1.2.13

Gige e il candaulismo (dalle "Storie" di Erodoto)

Le Storie di Erodoto sono ricche di truci vicende di tradimenti, perversità e morti violente, veri e propri racconti “gialli” o “neri” che si incastonano nelle alterne vicende dei regni e dei popoli mediterranei. Strano e a suo modo affascinante è il primo di questi racconti, che copre i capitoli tra l’8 e il 12 del primo libro.
E' ambientato nell’antica Lidia, una regione interna della penisola anatolica, nell’odierna Turchia e vi si spiega come si originasse in quel regno la dinastia dei Mermnadi, onde derivò quel Creso celebre per la sua ricchezza.
Capostipite ne era stato un Gige, cui altre fonti (Platone, per esempio) attribuiscono arti magiche e anelli ultrapotenti. Qui invece la sua ascesa al trono, in luogo del re Candaule da lui stesso ucciso, si lega ad una storia di sesso.
I dizionari più ricchi registrano candaulismo, per indicare una perversione sessuale: credo che non sarà difficile per chiunque legga, rammenti o rilegga le pagine di Erodoto indovinare il vizietto cui il re Candaule diede il nome. (S.L.L.)  
Jean Léon Gérôme (1824 - 1904), Le Roi Candaule
8.
Candaule era innamorato di sua moglie; e, nell'esaltazione dell'amore, credeva di possedere la donna di gran lunga più bella di tutte.
Convinto di ciò, dato che fra le guardie del corpo c'era un certo Gige, figlio di Dascilo, che godeva in modo particolare la sua simpatia, a lui faceva le sue confidenze sugli affari più seri; e, fra l'altro, anche sulla bellezza della moglie, che esaltava oltre ogni dire.
Ma era proprio destino che Candaule dovesse finir male. Dopo un po' tenne a Gige questo discorso : « O Gige, poiché ho l'impressione che tu non mi creda quando ti parlo della bellezza di mia moglie (in effetti gli uomini prestano meno fede a quello che odono, in confronto a quello che vedono), fa' in modo di vederla nuda».

9.
Ma quello, alzando grida di protesta, esclamò: «O signore, quale discorso dissennato mi vai facendo tu, che tu, che mi inciti a guardare nuda la mia signora? Insieme con la veste la donna si spoglia anche del pudore.  Già da antico gli uomini hanno trovato precetti di saggezza, dai quali giova trarre ammaestramento; uno di essi è che ciascuno volga lo sguardo a ciò che è suo. Io sono convinto che essa è la più bella di tutte le donne e ti prego di non chiedermi delle cose disoneste».
Con tali ragioni egli tentava di schermirsi, temendo che gliene dovesse derivare qualche malanno.
Ma quello replicò cosi : «Fatti animo, Gige; e non temere né di me, per paura che ti faccia questa proposta per tentarti, né di mia moglie, al pensiero che te ne possa venire del danno; poiché tutto io combinerò in modo che nemmeno s'avveda di essere da te osservata. Infatti, ti farò entrare nella stanza dove passiamo la notte e ti collocherò dietro un battente della porta che si apre; subito dopo che io sarò entrato, verrà anche mia moglie per coricarsi. Vicino alla porta di entrata c'è una sedia e su questa essa deporrà gli indumenti, a uno a uno, man mano che se li toglie di dosso e tu potrai contemplarla con tutta tranquillità. Quando, poi, dalla sedia si dirigerà verso il letto e tu ti troverai alle sue spalle, abbi cura che essa non ti veda mentre te ne andrai attraverso la porta».

10.
Sicché Gige, visto che non poteva avere scampo, era disposto a ubbidire; e Candaule, quando gli parve giunta l'ora d'andare a dormire, lo introdusse nella stanza da letto: subito dopo ecco anche la moglie e mentre essa entrava e deponeva i suoi vestiti Gige la contemplava.
Poi, quando la donna, accostandosi al letto, gli volse le spalle, di soppiatto se ne uscì; ma mentre se ne andava essa lo scorse. Pur comprendendo quello che il marito aveva combinato, non si mise, però, a strillare per la vergogna, né fece mostra di essersene accorta, ma nell'animo meditava la vendetta contro Candaule: per i Lidi, infatti, come pure, in generale, per gli altri Barbari, essere visto nudo, anche per un uomo, è cosa che procura grande vergogna.

11.
Per il momento, dunque, senza dare a veder nulla, se ne stette così, quieta; ma non appena fu giorno, messi sull’avviso quelli dei servi che vedeva esserle particolarmente devoti, mandò a chiamare Gige.
Questi, convinto che la regina nulla sapesse di quanto era avvenuto, si presentò all'invito, poiché anche prima era solito recarsi da lei quando la regina lo chiamava.
Quando, dunque, Gige arrivò, la donna gli disse: «Ora, Gige, delle due vie che ti si presentano, lascio a te scegliere quella che vuoi seguire: o, ucciso Candaule, ti prendi, insieme con me, anche il regno dei Lidi; oppure tu stesso, qui subito, devi morire, affinché, in tutto ligio a Candaule, non abbia per l'avvenire a veder più ciò che non si deve. Poiché bisogna pure che scompaia o lui che ha combinato questo tranello, o tu che mi hai vista nuda e hai fatto ciò che non è lecito».
Gige per un poco rimase sbalordito ad ascoltare ciò che gli si diceva; ma poi si mise a scongiurarla di non metterlo nella necessità di dover fare una tale scelta. Siccome, però, non riusciva a piegarla e vedeva che era assolutamente necessario o uccidere il suo signore o essere egli stesso ucciso da altri, scelse di sopravvivere.
Quindi le rivolse questa domanda: «Poiché mi costringi a privare della vita il mio padrone, contro mia voglia, suvvia, che io sappia in qual modo potremo mettere le mani su di lui».
Ed essa di rimando disse: «Dal medesimo luogo partirà l'insidia donde anche egli mi ha fatto apparire nuda; lo si colpirà mentre è immerso nel sonno».

12.
Quando si furono accordati sulle modalità dell'insidia, sopraggiunta la notte, Gige (dato che non lo si lasciava libero, né vi era alcuna via di scampo, ma bisognava proprio che morisse lui o uccidesse Candaule) seguì la donna nella stanza da letto.
Essa, dopo avergli messo in mano un pugnale, lo nascose dietro la stessa porta; e, più tardi, mentre Candaule riposava, Gige, sbucato fuori dal nascondiglio e uccisolo, divenne padrone della moglie di lui e del suo regno.
Anche Archiloco di Paro che visse nello stesso periodo ne fa menzione in un trimetro giambico.

Erodoto, Le Storie, Libro I, capp.8-12
Traduzione Luigi Annibaletto (Mondadori, 1956)

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