti. Si irritava con i grandi se non soggiornavano in permanenza a Corte, con gli altri se ci venivano solo di rado, e il suo sfavore colpiva nettamente coloro che non ci venivano mai o quasi mai. Se uno di costoro desiderava qualcosa, il re con alterigia affermava: non lo conosco e si trattava di una condanna irrevocabile.
Eppure nessuno, per ammissione dello stesso Saint-Simon, nessuno come questo terribile tiranno ha il dono della grazia mondana. Mai uomo fu così naturalmente cortese... In pubblico mai niente di fuori posto o di azzardato, mai fino al minimo gesto; il modo di camminare, il comportamento, il modo di fare, tutto era misurato, tutto decente, nobile, grande, maestoso, e tuttavia naturalissimo. Un' intera civiltà mondana si modella sul suo esempio e sotto il suo sguardo, e la vocazione nazionale allo spirito di società trova a Versailles l'occasione storica di realizzarsi compiutamente, di imporsi come unico modo di essere.
Poi, con la morte di Luigi XIV, nel 1715, le luci si spengono per alcuni anni sul fastoso apparato teatrale, a cui il Re Sole aveva affidato la rappresentazione della propria grandezza, e Parigi ne approfitta per riprendere la sua rivincita. Mentre il Reggente governa il regno dal Palays-Royal, mentre la popolazione parigina, dopo aver insultato il convoglio funebre che trasporta le spoglie del vecchio monarca a Saint-Denis, si abbandona a una reazione gioiosa e vitale, rifluendo nelle strade, nei caffè, nelle taverne, le grandi dimore aristocratiche, quasi disabitate per tanti decenni, riaccendono le loro luci, spalancano i loro saloni. Uscita da un lungo incubo, la società aristocratica è ansiosa di recuperare il tempo perduto, di vivere, pensare, divertirsi liberamente.
Quando, con la maggiore età di Luigi XV, Versailles riapre i suoi cancelli e la Corte riprende quell'insieme di riti, di usanze scandite dall'etichetta, quel linguaggio in codice, persino quel particolare modo di camminare che ne fanno un mondo a sé stante, il suo antico monopolio è spezzato per sempre. Parigi è ormai diventata il centro della vita intellettuale della nazione. A Versailles si intriga, a Parigi ci si diverte, diceva Montesquieu; e, d'ora in avanti, sarà innanzitutto la gente di Corte a preoccuparsi di non essere tagliata fuori dalla vita parigina. Così gli abitanti di questo paese quaggiù, come lo chiamava la marchesa di Pompadour che pur avendovi regnato per tanti anni non era mai riuscita a sentirvisi a suo agio, percorreranno sempre più sovente le quattro miglia che separano i due paesi, facendosi, di volta in volta, cortigiani a Versailles e gente di mondo a Parigi.

Da Claudine l' amante del Cardinale, “la Repubblica”, 19 agosto 1987

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