6.2.13

Giunio Bruto l'usuraio (di Lidia Storoni)

Il Giunio Bruto del Campidoglio
in esposizione a Berlino nel 2010
E' ormai nozione comune che la storia, ad onta d'una produzione torrenziale di biografie più o meno raccomandabili, non riguarda né gli eventi né gli individui. Condottieri, statisti, pontefici e sovrani, con i loro colpi di genio, le loro turpitudini e le loro efferatezze, indietreggiano di fronte agli anonimi. Battaglie e trattati, annessioni territoriali e successioni dinastiche non servono che a rivelare vasti substrati sociali e interessi economici, a guisa di icebergs che affiorano alla superficie mentre la parte più consistente è sommersa. Lo storico scava nelle aree private e punta la sua torcia su zone settoriali. Come l' archeologo non cerca più il pezzo da museo ma le testimonianze della cultura materiale, dalle pentole agli attrezzi da lavoro, così lo storico non si limita alle fonti scritte: considera documento il tracciato d' una strada, la mappa catastale d' un terreno, la pianta d' una fattoria, il potere d' acquisto dei salari; non gli serve soltanto l' archivista e il paleografo, ma il sociologo, l' economista, lo psicologo, lo studioso di statistica, d' agraria, di teatro, di folklore. Questo tipo d' indagine stratigrafica e interdisciplinare produce opere che illuminano uno spaccato della società. Ne emerge il tenore di vita della gente comune, l' alimentazione, le condizioni sanitarie, la mentalità, le superstizioni, i costumi. Sono interessi circoscritti, che hanno ampliato e approfondito i campi di ricerca ma che hanno in qualche modo svalutato la storia come ripensamento critico e visione globale.
Appartengono a questo nuovo orientamento alcune opere di recente pubblicazione. La prima è La vita privata dall' impero romano all' anno Mille (Laterza, pagg. 483 più indici e bibliografia, lire 40.000). Il volume, a cura di due insigni medievalisti come Philippe Ariès e Georges Duby, consiste in una raccolta di saggi di vari autori: l' epoca romana, che occupa oltre metà del volume, è affidata a Paul Veyne e Peter Brown; Yvon Thébert s' è occupato della Vita privata e architettura domestica, con speciale riguardo all' Africa romana; Michel Roche dell' Alto Medioevo Occidentale; Evelyn Patlagean di Bisanzio, X, XI secolo.
Una miniera di notizie, un esercizio mirabile di ricerca e d'intùito. Fiutando come cani da tartufi in un territorio spesso inesplorato, gli autori sono penetrati nel segreto delle case, hanno interrogato le fisionomie grevi delle statue togate, affreschi, bassorilievi, mosaici; hanno esaminato le abitazioni private (senz'acqua, senza luce, senza riscaldamento), il loro inserimento nel tessuto urbano e le modifiche avvenute nell'edilizia con il passar del tempo o nelle diverse classi sociali; hanno letto iscrizioni funerarie e commedie, codici e sermoni, epistolari e leggende; hanno decifrato le abitudini, i pregiudizi e i valori d'un millennio; hanno ricostruito l'esistenza dell'uomo antico fin dal momento della nascita: deposto a terra ai piedi del padre, solo se questi lo sollevava tra le braccia era riconosciuto come legittimo. Altrimenti, poteva esser soppresso o esposto o ceduto in adozione a chi, non avendo figli, non poteva aspirare alle cariche, riservate ai padri di famiglia.
Il bambino era affidato a una nutrice e a un pedagogo; l'educazione, almeno teoricamente, era rigida. Il figlio rimaneva sottoposto all'autorità del padre fino a che questi viveva: senza il suo consenso, anche se adulto non poteva disporre del patrimonio, né stipulare un contratto, né far testamento, né sposarsi, né liberare uno schiavo, né affrontare le spese elettorali. E il fatto che il termine parricidio significasse anche alto tradimento indica fino a che punto questo delitto fosse esecrato e, probabilmente, frequente. A scuola, il fanciullo apprendeva unicamente l'eloquenza, politica e forense; si esercitava su dibattiti famosi.
I romani, popolo di strateghi e legislatori, conquistarono un impero e lo amministrarono senza aver ricevuto alcun addestramento teorico o pratico: imparavano tutto attraverso l'apprendistato. Totalmente impreparato, a diciassette anni il giovane assumeva la prima carica; per salire alle successive era tenuto ad offrire duelli di gladiatori, cacce, corse di cavalli, spettacoli costosissimi, oppure costruiva edifici pubblici: una munificenza ostentata e forzata. Questo durò fino alla vigilia del sacco di Roma del 410 d.C.; alla fine del IV secolo, il senatore Simmaco scrive d'aver acquistato prigionieri barbari per esibirli nell'arena; ma si erano suicidati tutti la vigilia dello spettacolo: una forte perdita finanziaria che però Simmaco dice di sopportare con dignità. La fonte principale della ricchezza era la proprietà fondiaria; la conduzione era affidata a intendenti, liberti o schiavi. Esistevano anche società d'investimento in appalti, trasporti e imprese industriali: attività meno pregiate ma redditizie.
Tra le fonti di reddito non era ritenuta disdicevole l'usura: Bruto, un uomo d'onore, prestava denaro con l' interesse del 40%. Le signore, dal canto loro, se avevano l'amante, non esitavano ad accettare compensi in denaro: ogni cosa ha il suo prezzo. Su schiavi e liberti il padrone esercitava diritto di vita e di morte (almeno fino al II secolo) e un'autorità totale: era lui a pregare, offrire sacrifici, convertirsi o fare apostasia per tutti. Si dovrà arrivare al Concilio di Elvira (IV secolo) perché la Chiesa scomunichi la padrona che, in un momento di nervi, uccide la schiava. Va peraltro detto che, pur non potendo sposarsi e dovendo lasciare il suo bambino alla mercé del padrone, lo schiavo era trattato, a volte, con affetto: Cicerone in una lettera lamenta la morte d'uno schiavo segretario, e Seneca li chiama schiavi, anzi, umili amici.
La società era ispirata a un sentimento di classe rigidissimo, a pregiudizi incrollabili, tra i quali l'austerità; smentita peraltro dal lassismo morale e dall'esistenza d'una stretta solidarietà tra le grandi famiglie (le amicitiae deplorate da Sallustio). Non so come si dice bustarella in latino ma sulle lapidi funerarie il defunto afferma un po' troppo spesso d'aver percorso la carriera burocratica o militare sine ulla offensa: senza la minima scorrettezza (come, del resto, i coniugi dicono d'esser vissuti insieme tanti anni sine ulla querella: mai un litigio). Non vorrei abusare del latino, ma frasi simili si chiamano anche oggi excusatio non petita.
I filosofi fungevano da direttori spirituali nelle famiglie che potevano permettersi il lusso di mantenerne uno. Predicavano sobrietà, astinenza, controllo delle passioni, distacco dai beni terreni: mòniti di condotta quale si addice ai membri della classe dirigente e la bienséance del XVII secolo sullo stesso piano del contegno signorile e del parlare forbito. Con il cristianesimo, quelle regole austere furono adottate dalle classi inferiori, la munificenza diventò assistenza, gli spettacoli, osceni e crudeli perché così piaceva alla plebe, furono condannati da quelli stessi a cui erano destinati.

"la Repubblica", 30 dicembre 1986

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