9.2.13

Fidia meraviglioso. La statua di Zeus ad Olimpia (Luigi Malerba)

Una ricostruzione della celebre statua di Zeus ad Olimpia 
Sto cercando di immaginare che effetto farebbe al pubblico di oggi una statua come quella che Fidia dedicò a Zeus nel recinto sacro di Olimpia, la città greca delle antiche Olimpiadi. Di questa statua, modellata da Fidia fra il 420 e il 410 a.C. e nominata come una delle Sette Meraviglie del Mondo, non è rimasto nemmeno un frammento, ma ne abbiamo la minuziosa descrizione di Pausania in questo nuovo accuratissimo volume sull'Elide e Olimpia (Guida alla Grecia, Libro V, L' Elide e Olimpia, testo e traduzione a cura di Gianfranco Maddoli, commento a cura di Gianfranco Maddoli e Vincenzo Saladino, Mondadori-Fondazione Valla, pagg. 356, lire 48.000).
Questa statua di Zeus, alta dodici metri (più o meno come un palazzo di tre piani), era ritenuta un tale capolavoro che gli scultori greci, anche dopo la morte di Fidia, non osarono farne delle copie secondo una antica consuetudine, con la sola eccezione di una copia in formato ridotto eseguita a Cirene nella Libia, anche questa scomparsa, e una riproduzione sommaria eseguita su una moneta di Elide in epoca imperiale.
Tutto quanto ci è stato tramandato della scultura greca dell'epoca classica è di una tale elegante perfezione che non possiamo mettere in dubbio la bellezza di questo monumento dedicato al dio dell'Olimpo da un artista come Fidia, considerato insieme a Prassitele il più grande scultore della Grecia classica, autore tra l'altro delle sculture dei frontoni del Partenone. Ma a giudicare dalla descrizione di Pausania qualche dubbio permane sull'accoglienza che avrebbe oggi un simile capolavoro "crisoelefantino", vale a dire d' oro e avorio, così come sarebbero per noi una fiera stranezza le statue greche dipinte, dal momento che da sempre le abbiamo viste e ammirate "nude".
Pare che i visitatori antichi restassero proprio sbigottiti alla vista di questo colosso crisoelefantino. Le braccia, il volto e le altre parti del corpo di Zeus erano di legno rivestito con lamine di avorio e i panneggi del manto erano tutti d'oro, ricamati con figure di animali e fiori. D'oro erano anche i calzari. Il trono sul quale era seduto il dio era "variamente ornato d'oro, di pietre preziose, di ebano e avorio". Il tetto del tempio nel quale era collocata la statua era di marmo pentelico lavorato a guisa di tegole, disposte in modo che penetrasse poca luce dall' alto così da tenere nella penombra il volto del dio.
E infatti Pausania non ci dice nulla sul volto di Zeus. Che il Padre degli dei avesse un cattivo carattere lo sappiamo, ma Fidia come lo aveva ritratto? Corrucciato o benevolo, protettivo o minaccioso? Questa penombra doveva forse contribuire a creare mistero e turbamento nei visitatori che vedevano brillare soltanto, lassù in alto sulla testa del dio, una corona d'oro in forma di ramoscelli d'ulivo. Pausania si sofferma piuttosto a descrivere il busto e il trono che poteva osservare da vicino. Figurine di Vittorie alate decoravano le gambe del trono e fanciulli tebani erano collocati a sostegno dei due braccioli. Una Sfinge seduta sosteneva con le ali il gomito di Zeus e sotto la Sfinge erano scolpiti Apollo e Artemide che colpiscono con le frecce Niobe e i suoi figli. Una figura in ebano e oro della Vittoria Alata (alata ma assai pesante date le notevoli dimensioni come ci suggerisce Pausania) era sorretta dalla mano destra di Zeus. Nella sinistra il dio reggeva uno scettro "ornato di ogni genere di metalli" e su questo stava appollaiata un'aquila. Sulle barre del trono erano scolpiti i guerrieri che combatterono a fianco di Eracle contro le Amazzoni. Due gruppi di ventinove figure, una gran folla mitologica.
Pausania parla anche di quattro colonne nascoste sotto il trono, probabilmente aggiunte in un secondo tempo per sostenere il peso enorme della statua. I piedi del dio erano posati su uno sgabello sostenuto da due leoni d'oro. Sotto le suole dei calzari una scritta incisa attestava che Fidia era l'autore della scultura: "Fidia figlio di Carmide, ateniese, mi fece". Un segno di umiltà firmare l'opera proprio sotto i piedi? Una seconda scritta compariva su un dito del dio, come racconta maliziosamente Clemente Alessandrino, e diceva: "Pantarce è bello". Pantarce era il giovane amante di Fidia.
La grande base che reggeva il complesso scultoreo era di marmo nero decorato con figure d'oro in rilievo. Un'altra folla di personaggi mitologici: Elio, il dio del sole, sul suo carro alato, un altro Zeus in formato ridotto con la moglie Era, Eros che accoglie Afrodite mentre sorge dalle acque marine, la Luna che galoppa su un destriero, secondo altri su un mulo.
Grandi cicli narrativi sono stati appannaggio della scultura dall'antichità fino al Medioevo e al Rinascimento. Lo scudo di Achille descritto nell'Iliade, i frontoni del Partenone e quelli dello stesso tempio di Zeus conservati nel museo di Olimpia, l'Altare di Pergamo, fino ai cicli biblici medievali e rinascimentali. Un linguaggio figurativo di immediata comprensione e meraviglia anche per il popolo analfabeta.
La statua non mancò di creare qualche problema ai suoi conservatori. Per preservare l'integrità della scultura dal clima umido e caldo di Olimpia, racconta Pausania, la sua conservazione era stata affidata a "brunitori" che facevano colare dall'alto lungo la statua rivoli di olio d'oliva che veniva raccolto alla base in un canaletto di marmo nero. Nella metà del II secolo a.C. venne chiamato Demofone, scultore di Messene, per riparare la statua che soffriva l'umidità per via dell'anima di legno sulla quale Fidia l'aveva modellata. Può darsi che le quattro colonne sotto il trono siano state aggiunte proprio da Demofone per rimediare a qualche cedimento del trono sotto il peso del colosso crisoelefantino. E proprio riferendosi alla struttura interna di legno Luciano di Samosata scherzò sul fatto che poteva essere un ottimo rifugio per i topi.
La fama di questa statua era tale che l'imperatore Caligola decise di trasportarla a Roma con il proposito di sostituire la propria testa a quella di Zeus. Si racconta che gli operai mandati per eseguire il trasporto vennero messi in fuga da poderose risate provenienti dal dio e la nave che doveva portarla a Roma venne colpita da un fulmine che la mandò a fondo. Il geografo Strabone, che visitò Olimpia agli inizi del I secolo d.C., annota con qualche malizia che il dio, per quanto seduto sul trono "quasi toccava il soffitto con la testa e dava l'impressione che se si fosse alzato in piedi avrebbe scoperchiato il tempio". Ma Zeus, nonostante la sua sensibilità all'umido e al secco, rimase seduto sul suo trono per ben ottocento anni fino a quando venne trasportato da Olimpia a Costantinopoli dove venne collocato in un Palazzo della città. L'incendio che divampò nella capitale dell'Impero Bizantino nel 462 distrusse quel Palazzo e così scomparve per sempre, ridotta in cenere, una delle Sette Meraviglie del Mondo.
La protezione di Zeus non è servita nemmeno a preservare il recinto sacro di Olimpia da una serie di sciagure: il saccheggio ordinato da Silla dopo la conquista romana, la comparsa dei barbari per cui si costruirono delle mura di difesa con le pietre degli antichi monumenti, l'incendio del tempio di Zeus ordinato da Teodosio II, il terremoto del VI secolo d.C. che distrusse gran parte dei monumenti. E infine, ultima sciagura, numerose alluvioni coprirono tutta la zona monumentale con alcuni metri di fango.
Così sepolta è rimasta fino a quando si sono cominciati gli scavi per opera dell' archeologo inglese Dodwell nel 1806. Il visitatore odierno di Olimpia troverà nel vicino museo un plastico con la ricostruzione dell'area monumentale dove si è cercato di fare coincidere le descrizioni di Pausania con i resti portati in luce dagli archeologi. Ma perché non rimettere in piedi almeno le colonne del tempio di Zeus per i turisti smarriti? Perché lasciare quegli enormi rocchi di pietra sparsi sul terreno così come sono rimasti dopo l'ultimo terremoto? Una immagine anche sommaria del tempio potrebbe ripagarci in parte dalla emozione e forse dallo sgomento che avremmo provato di fronte al terribile simulacro di Zeus splendente di ori e grondante d'olio.
La pubblicazione della Guida della Grecia è una impresa di gran merito editoriale, ma si tratta di un testo enciclopedico e labirintico dove qualche volta le informazioni storiche e mitologiche sovrastano e nascondono questo singolare compendio di viaggi e descrizioni. E' l'occasione per ricordare un altro libro, di cui si è già parlato su queste pagine, che paradossalmente può essere un'ottima guida alla lettura di questa Guida della Grecia, vale a dire Sulle tracce di Pausania del grande antropologo James G. Frazer, pubblicato non più di un anno fa nelle edizioni Adelphi.

“la Repubblica”, 7 febbraio 1996

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