19.2.13

Il popolo e lo stato. Un racconto della mia mamma, Liliana Genovese

C’era una volta una donna che aveva cinque figli. Il marito era morto e, con quel poco di pensione che le dava lo stato, cercava di vivere.
Ma un giorno anche questo le fu tolto: un ictus colpì la parte sinistra del suo corpo. La mano e la gamba furono le più colpite e con molte difficoltà riusciva a muoversi. A quel punto la pensione le venne tolta.
I figli rimasero senza parole: che si poteva fare? Qualche persona consigliò di rivolgersi allo stato. Chiesero se sapevano dove si trovasse, ma nessuno conosceva né la strada né la città. Finalmente uno che aveva il diploma di ragioniere e sapeva ragionare li consigliò di andare a Roma. Si misero a camminare trascinando con loro la povera donna handicappata e senza pensione.
Arrivati che furono a Roma, qualcuno disse loro che lo stato lo avevano portato in tribunale. Più avanti, in un grande palazzo, sopra il portone di entrata c’era una scritta: “Tribunale”. Entrarono e trovarono molta gente seduta in silenzio. Si vedeva lontano un tavolo con una sedia al centro, dove stava seduto un uomo, e accanto a lui c’era una sedia vuota.
Uno dei figli della signora, senza che nessuno l’avesse chiamato, prese la madre, la condusse al tavolo e la mise a sedere vicino all’uomo, che era lo stato. Con voce forte e decisa cominciò: “Guardate questa donna. Non è mia madre”. “E non è neppure mio padre” - soggiunse con voce più bassa. “E’ un relitto” – gridò infine.
Il popolo di Roma che stava seduto cominciò a mormorare: “Relitto de che?”. Erano romani e parlavano in dialetto.
“Relitto umano”,  – rispose il figlio. “Noi dobbiamo consegnarla allo stato – e si rivolse all’uomo – che deve averne cura. Noi lo salutiamo e ringraziamo”.
L’uomo, che fino a quel momento era stato zitto, si alzò, prese un fazzoletto dalla tasca e spolverò la sedia. Poi pulì anche la spalla, si aggiustò i pantaloni e disse: “Grazie. A ciascuno il suo”. Prese a camminare, uscì dalla sala e chiuse la porta alle sue spalle.    

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